Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31625 del 04/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 04/12/2019, (ud. 24/09/2019, dep. 04/12/2019), n.31625

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – rel. Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 10782/2012 R.G. proposto da:

O.F.D., rappresentata e difesa, per procura

speciale in atti, dall’Avv. Marini Giuseppe, con domicilio eletto in

Roma, via di Villa sacchetti, n. 9;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– controricorrente avverso la sentenza della Commissione Tributaria

regionale del Piemonte, n. 18/14/11, depositata in data 15 marzo

2011.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24 settembre

2019 dal Consigliere Dott. Cataldi Michele.

Fatto

RILEVATO

Che:

1. L’Agenzia delle Entrate ha emesso avviso di accertamento con il quale ha recuperato a tassazione, a carico di O.F.D., la plusvalenza realizzata a seguito della vendita, il 6 aprile 2001, della sua quota di un terreno – sito in (OMISSIS)- suscettibile di utilizzazione edificatoria, del quale la contribuente era comproprietaria. Un distinto avviso, avente ad oggetto il medesimo presupposto, è stato emesso a carico del comproprietario O.F.F., che aveva alienato, con il medesimo contratto di compravendita, la sua quota di proprietà dell’immobile.

2. La contribuente ha impugnato l’accertamento innanzi la Commissione tributaria provinciale di Torino, deducendo il vizio di motivazione dell’avviso impugnato, contestando che il fondo alienato potesse considerarsi suscettibile di utilizzazione edificatoria al momento della sua vendita, negando che la compravendita avesse finalità speculativa ed assumendo che il suo legittimo affidamento e la sua buona fede, relativamente alla ritenuta insussistenza dei presupposti dell’imposizione, avrebbero dovuto quanto meno escludere l’applicabilità delle sanzioni che l’Ufficio le ha invece irrogato.

La CTP ha respinto il ricorso.

3.La contribuente ha quindi proposto appello, per i medesimi motivi, innanzi la Commissione tributaria regionale del Piemonte, che ha rigettato l’impugnazione.

4.La contribuente ha infine proposto ricorso per la cassazione della sentenza d’appello, affidato a quattro motivi.

5. L’Agenzia delle Entrate si è costituita con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 42, commi 2 e 3; della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3, comma 1; e della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, comma 1, assumendo che il giudice a quo avrebbe errato nell’escludere che la motivazione dell’atto impositivo fosse carente, come sostenuto invece dalla contribuente.

1.1. Il motivo è inammissibile, essendo generico e non autosufficiente, non risultando soddisfatti i requisiti posti dall’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3. 4 e 6.

Infatti, nel ricorso per cassazione è essenziale il requisito, prescritto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, nu. 3, dell’esposizione sommaria dei fatti sostanziali e processuali della vicenda, da effettuarsi necessariamente in modo sintetico, con la conseguenza che la relativa mancanza determina l’inammissibilità del ricorso, essendo la suddetta esposizione funzionale alla comprensione dei motivi nonchè alla verifica dell’ammissibilità, pertinenza e fondatezza delle censure proposte. (Cass., 24/04/2018, n. 10072 del 24/04/2018, ex plurimis).

I requisiti di contenuto-forma previsti, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 6, devono essere assolti necessariamente con il ricorso e non possono essere ricavati da altri atti, come la sentenza impugnata o il controricorso, dovendo il ricorrente specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata indicando precisamente i fatti processuali alla base del vizio denunciato, producendo in giudizio l’atto o il documento della cui erronea valutazione si dolga, o indicando esattamente nel ricorso in quale fascicolo esso si trovi e in quale fase processuale sia stato depositato, e trascrivendone o riassumendone il contenuto nel ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza (Cass., 13/11/2018, n. 29093. Cfr. altresì Cass., 22/09/2016, n. 18623).

Il ricorrente, inoltre, deve specificare, a pena di inammissibilità, il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche specificamente i fatti processuali alla base dell’errore denunciato, e tale specificazione deve essere contenuta nello stesso ricorso per cassazione, per il principio di autosufficienza di esso.

