Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31610 del 06/12/2018

Cassazione civile sez. trib., 06/12/2018, (ud. 25/10/2018, dep. 06/12/2018), n.31610

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – rel. Consigliere –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6468-2013 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

FINADVISOR SRL IN LIQUIDAZIONE, EQUITALIA SUD SPA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 514/2012 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

LATINA, depositata il 25 luglio 2012;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

25 ottobre 2018 dal Consigliere Dott. ORONZO DE MASI.

Fatto

RITENUTO

che l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, contro la sentenza n. 514/40/12 della CTR del Lazio, che accogliendo l’appello proposto da Finadvisor s.r.l. in liquidazione (già EDIKON), cessionaria del ramo di azienda in forza di contratto stipulato il 19 gennaio 2004 con Grafiche P. s.p.a., ha annullato la cartella di pagamento relativa a IRPEG, IRAP e IVA, per l’anno 2002, emessa a seguito di controllo automatizzato delle dichiarazioni del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis, sul rilievo che l’Ufficio aveva provveduto a notificare il 5 maggio 2010 alla cessionaria la cartella di pagamento, senza considerare la risoluzione per inadempimento del contratto di cessione del ramo di azienda, intervenuta il 16 novembre 2004, in via transattiva, pochi mesi dopo la stipula della predetta cessione, e diversi anni prima della notifica della cartella impugnata;

che la contribuente ed Equitalia Sud s.p.a. non hanno depositato alcuna difesa scritta.

Diritto

CONSIDERATO

che la ricorrente Agenzia delle Entrate ha dedotto la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 427 del 1997, art. 14, e degli artt. 1376,1458,1372,2704,2556 e 2193 c.c., giacchè la CTR avrebbe dovuto considerare che la transazione intercorsa fra cedente e cessionario, ove anche interpretata come risoluzione per inadempimento, alla stregua della normativa civilistica non è opponibile ai terzi, spiegando effetti soltanto per il periodo ad essa successivo, e lasciando inalterata la responsabilità, solidale e sussidiaria del cessionario per i debiti tributari del cedente, ed evidenzia altresì che la predetta transazione, risultante da una scrittura privata non autenticata, non è trascritta nel registro delle imprese, ed è priva di data certa;

che il ricorso è fondato per le ragioni di seguito esposte;

che il D.Lgs. n. 429 del 1997, art. 14, prevede: al comma 1, che “Il cessionario è responsabile in solido, fatto salvo il beneficio della preventiva escussione del cedente ed entro i limiti del valore dell’azienda o del ramo d’azienda, per il pagamento dell’imposta e delle sanzioni riferibili alle violazioni commesse nell’anno in cui è avvenuta la cessione e nei due precedenti, nonchè per quelle già irrogate e contestate nel medesimo periodo anche se riferite a violazioni commesse in epoca anteriore”; al comma 2, che “L’obbligazione del cessionario è limitata al debito risultante, alla data del trasferimento, dagli atti degli uffici dell’amministrazione finanziaria e degli enti preposti all’accertamento dei tributi di loro competenza.”; al comma 3, che “Gli uffici e gli enti indicati nel comma 2 sono tenuti a rilasciare, su richiesta dell’interessato, un certificato sull’esistenza di contestazioni in corso e di quelle già definite per le quali i debiti non sono stati soddisfatti. Il certificato, se negativo, ha pieno effetto liberatorio del cessionario, del pari liberato ove il certificato non sia rilasciato entro quaranta giorni dalla richiesta”;

che, come già affermato da questa Corte (Cass. n. 11972/2015), “tale disposizione introduce una disciplina speciale in tema di cessione di azienda quanto ai rapporti tributari – Cass. n. 5979/2014 -, regolando diversamente gli effetti della cessione sui debiti del cedente rispetto alla normativa codicistica che, nelle parti in cui non viene derogata, deve comunque ritenersi pienamente operante”;

