Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31611 del 06/12/2018

Cassazione civile sez. trib., 06/12/2018, (ud. 30/10/2018, dep. 06/12/2018), n.31611

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – rel. Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 10858/2012 R.G. proposto da:

P.A., rappresentato e difeso dall’avv. Pellegrino Musto,

elettivamente domiciliato in Roma al corso Vittorio Emanuele n. 21,

presso l’avv. Valentina Serpilli;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio

legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 654/4/2011 della Commissione Tributaria

Regionale della Campania, sez. staccata di Salerno, emessa il giorno

11 novembre 2011, depositata il giorno 1 dicembre 2011 e notificata

il 22 febbraio 2012.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30 ottobre

2018 dal Consigliere Andreina Giudicepietro.

Fatto

RILEVATO

che:

1. P.A. ricorre con un unico motivo contro l’Agenzia delle Entrate per la cassazione della sentenza n. 654/4/2011 della Commissione Tributaria Regionale della Campania, sez. staccata di Salerno, emessa il giorno 11 novembre 2011, depositata il giorno 1 dicembre 2011 e notificata il 22 febbraio 2012, che ha accolto l’appello dell’Ufficio, in controversia concernente l’impugnativa degli avvisi di accertamento per Irpef ed addizionali per gli anni 2004 e 2005;

2. con la sentenza impugnata, la C.T.R. della Campania rilevava in fatto che P.A., rappresentante legale della società “Profilvie” s.r.l. e lavoratore subordinato alle dipendenze di M.C., titolare di un’impresa individuale, aveva incassato alcuni assegni in qualità di delegato della società “Officine San Giorgio” s.r.l., di cui M.C. era rappresentante legale;

su tali premesse, l’Agenzia delle Entrate aveva emesso gli avvisi di accertamento, oggetto di impugnazione, con cui aveva qualificato l’importo complessivo degli assegni incassi dal P. come reddito percepito per gli anni 2004 e 2005 e non dichiarato, da considerarsi di natura retributiva in difetto di prova contraria;

la C.T.R. ha ritenuto che la documentazione prodotta dal contribuente in primo grado non costituisse prova del fatto che, una volta incassati gli assegni, il P. li avesse riversati nel conto della società “Officine San Giorgio” s.r.l.;

ha, quindi, accolto l’appello dell’Ufficio, ritenendo che fosse operante la presunzione di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, secondo la quale il contribuente era onerato di provare, cosa non avvenuta nel caso di specie, di non aver incassato le somme a proprio vantaggio, considerando anche la circostanza che la delega era scaduta ad aprile 2005 e le operazioni erano continuate successivamente;

3. P.A., con l’unico motivo di ricorso, lamenta la violazione delle norme di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 32 e 38 e all’art. 2728 c.c., poichè, avendo fornito la prova di aver agito come delegato della società, in assenza di riscontro che i flussi finanziari fossero confluiti sul suo conto corrente, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di appello, sarebbe stata l’Amministrazione a dover fornire la prova che l’incasso degli assegni era riferibile direttamente al delegato e non al delegante;

inoltre denunzia l’insufficiente motivazione sulla valutazione dei documenti prodotti in primo grado, a suo parere idonei a fornire la prova di aver riversato le somme da lui incassate sul conto corrente della società “Officine San Giorgio” s.r.l.;

a seguito del ricorso del contribuente, l’Agenzia delle Entrate si costituisce, resistendo con controricorso;

4. il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 30 ottobre 2018, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c. e dell’art. 380 bis 1, c.p.c., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, conv. in L. 25 ottobre 2016, n. 197;

5. il ricorrente ha depositato memorie.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1.1. con l’unico motivo, il ricorrente denunzia la violazione delle norme di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 32 e 38 e all’art. 2728 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, poichè, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di appello, sarebbe stata l’Amministrazione a dover fornire la prova che l’incasso degli assegni era riferibile direttamente al delegato e non al delegante, avendo il contribuente fornito la prova di aver agito come delegato della società, in assenza di riscontro che i flussi finanziari fossero confluiti sul suo conto corrente;

inoltre, il ricorrente censura la sentenza impugnata sotto il profilo del vizio motivazionale, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, perchè la C.T.R. della Campania avrebbe motivato in maniera insufficiente in ordine alla documentazione prodotta in primo grado, da cui risulterebbe la prova che aveva riversato le somme da lui incassate sul conto corrente della società “Officine San Giorgio” s.r.l.;