In particolare poi, il ricorrente per cassazione, il quale intenda dolersi dell’omessa od erronea valutazione di un documento da parte del giudice di merito, ha il duplice onere – imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) – di produrlo agli atti (indicando esattamente nel ricorso in quale fase processuale ed in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione) e di indicarne il contenuto (trascrivendolo o riassumendolo nel ricorso); la violazione anche di uno soltanto di tali oneri rende il ricorso inammissibile (Cass., 28/09/2016, n. 19048).

In applicazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, sancito dall’art. 366 c.p.c., con riferimento al ricorso con il quale si censuri la sentenza di una commissione tributaria regionale sotto il profilo del vizio di motivazione nel giudizio sulla congruità della motivazione dell’avviso di accertamento, è quindi necessario che il ricorso riporti testualmente i passi della motivazione di detto avviso, che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi, al fine di consentire la verifica della censura esclusivamente mediante l’esame del ricorso (Cass., 28/06/2017, n. 16147. Conformi Cass., 13/02/2015, n. 2928; Cass., 17/10/2014, n. 22003; Cass., 19/04/2013, n. 9536).

1.2. Nel caso di specie la ricorrente, dopo aver riprodotto la parte della motivazione della sentenza impugnata che ha ritenuto adeguatamente motivato l’atto impositivo, richiama le norme che avrebbe invece violato l’Ufficio, imputando a quest’ultimo sia la “carenza di motivazione caratterizzante il provvedimento impositivo (in quanto assolutamente insufficiente)”; sia la “mancata allegazione di atti”.

Tuttavia, nell’indicare e riprodurre la motivazione dell’atto impositivo tacciata d’insufficienza, la ricorrente si limita a citare un sintetico estratto del dettato motivazionale (“… è evidente lo status (suscettibile di utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici adottati dal Comune) del terreno al momento della cessione…”), la cui estrapolazione è avulsa non solo dall’intera motivazione dell’accertamento, ma finanche dal singolo periodo nel quale la citazione era inserita. Resta quindi preclusa a questa Corte, prima ancora che a valutazione della sufficienza o meno della motivazione dell’atto impositivo rispetto allo standard legale, la comprensione della censura d’ “insufficienza” che a quest’ultima attribuisce la ricorrente, senza ulteriori specificazioni.

Parimenti generica risulta poi la critica, sempre rivolta alla motivazione dell’atto impositivo, relativa alla “mancata allegazione di atti”, totalmente priva dell’indicazione di quali siano gli atti cui si riferisca.

Esulano invece dal vizio denunciato con il primo motivo di ricorso le considerazioni della contribuente attinenti l’adempimento, da parte dell’Ufficio, dell’onere della prova in ordine ai presupposti dell’imposizione e le relative valutazioni della CTR nella motivazione della sentenza impugnata. Si tratta infatti di critiche relative non alla violazione delle norme che regolano la motivazione dell’accertamento, ma alla motivazione della sentenza impugnata, e quindi da proporre eventualmente ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ma inammissibili nell’ambito del motivo proposto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

2. Con il secondo motivo, la ricorrente, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, denuncia la violazione e la falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 67 (già 81), comma 1, lett. b), che ricomprende tra i redditi diversi le plusvalenze realizzate ” a seguito di cessioni a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione”.

Sostiene infatti la contribuente che, a differenza di quanto reputato dal giudice a quo, il terreno in questione non poteva essere ritenuto, al momento della cessione, “suscettibile di utilizzazione edificatoria”, ai fini della predetta norma, in quanto era stato inserito nel P.R.G. del Comune di San Biagio di Callalta in parte nella zona

“E” (agricola) ed in parte nella zona omogena “F” (ovvero zona di attrezzature di interesse collettivo), e la successiva concessione all’acquirente del fondo di permessi a costruire era stata resa possibile solo dalla successiva Delib. Comunale 25 febbraio 2003, n. 12, con la quale era stata adottata una variante del P.R.G. che interessava l’area in questione, a conferma che in precedenza, e quindi al momento della compravendita titolo della plusvalenza, essa era inedificabile.

