Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3161 del 11/02/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 3161 Anno 2013
Presidente: DI CERBO VINCENZO
Relatore: BRONZINI GIUSEPPE

MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo del ricorso principale, la società censura la decisione impugnata per
violazione o falsa applicazione dell’art. 1372 comma 1 e 2 c. c., 1175, 1375, 1427 1431
c.c. e dell’art. 100 c.p.c.: la percezione del t.f.r. e altre circostanze dedotte comprovavano
il disinteresse della lavoratrice per la prosecuzione del rapporto lavorativo:
Con il secondo motivo, la società denunzia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 23
della I. 56/87,. Nonché degli accordi sindacali 25.9.1997, del 16.1.1998, del 27.4.1998,
2.7.1998, 24.5.1999 e 18.1.2001: l’autonomia sindacale non incontra limiti ed ostacoli nella
tipologia dei nuovi contratti a termine in relazione alle ipotesi che ne legittimano la
conclusione, per cui gli accordi successivi a quello del 25.9.1997 non hanno una natura
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Data pubblicazione: 11/02/2013

negoziale bensì meramente ricognitiva del fenomeno della ristrutturazione e
riorganizzazione aziendale in atto.
Con il terzo lamenta l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto
decisivo della controversia, ai sensi dell’art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c. in ordine alla valutazione
dei contratti prima citati che avevano accertato la permanenza delle esigenze menzionate

Con il quarto motivo deduce la violazione e falsa applicazione di norme di diritto. Le
retribuzioni spettavano solo dal momento in cui il datore di lavoro era stato messo in mora,
il che non era stato idoneamente accertato.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con riguardo al primo motivo, deve rilevarsi come questa Corte abbia più volte affermato
che “nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto
di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell’illegittima apposizione al contratto di
un termine finale ormai scaduto, affinché possa configurarsi una risoluzione del rapporto
per mutuo consenso, è necessario che sia accertata — sulla base del lasso di tempo
trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonché del comportamento
tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative — una chiara e certa comune
volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo; la
valutazione del significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto compete al
giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non
sussistono vizi logici o errori di diritto” (v. Cass. 10-11-2008 n. 26935, Cass. 28-9-2007 n.
20390, Cass. 17-12-2004 n. 23554, Cass. 11-12-2001 n. 15621).
Tale principio va enunciato anche in questa sede, rilevando, inoltre che, come pure è
stato precisato, “grava sul datore di lavoro, che eccepisca la risoluzione per mutuo
consenso, l’onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la volontà chiara e
certa delle parti di volere porre definitivamente fine ad ogni rapporto di lavoro” (v. Cass. 212-2002 n. 17070). Nella specie la Corte d’Appello con motivazione immune da vizi logico
giuridici, ha accertato che non vi era stato alcun comportamento del lavoratore che
potesse far presumere una sua acquiescenza alla risoluzione del rapporto e che il solo
decorrere del tempo tra la cessazione di quest’ultimo ed il tentativo di conciliazione o la
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all’art. 8 del CCNL del 1994.

percezione del TFR non potevano essere in alcun modo interpretati come volontà di
accettazione della risoluzione per mutuo consenso.

In ordine al secondo e terzo motivo, che devono trattarsi congiuntamente per la
connessione delle questioni che ne costituiscono l’oggetto, osserva il Collegio che la Corte

stipulato, per esigenze eccezionali – ai sensi dell’art. 8 del ceni del 1994, come integrato
dall’accordo aziendale 25 settembre 1997 – in data successiva al 30 aprile 1998.
Tale considerazione – in base all’indirizzo ormai consolidato in materia dettato da questa
Corte (con riferimento al sistema vigente anteriormente al ceni del 2001 ed al d.lgs. n. 368
del 2001) – è sufficiente a sostenere l’impugnata decisione, in relazione alla nullità del
termine apposto al contratto de quo.
Al riguardo, sulla scia di Cass. S.U. 2-3-2006 n. 4588, è stato precisato che “l’attribuzione
alla contrattazione collettiva, ex art. 23 della legge n. 56 del 1987, del potere di definire
nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla legge n. 230 del 1962,
discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali
sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace
salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale
di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e
prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra
contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei
lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al
datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato” (v. Cass. 4-8-2008 n.
21063, v. anche Cass. 20-4-2006 n. 9245, Cass. 7-3-2005 n. 4862, Cass. 26-7-2004 n.
14011). “Ne risulta, quindi, una sorta di “delega in bianco” a favore dei contratti collettivi e
dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati alla individuazione di
ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul
medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa
delineato.” (v., fra le altre, Cass. 4-8-2008 n. 21062, Cass. 23-8-2006 n. 18378).

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di merito ha attribuito rilievo decisivo alla considerazione che il contratto in esame è stato

In tale quadro, ove però, come nel caso di specie, un limite temporale sia stato previsto
dalle parti collettive (anche con accordi integrativi del contratto collettivo) la sua
inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione del termine (v. fra le altre
Cass. 23-8-2006 n. 18383, Cass. 14-4-2005 n. 7745, Cass. 14-2-2004 n. 2866).
In particolare, quindi, come questa Corte ha costantemente affermato e come va anche
qui ribadito, “in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo

con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno
convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla
trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e
rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile
1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute
dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con la
ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo indeterminato, in
forza dell’art. 1 della legge 18 aprile 1962 n. 230” (v., fra le altre, Cass. 1-10-2007 n.
20608; Cass. 28-11-2008 n. 28450; Cass. 4-8-2008 n- 21062; Cass. 27-3-2008 n. 7979,
Cass. 18378/2006 cit.).
In base a tale orientamento consolidato ed al valore dei relativi precedenti, pur riguardanti
la interpretazione di norme collettive (cfr.. Cass. 29-7-2005 n. 15969, Cass. 21-3-2007 n.
6703), va, quindi, confermata la declaratoria di nullità del termine apposto al contratto de
qua

Il quarto motivo di ricorso è inammissibile per violazione del principio di autosufficienza,
risultando dalla sentenza della Corte di Appello che la messa in mora è stata riconnessa
alla notifica del ricorso di primo grado, laddove la società contesta l’efficacia di
costituzione in mora di tale documento senza trascriverne il contenuto. Emerge dallo
stesso quesito a pag. 23 che le retribuzioni sono, anche per le Poste, dovute dall’atto di
messa in mora con l’offerta della prestazione lavorativa, il che per la Corte territoriale
come già detto, è avvenuto con la notifica del ricorso di primo grado, circostanza che parte
ricorrente contesta in modo assolutamente generico.
Con il ricorso incidentale si deduce l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione
circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio: la messa in mora delle Poste era
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sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e

avvenuta prima della data stabilita dalla Corte territoriale ed esattamente con la missiva
del 5.8.2003 con la quale si erano offerte le prestazioni.
Il ricorso appare infondato per difetto di interesse, considerato lo ius superveniens,
rappresentato dall’ad. 32, commi 5 0 , 60 e 7° della legge 4 novembre 2010 n. 183, in vigore
dal 24 novembre 2010 ( ed applicabile ai giudizi pendenti in cassazione per giurisprudenza
di questa Corte ormai consolidata) avendo il ricorrente in via incidentale ottenuto in grado

Si deve pertanto riunire i ricorsi che vanno rigettati. Stante la reciproca soccombenza si
devono compensare tra le parti le spese.
P.Q.M.
La Corte: riunisce i ricorsi e li rigetta. Compensa tra le parti le spese.
Così deciso in ROMA, nelle camere di consiglio dell’8.11.2012 e del 23.1.2013

di appello un importo superiore a quello spettante alla luce della nuova normativa.

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