1.2. il motivo è in parte infondato ed in parte inammissibile e va rigettato;

1.3. invero risulta infondata la censura relativa alla violazione di legge, poichè la C.T.R. ha ritenuto che l’accertamento fosse fondato su elementi gravi, precisi e concordanti, quale l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato intercorrente tra P.A. e M.C. e la prosecuzione delle operazioni di incasso, fisicamente effettuate dal P., anche dopo la scadenza della delega da parte della società “Officine san Giorgio” s.r.l.;

il giudice di appello ha anche richiamato la Sentenza n. 6335 del 2008 di questa Corte, in cui si afferma che è “noto che le somme percepite dai lavoratori si presumono corrisposte dal loro datore di lavoro a titolo di retribuzione”, in mancanza di prova di una diversa causale;

a fronte di tali elementi, la C.T.R. ha ritenuto legittimo l’accertamento dell’Amministrazione, in assenza di prova contraria da parte del ricorrente, rilevando che la documentazione prodotta dal P. non era idonea a dimostrare l’avvenuto riversamento sul conto corrente della società delegante (nei casi in cui tale delega esisteva) degli importi prelevati con le operazioni “fuori conto”;

la sentenza impugnata, dunque, non ha alterato il riparto dell’onere probatorio, ma ha ritenuto che l’amministrazione avesse assolto al proprio, mentre il contribuente, gravato della prova contraria, non avesse provveduto a tanto;

passando alla censura relativa al vizio di motivazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, essa è inammissibile, perchè difetta di autosufficienza;

invero, ove il ricorrente intenda dolersi dell’omessa o erronea valutazione di un documento da parte del giudice del merito, il requisito della specificità si intende soddisfatto, allorchè il ricorrente produca il documento agli atti e ne riproduca il contenuto, indicando esattamente in quale fase processuale ed in quale fascicolo di parte si trovi il documento e trascrivendo o riassumendo nel ricorso il suo esatto contenuto (Cass. sent. 26174/14; 2861/14; 2427/ 14; 2966/11);

l’inosservanza anche di uno soltanto di questi oneri viola il precetto di specificità di cui al citato art. 366, comma 1, n. 6 e rende il ricorso conseguentemente inammissibile (14216/13; 23536/13 23069/13);

inoltre, “il mancato esame di un documento può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui determini l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, segnatamente, quando il documento non esaminato offra la prova di circostanze di tale portata da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratto decidendi venga a trovarsi priva di fondamento. Ne consegue che la denuncia in sede di legittimità deve contenere, a pena di inammissibilità, l’indicazione delle ragioni per le quali il documento trascurato avrebbe senza dubbio dato luogo a una decisione diversa” (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 19150 del 28/09/2016);

nel caso di specie, invece, il ricorrente si limita all’elencazione di una serie di documenti (copia degli assegni incassati e del giornale di contabilità), che assume di aver allegato al ricorso introduttivo del primo grado di giudizio, senza allegare gli stessi all’attuale ricorso e senza riprodurli nell’esatto contenuto;

inoltre, il ricorrente lamenta unicamente l’omesso esame dei suddetti documenti, sui quali, invece, la C.T.R. si pronuncia nel senso di non ritenerli idonei a fornire la prova dell’avvenuto riversamento degli importi incassati dal ricorrente sul conto corrente della società;

la denuncia in sede di legittimità non contiene, come sarebbe stato necessario ai fini della sua ammissibilità, l’indicazione delle ragioni per le quali “il documento trascurato avrebbe senza dubbio dato luogo a una decisione diversa” (Sez. 3 -, Ordinanza 26 giugno 2018, n. 16812);

il motivo, sostanzialmente, senza evidenziare specifiche contraddittorietà o illogicità della motivazione, tende ad una rivalutazione di merito sull’idoneità probatoria dei documenti elencati in ricorso, senza individuare l’argomentazione della motivazione che è volta a confutare, nè le ragioni per cui la motivazione sarebbe carente;

atteso il complessivo rigetto del ricorso, le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza di parte ricorrente e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 30 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 6 dicembre 2018

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