Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31623 del 04/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 04/12/2019, (ud. 18/09/2019, dep. 04/12/2019), n.31623

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – rel. Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 26376/2016 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio

legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato;

– ricorrente –

contro

S.A., rappresentato e difeso dall’avv. Manna Aldo e dall’avv.

D’Isanto Fabio, elettivamente domiciliata in Roma al viale Angelico

n. 78, presso gli avv.ti Ferrara Alessandro e Ferraro Massimo;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 909/33/15 della Commissione Tributaria

Regionale della Campania, Campania, emessa il 12/5/2015, depositata

il 19/10/2015 e non notificata.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18 settembre

2019 dal Consigliere Giudicepietro Andreina.

Fatto

RILEVATO

Che:

l’Agenzia delle Entrate ricorre con due motivi contro S.A. per la cassazione della sentenza n. 471/33/15 della Commissione Tributaria Regionale della Campania, emessa il 9/12/2014, depositata il 20/1/2015 e non notificata, che, in controversia relativa all’impugnativa del silenzio rifiuto dell’Amministrazione sull’istanza del contribuente di rimborso delle ritenute di acconto Irpef sulla somma versata a titolo di incentivo all’esodo dal datore di lavoro Banco di Napoli nell’anno 2006, in sede di rinvio, ha accolto l’appello del contribuente, riformando la sentenza della C.T.P. di Napoli;

con la sentenza impugnata, la C.T.R. della Campania (di seguito C.T.R.) riteneva che il D.Lgs. n. 47 del 18 febbraio 2000, art. 13, a partire dal 2001, consentiva al contribuente di dedurre integralmente dal reddito complessivo i contributi versati facoltativamente alla gestione previdenziale di appartenenza, equiparandoli ai contributi obbligatori;

secondo il giudice di appello, nel caso di specie la banca avrebbe erroneamente inserito la somma versata a titolo di contribuzione volontaria tra i redditi soggetti a tassazione ordinaria, con la conseguente diminuzione dell’ammontare del credito d’imposta del contribuente, causando la maggiore tassazione delle ritenute Irpef per Euro 7.229,70, non dovute;

in punto di fatto, la C.T.R. riteneva che il contribuente avesse soddisfatto il proprio onere probatorio, fornendo adeguata documentazione comprovante la natura e la deducibilità delle somme versate;

alla fattispecie in esame, infatti, doveva applicarsi l’art. 10 T.U.I.R., trattandosi di somma erogata per il versamento facoltativo, a seguito della cessazione anticipata del rapporto di lavoro, dei contributi previdenziali volontari alla gestione della forma pensionistica obbligatoria di appartenenza, come tale interamente deducibile ai fini dell’Irpef;

a seguito del ricorso, S.A. resiste con controricorso;

il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 18 settembre 2019, ai sensi degli artt. 375 c.p.c., u.c., e art. 380-bis1, c.p.c., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, conv. in L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

con il primo motivo, l’Agenzia ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, la violazione e falsa applicazione dell’art. 384 c.p.c., comma 2, e art. 394 c.p.c., commi 2 e 3, dell’art. 2697 c.c., del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 63, comma 4, per l’inosservanza dei principi in materia di giudizio di rinvio;

con il secondo motivo, la ricorrente censura la nullità della sentenza per motivazione apparente in violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma l, n. 4;

il primo motivo è fondato e va accolto, con conseguente assorbimento del secondo;

preliminarmente va rilevato che “in tema di impugnazioni nel processo tributario, la modifica dell’art. 327 c.p.c., introdotta dalla L. n. 69 del 2009, art. 46, che ha sostituito con il termine di decadenza di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza l’originario termine annuale, è applicabile, ai sensi dell’art. 58, comma 1, ai soli giudizi instaurati dopo la sua entrata in vigore e, quindi, dal 4 luglio 2009, restando irrilevante il momento dell’instaurazione di una successiva fase o di un successivo grado di giudizio” (Sez. 5, Ordinanza n. 19979 del 27/07/2018; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 15741 del 21/06/2013; Sez. 2, Sentenza n. 6007 del 17/04/2012);

nel caso in esame, il giudizio di primo grado risulta definito con sentenza del maggio 2009, come si evince dalla sentenza di appello, per cui rimane applicabile al giudizio l’originario termine annuale;

passando all’esame dei motivi di ricorso, nell’ordinanza di rinvio n. 25563/2013 si legge che veniva chiesta alla Corte “la cassazione della sentenza n. 248/45/2011, pronunziata dalla CTR di Napoli Sezione n. 45 il 17.02.2011 e depositata il 10/06/2011, con cui detta Commissione aveva accolto l’appello del contribuente avverso la decisione di primo grado che, a sua volta, aveva rigettato il ricorso e la domanda di rimborso della ritenuta di acconto, operata dal datore di lavoro Banco di Napoli SPA, sulla somma erogata al contribuente nel 2006, a titolo di incentivo all’esodo”;

da tale premessa, si evince il presupposto fattuale oggetto della controversia, pacificamente ammesso dalle parti e riconosciuto come tale dalla Suprema Corte, cioè l’istanza di rimborso di ritenute effettuate sulla somma corrisposta nel 2006 al dipendente dalla Banca a titolo di incentivo all’esodo;