La destinazione del fondo alla zona “F”, così come si legge nel quesito di diritto elaborato dalla ricorrente, escludendo l’edificabilità del fondo al momento della sua alienazione, avrebbe dovuto escludere altresì che esso fosse “suscettibile di utilizzazione edificatoria”, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 67, comma 1, lett. b). La stessa ricorrente aggiunge poi che il fondo in questione rientrava comunque in un’area rispetto alla quale era intervenuta la decadenza – L. n. 1187 del 1968, ex art. 2 – del predetto P.R.G. del Comune, per cui ricadeva in una zona da considerarsi inedificabile, essendo equiparata ad una zona c.d. bianca, così come riportato nella citata Delib. Comunale n. 12 del 2003.

3. Con il quarto motivo – la cui trattazione va anticipata, per la sua stretta connessione con il secondo- la contribuente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’insufficiente e/o omessa motivazione della sentenza impugnata circa un fatto decisivo della controversia, relativo all’inserimento del predetto terreno nella zona “F” del P.R.G. ed alla decadenza di quest’ultimo strumento, con conseguente privazione della classificazione urbanistica dell’area de qua, equiparabile ad una zona c.d. bianca e quindi inedificabile.

3.1. Il secondo ed il quarto motivo, per la loro coincidenza, vanno trattati congiuntamente e sono infondati.

Infatti, questa Corte ha già affermato, con orientamento prevalente, il principio secondo cui il chiaro tenore letterale del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 67 (già 81), comma 1, lett. b), – non contenente alcuna distinzione o specificazione al riguardo- assoggetta a tassazione la plusvalenza realizzata a seguito di cessione di terreno sul quale lo strumento urbanistico vigente consenta, a qualunque titolo e per qualunque scopo, di edificare, senza che, pertanto, a nulla rilevi cosa e a qual fine si costruisca, considerato anche che siffatta interpretazione non appare in contrasto con i precetti costituzionali (e, in particolare, con l’art. 3 Cost.), rientrando nella piena discrezionalità del legislatore non tassare la plusvalenza solo quando la stessa ha ad oggetto terreni agricoli e non suscettibili in alcun modo di utilizzazione edificatoria (Cass., 06/12/2017, n. 29183, in motivazione. Nello stesso senso, con riguardo all’interpretazione del D.P.R. n. 917 dei 1986, art. 67 (già 81), comma 1, lett. b), cfr. altresì, ex plurimis, Cass., 19/06/2013, n. 15320; Cass., 16/10/2015, n. 20950, in un caso ove si verteva sulla cessione di aree inserite in zona F destinati ad “attrezzature e impianti di interesse generale”; Cass., 23/11/2016, n. 23845; Cass., 30/10/2018, n. 27604;Cass., 11/01/2019, n. 584).

Ed è stato ulteriormente precisato che, in tema d’IRPEF, l’inclusione di un’area in una zona destinata dal piano regolatore generale a servizi pubblici o di interesse pubblico, quale la destinazione a parcheggio, incide nella determinazione del valore venale dell’immobile, da valutare in base alla maggiore o minore potenzialità edificatoria, senza escluderne l’oggettivo carattere edificabile, atteso che i vincoli d’inedificabilità assoluta, stabiliti in via generale e preventiva nel piano regolatore generale, vanno tenuti distinti dai vincoli di destinazione, sicchè la relativa cessione a titolo oneroso è idonea a determinare l’insorgenza di una plusvalenza imponibile D.P.R. n. 917 del 1986, ex art. 81 (ora 67), comma 1, lett. b). (Cass., 15/07/2016, n. 14503).