che, infatti, il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 14, introducendo misure antielusive a tutela dei crediti tributari, è norma speciale rispetto all’art. 2560 c.c., comma 2, diretta ad evitare, tramite la previsione della responsabilità, solidale e sussidiaria, del cessionario per i debiti tributari gravanti sul cedente, che, attraverso il trasferimento dell’azienda, sia dispersa la garanzia patrimoniale del contribuente in pregiudizio dell’interesse pubblico, e per far ciò “estende la responsabilità solidale e sussidiaria del cessionario anche alle imposte ed alle sanzioni riferibili alle violazioni commesse dal cedente nell’anno in cui è avvenuta la cessione e nei due precedenti, nonchè alle imposte ed alle sanzioni già irrogate e contestate nel medesimo periodo, anche se riferite a violazioni commesse in epoca anteriore, sempre che risultino dagli atti dell’Ufficio.” (Cass. n. 17264/2017);

che, pertanto, “nell’ipotesi di cessione conforme a legge (commi 1, 2 e 3) ed in base ad un criterio incentivante volto a premiare la diligenza nell’assumere, prima della conclusione del negozio traslativo, informazioni sulla posizione debitoria del cedente, la responsabilità ha carattere sussidiario, con beneficium excussionis, ed è limitata nel quantum (entro il valore della cessione) e nell’oggetto, con riferimento alle imposte e sanzioni relative a violazioni commesse dal cedente nel triennio prima del contratto ovvero anche anteriormente, se già irrogate o contestate nel triennio, ovvero entro i limiti del debito risultante, alla data del contratto, dagli atti degli uffici finanziari e degli enti preposti all’accertamento dei tributi.” (Cass. n. 9219/2017);

che, nel caso di specie, è pacifico che il credito fiscale dell’Amministrazione riguardava l’anno 2002, e che la cessione del ramo d’azienda conclusa fra il debitore e il cessionario Edikon s.r.l. era stata stipulata il 19 gennaio 2004, e successivamente risolta con l’accordo concluso il 16 novembre 2004, per cui non può revocarsi in dubbio la piena operatività della cessione, ai fini della responsabilità del cessionario in ordine alle obbligazioni relative all’anno in questione, in forza del più volte ricordato D.Lgs. n. 427 del 1997, art. 14, “posto che l’accordo transattivo, anche ad essere interpretato come contenente un negozio teso allo scioglimento del rapporto contrattuale, non poteva spiegare efficacia retroattiva in relazione a quanto previsto dall’art. 1372 c.c. – Cass. n. 4366 del 2011 – nè poteva avere valenza nei confronti dei terzi se qualificato come risoluzione per inadempimento – per come ha erroneamente ritenuto la CTR -, in relazione a quanto previsto dall’art. 1458 c.c., comma 2.”(Cass. n. 11972 del 2015);

che, dunque, appare evidente l’errore nel quale è incorso il giudice di appello nell’attribuire efficacia retroattiva al negozio risolutorio, pur nel silenzio della norma fiscale, sol che si consideri il principio per cui un vincolo contrattuale che abbia determinato, come nella specie, l’effetto traslativo, non può essere sciolto per mutuo consenso, risolvendosi in un contrarius actus, ed ancora, il carattere novativo della transazione, l’inopponibilità ai terzi – tale dovendosi intendere anche l’Amministrazione finanziaria – dell’atto di risoluzione per mutuo dissenso, l’iscrizione nel registro delle imprese, ai sensi dell’art. 2556 c.c., degli atti negoziali inerenti la cessione d’azienda, adempimento di pubblicità con l’efficacia dichiarativa di cui all’art. 2193 c.c., che rende il fatto storico iscritto opponibile ai terzi;

che, in conclusione, il ricorso deve essere accolto, la sentenza cassata, e non ricorrendo la necessità di ulteriori accertamenti, la causa può essere decisa nel merito ex art. 384 c.p.c., con il rigetto del ricorso introduttivo della contribuente;

che ricorrono giusti motivi per compensare le spese del giudizio di merito, anche in ragione del progressivo consolidarsi della giurisprudenza citata, mentre quelle del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si liquidano, in favore dell’Agenzia delle Entrate, come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito rigetta il ricorso originario della contribuente, che condanna al pagamento delle spese

del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 7.800,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito. Compensa le spese dei gradi di merito.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 25 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 6 dicembre 2018

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