dunque, non sembra vi sia alcun equivoco sui presupposti fattuali posti a base dell’originaria domanda, come riportati nella stessa ordinanza di rinvio, nè sul tenore della decisione, che si limita all’annullamento della sentenza impugnata per il malgoverno dei principi sull’onere probatorio, rimettendo al giudice di rinvio ogni ulteriore giudizio sul merito della vicenda;

nè può riconoscersi efficacia vincolante al principio, citato incidentalmente nello svolgimento del processo, che costituisce un semplice riferimento (non del tutto pertinente) alla disciplina ritenuta applicabile, in caso di somme relative alla capitalizzazione di pensioni integrative, e non l’enunciazione del principio di diritto in base al quale è stato accolto il ricorso;

nell’ordinanza di rinvio, invero, la Corte ha dato atto che la decisione di appello era “affetta dal denunciato vizio di motivazione, perchè non ha considerato che incombeva sul contribuente l’onere di provare la sussistenza del diritto alla riliquidazione ed al rimborso e non ha esplicitato alla stregua di quali concreti elementi e considerazioni logiche è stato ritenuto sussistente il presupposto fattuale del preteso diritto, tenuto conto della posizione processuale assunta dall’amministrazione finanziaria nel giudizio di merito e del fatto che la contribuente assume di aver agito per il rimborso di un maggiore e non dovuto prelievo fiscale”;

la pronuncia della Corte, quindi, ha cassato la sentenza impugnata sotto il profilo del vizio di motivazione e della violazione delle norme in materia di onere probatorio, demandando al giudice del rinvio di verificare, adeguatamente motivando sul punto, se il contribuente avesse adempiuto all’onere di dimostrare la sussistenza dei requisiti del diritto al rimborso;

il giudice di rinvio, però, non si è conformato al dictum della Cassazione;

in particolare, nel caso di specie non è contestato che la banca abbia corrisposto al dipendente una somma al netto, pari all’importo dei contributi da versare all’INPS a titolo di contribuzione volontaria, necessaria per raggiungere i minimi contributivi della pensione di anzianità, e che, in relazione a tale importo, il contribuente abbia rilasciato al Banco di Napoli una delega irrevocabile a versare tali contributi all’INPS, i quali,

evidentemente, risultano versati, dato che è pacifica tra le parti la circostanza che il contribuente percepisca la pensione;

risulta anche circostanza incontroversa che, su tale somma, non vi sia stato stato alcun versamento d’imposta nè applicata alcuna ritenuta, poichè non è contestato che l’importo pari ai contributi volontari, riconosciuto al lavoratore, sia stato inserito e successivamente dedotto nella base imponibile ai fini Irpef;

sul punto, nell’ordinanza di rinvio, la Cassazione aveva sottolineato come il giudice di appello, pur avendo rilevato che l’importo lordo non risultasse assoggettato a tassazione, ordinaria o separata, ciò nonostante avesse contraddittoriamente accolto l’istanza di rimborso della contribuente;

il giudice di rinvio, nella sentenza impugnata, rileva genericamente che il sistema di tassazione adottato dall’Amministrazione finanziaria ha comportato un aggravio d’imposta non dovuto a carico del contribuente, consistente nella diminuzione del credito d’imposta spettante a quest’ultimo, corrispondente all’intera ritenuta applicata ai fini Irpef;

inoltre, la C.T.R. afferma in maniera apodittica che il contribuente avrebbe soddisfatto il proprio onere probatorio, fornendo adeguata documentazione comprovante la natura e la deducibilità delle somme versate;

dunque, il giudice del rinvio, contravvenendo al dictum della Cassazione, che gli imponeva di motivare adeguatamente la propria decisione, attenendosi al rispetto delle norme in tema di ripartizione dell’onere probatorio, non ha spiegato in base a quali elementi di fatto ha dedotto che vi sia stato un aggravio dell’imposta dovuta (per altro affermando circostanze di fatto, quale la pretesa riduzione del credito d’imposta, introdotte dal contribuente inammissibilmente per la prima volta nel ricorso in riassunzione) e concludendo, immotivatamente, per l’illegittimità dell’intera ritenuta effettuata;

la C.T.R. ha, quindi, omesso ogni esame sull’avvenuto adempimento da parte del contribuente dell’onere della prova a suo carico in ordine ai fatti costitutivi della pretesa fatta valere in giudizio ed, in particolare, sull’esistenza di un effettivo aggravio dell’imposta, dovuto alla mancata deduzione dei contributi previdenziali volontari ed all’applicazione di un regime di tassazione erroneo;

invero vige il principio, enunciato per altro nella ordinanza di rinvio, secondo cui l’onere della prova dei fatti costitutivi della pretesa fatta valere in giudizio incombe sul contribuente, che chiede il rimborso (Cass. n. 19187/2006, n. 22567/2004, n. 29613/2011);

pertanto il ricorso va accolto, con rinvio alla C.T.R. della Campania, in diversa composizione, che provvederà anche alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla C.T.R. della Campania, in diversa composizione, che provvederà anche alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 18 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 dicembre 2019

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