3.2. In applicazione di tali principi, pertanto, deve ritenersi che, a differenza di quanto sostenuto dalla contribuente, la mera inclusione del fondo in questione, al momento della sua cessione (ed ancor prima che venisse successivamente adottata la variante di cui alla Delib. Comunale del 2005) nell’area destinata dal P.R.G. alla zona “F”, non escludeva la sua suscettibilità edificatoria, ai fini dell’imposizione della relativa plusvalenza.

3.3. Per quanto poi attiene all’ulteriore, distinta, allegazione della decadenza, L. n. 1187 del 1968, ex art. 2 – del predetto P.R.G. del Comune, per cui, all’atto della cessione del fondo, esso doveva considerarsi inedificabile, ricadendo in una zona c.d. bianca, deve preliminarmente rilevarsi che si tratta di una questione nuova, come tale non ammissibile in questa sede di legittimità.

Infatti, nel ricorso, la contribuente non indica inequivocabilmente in quale sede (ovvero in quale grado ed in quale atto) di merito abbia proposto la relativa questione, nè supplisce in tal senso la sentenza impugnata (non esaurendosi la prospettazione della questione nella mera produzione della Delib. Comunale n. 12 del 2003, che di tale decadenza dava atto, ma che era invocata dalla contribuente al fine di dimostrare la pretesa sopravvenienza dell’edificabilità per effetto della variante).

In ogni caso, l’avvenuta decadenza del P.R.G., rispetto al momento della cessione del fondo, costituisce comunque una censura infondata, rispetto alla sentenza impugnata.

Infatti questa Corte, con precedente pronuncia (che attiene la medesima fattispecie oggettiva qui sub iudice, essendo stata resa su ricorso dell’Ufficio avverso la sentenza n. 108/01/11 della CTR del Veneto, citata dalla stessa ricorrente, che aveva accolto il ricorso dell’altro comproprietario del fondo), ha già avuto modo di chiarire che ” L’utilizzabilità a scopo edificatorio deve essere considerata come qualità derivata al fondo dagli “strumenti urbanistici generali o attuativi”, ovverosia dalla sua inclusione in una determinata “zona urbanistica”, con conseguente irrilevanza dell’inutile decorso del “quinquennio di validità del vincolo finalizzato alla realizzazione dell’opera pubblica”, il quale non ha alcuna influenza perchè (Cass., 12 ottobre 2007 n. 21434) tal fatto non determina la regressione dell’area interessata all’eventuale anteriore destinazione agricola. (…) A seguito dell’entrata in vigore del D.L. 30 settembre 2005, n. 203, art. 11-quaterdecies, comma 16, convertito con modificazioni dalla L. 2 dicembre 2005, n. 248, e del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, art. 36, comma 2, convertito con modificazioni dalla L. 4 agosto 2006, n. 248, che hanno fornito l’interpretazione autentica del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 2, comma 1, lett. b), l’edificabilità di un’area, ai fini dell’applicabilità del criterio di determinazione della base imponibile fondato sul valore venale, dev’essere desunta dalla qualificazione ad essa attribuita nel piano regolatore generale adottato dal Comune, indipendentemente dall’approvazione dello stesso da parte della Regione e dall’adozione di strumenti urbanistici attuativi. La natura edificabile non viene meno, trattandosi di evenienze incidenti sulla sola determinazione del valore venale dell’area, nè per le ridotte dimensioni e/o la particolare conformazione del lotto (…), a seguito di decadenza del vincolo preordinato alla realizzazione dell’opera pubblica, da cui deriva non una situazione di totale inedificabilità, ma l’applicazione della disciplina delle c. d. ” zone bianche” (nella specie quella di cui alla L. 28 gennaio 1977, n. 10, art. 4, u.c., applicabile “catione temporis”), che, ferma restando l’utilizzabilità economica del fondo, in primo luogo a fini agricoli, configura pur sempre, anche se a titolo provvisorio, un limitato indice di edificabilità (Cass. 25676/2008; 11433/2010; n. 24478/2010; 16485/2016; n. 31051/2017). Nel caso di specie, per effetto della decadenza del vincolo, che – come sopra ricordato – può essere motivatamente reiterato, il terreno de quo, già incluso dal P.R.G. in zona edificatoria vincolata, conserva tale qualità, sia pure in misura ridotta, trovando applicazione la disciplina dettata dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 9, (L. n. 10 del 1977, art. 4, è stato abrogato dal D.P.R. citato), che fissa i limiti per l’attività edilizia nei Comuni sprovvisti degli strumenti urbanistici generali. ” (Cass., 23/5/2018, n. 12792).

Conclusivamente, in forza dei richiamati principi, si deve affermare che, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di appello, ai fini della plusvalenza la decadenza dell’eventuale vincolo non fa venir meno la natura edificatoria delle aree interessate comprese dal PRG in zona di edificabilità urbanistica, mentre le altre circostanze (peraltro tutte rivelatrici della potenzialità edificatoria del fondo) incidono esclusivamente ai fini della determinazione del loro “valore… venale in comune commercio”” (Cass., 23/05/2018, n. 12792, in motivazione).

Pertanto, in aderenza a tale ultimo orientamento, deve escludersi che l’intervenuta decadenza del P.R.G., con riferimento all’area in questione, abbia ex se comportato, ai fini dell’imposizione della plusvalenza, la perdita della suscettibilità edificatoria del fondo.

4.Con il terzo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 10, per avere il giudice a quo erroneamente escluso che sussistessero i presupposti per la disapplicazione delle sanzioni comminate alla contribuente con l’avviso in questione, essendo chiaramente individuata la norma da applicare al caso in esame ed essendo chiaro il significato da attribuire all’espressione “suscettibile di utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione”, in considerazione anche della pronuncia resa in materia dalla Corte Costituzionale, con la sentenza del 29/12/1995, n. 533, che ha preso espressamente in considerazione l’imponibilità delle plusvalenza conseguenti alla cessione di terreni che fanno parte della zona “F” del relativo P.R.G..

Il motivo è inammissibile sotto diversi profili.

Innanzitutto, infatti, la censura non coglie la ratio decidendi espressa nella motivazione impugnata, fondata sulla preesistenza, rispetto alla stessa operazione imponibile, di una pronuncia del giudice delle leggi (oltre che della giurisprudenza di legittimità consolidata in essa citata) idonea, secondo il giudice a quo, ad escludere che possa configurarsi l’obiettiva incertezza interpretativa rilevante, ai fini della disapplicazione delle sanzioni, L. n. 212 del 2000, ex art. 10 e del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 6, comma 2.

Nessuna critica, infatti, viene esposta nel terzo motivo di ricorso in ordine a tali argomentazioni della sentenza impugnata.

In secondo luogo, va premesso che, in tema di sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie, il contribuente ha l’onere di allegare la ricorrenza degli elementi che giustificano l’esenzione per incertezza normativa oggettiva, che ricorre nell’ipotesi di incertezza inevitabile sul contenuto, sull’oggetto e sui destinatari della disposizione tributaria, anche all’esito del procedimento di interpretazione della stessa da parte del giudice (Cass., 13/07/2018, n. 18718, ex plurimis). Non soddisfa tale onere, per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 6, la mera elencazione, da parte della ricorrente, di una serie di note, risoluzioni e circolari dell’Amministrazione finanziaria, descritte esclusivamente con i criteri identificativi cronologici e numerici, senza alcun riferimento al loro contenuto ed alle modalità con le quali esso avrebbe inciso sulla buona fede e sull’affidamento incolpevole della stessa contribuente.

Infine, nello stesso elenco la ricorrente include atti (certificato di destinazione urbanistica del terreno alla data della cessione, delbera comunale n. 12 del 2003) che neppure provengono dall’Amministrazione finanziaria (alla quale fa esclusivo riferimento l’invocato L. n. 212 del 2000, art. 10) e non hanno natura e finalità fiscali, non essendo quindi di per sè soli idonei a determinare la buona fede e l’affidamento incolpevole dedotti dalla parte privata. 5. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 24 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 dicembre 2019

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