Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31606 del 06/12/2018

Cassazione civile sez. trib., 06/12/2018, (ud. 26/09/2018, dep. 06/12/2018), n.31606

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – rel. Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28144-2013 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

IMMOBILIARE CASERANE SPA;

– intimato –

e da:

IMMOBILIARE CASERANE SPA, domiciliato in ROMA P.ZZA CAVOUR presso la

cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’Avvocato MORI PIERGIOVANNI;

– controricorrente incidentale –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE;

– intimata –

avverso la sentenza n. 56/2013 della COMM.TRIB.REG. di FIRENZE,

depositata il 19/04/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26/09/2018 dal Consigliere Dott. DE MASI ORONZO.

Fatto

RITENUTO

che la Immobiliare Caserane s.r.l. acquistò, per atto di compravendita del 25/7/2007, dalla Bigagli s.r.l. in liquidazione, in esecuzione del concordato fallimentare omologato con sentenza del 20/12/2006 dal Tribunale di Prato, un complesso immobiliare, per il complessivo prezzo di Euro 5.400.000,00, oltre iva, e, per quanto d’interesse, l’Ufficio, con avviso di accertamento notificato il 7/8/2009, rettificò il valore dichiarato nell’atto (per i negozi 2/1 e 2/2), sulla scorta di quello determinato dall’UTE, applicò gli interessi ed irrogò le relative sanzioni;

che iI ricorso proposto dalla contribuente fu respinto dall’adita CTP di Prato, ma la decisione venne riformata dalla CTR della Toscana, con la sentenza indicata in epigrafe, sul rilievo che il giudice di prime cure aveva violato il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 51, dal momento che la perizia giudiziale, quella appunto redatta per l’omologazione del concordato, “sostanzialmente conferma i valori indicati negli atti dalla contribuente, salvo “differenze (…) dovute probabilmente alla particolare tipologia delle vendite fallimentari”, e non solo è stata “richiamata indirettamente nell’atto di compravendita”, ed anche “consegnata (…) all’Agenzia delle Entrate”, ma riguarda proprio gli immobili oggetto della compravendita;

che la CTR osservava, altresì, che la perizia di stima dell’Agenzia del Territorio, la quale “certo non può dirsi neutra”, si basa, com’è ricavabile dalle relative schede, soltanto su un “accesso esterno” e sulle “misure catastali”, e quindi, non considera “la reale tipologia e condizione degli immobili in questione ed il loro stato d’uso”, per cui non può ritenersi assolto l’onere della prova (art. 2697 c.c.) gravante sull’Amministrazione finanziaria;

che l’Agenzia delle Entrate ricorre per la cassazione della sentenza, con tre mezzi, ai quali resiste la società intimata, che con ricorso incidentale si duole della statuizione sulle spese processuali.

Diritto

CONSIDERATO

che, con il primo motivo, la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 51, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, giacchè la sentenza impugnata nega la legittimità dell’utilizzo della stima UTE, elemento di valutazione che rientra a pieno titolo nelle previsioni della norma richiamata, al quale l’avviso di liquidazione rinvia per relationem, e finisce per attribuire un valore probatorio privilegiato alle perizie giudiziali, a discapito di quelle redatte da un organo tecnico dell’Amministrazione;

che, con il secondo motivo, lamenta motivazione insufficiente e contraddittoria su un fatto controverso e decisivo del giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, giacchè la sentenza impugnata non considera che la stima UTE contiene una serie di elementi (consistenza commerciale, listini immobiliari, indagini di mercato, zona di inserimento degli immobili e loro stato di manutenzione) acquisiti in sede di sopralluogo, per cui il mancato accesso all’interno del complesso immobiliare non ne inficia le conclusioni finali, non essendo stato utilizzato, per l’accertamento del più probabile valore di mercato dei beni compravenduti, il metodo di valutazione diretto, ma piuttosto quello sintetico-comparativo, 20/12/2006, mentre la sostanziale corrispondenza tra prezzo dichiarato (Euro 5.400.000,00), e valore stimato nella perizia giudiziale (Euro 5.300.000,00) contrasta con la circostanza che atto traslativo non riguarda l’intero complesso immobiliare;

che, con il terzo motivo, lamenta omesso esame circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, giacchè la sentenza impugnata nulla argomenta in ordine al perchè la stima UTE sia da ritenere inattendibile, nonostante le specifiche deduzioni difensive all’uopo svolte dall’Ufficio; che la prima censura è infondata, e non merita accoglimento, per le ragioni di seguito esposte;

che l’Ufficio, a norma del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 52, comma 1, provvede alla rettifica, e alla conseguente liquidazione della maggiore imposta, se ritiene che gli immobili ceduti abbiano un valore venale superiore a quello dichiarato o al corrispettivo pattuito, ed a tal fine, ai sensi del cit. D.P.R., art. 51, comma 3, ha “riguardo ai trasferimenti a qualsiasi titolo e alle divisioni e perizie giudiziarie, anteriori di non oltre tre anni alla data dell’atto o a quella in cui se ne produce l’effetto traslativo o costitutivo, che abbiano avuto per oggetto gli stessi immobili o altri di analoghe caratteristiche e condizioni, ovvero al reddito netto di cui gli immobili sono suscettibili, capitalizzato al tasso mediamente applicato alla detta data e nella stessa località per gli investimenti immobiliari, nonchè ad ogni altro elemento di valutazione, anche sulla base di indicazioni eventualmente fornite dai comuni”;

che questa Corte ha affermato che i predetti criteri di valutazione sono assolutamente pariordinati (cfr. Cass. n. 4221/2006), ed in riferimento al sopra detto criterio comparativo ha rilevato che la prescrizione per cui deve aversi riguardo ai trasferimenti a qualsiasi titolo ed alle divisioni e perizie giudiziarie, anteriori di non oltre tre anni, non implica l’immodificabilità del valore risultante da detti atti, ma si limita ad indicare un parametro certo di confronto, in base al quale l’Ufficio deve determinare il valore del bene in comune commercio (Cass. n. 963/2018, Cass. n. 4363/2011);

che, alla stregua dei suesposti principi, l’errore di diritto addebitato alla sentenza impugnata è insussistente, in quanto la CTR non si è limitata a richiamare le risultanze della perizia giudiziale, redatta, circa due anni prima del rogito di compravendita, nell’ambito della procedura di concordato fallimentare interessante la società venditrice, con riferimento proprio al medesimo complesso immobiliare per cui è causa, ma ha provveduto a confrontare dette risultanze, con le risultanze della stima UTE, che ha ritenuto metodologicamente meno attendibili, in quanto non ancorate alla “reale tipologia e condizione degli immobili in questione” ed al “loro stato d’uso”, ed ha, quindi, illustrato le ragioni di tale convincimento, basato sulle specifiche caratteristiche dei beni compravenduti, e delle modalità proprie delle “vendite fallimentari”, che spiegano pure le “differenze tra atto e atto”;

che la decisione è in linea con la giurisprudenza di questa Corte secondo cui, “In tema di accertamenti tributari, qualora la rettifica del valore di un immobile si fondi sulla stima dell’UTE o di altro ufficio tecnico, che ha il valore di una semplice perizia di parte, il giudice investito della relativa impugnazione, pur non potendo ritenere tale valutazione inattendibile solo perchè proveniente da un’articolazione dell’Amministrazione finanziaria, non può considerarla di per sè sufficiente a supportare l’atto impositivo, dovendo verificare la sua idoneità a superare le contestazioni dell’interessato ed a fornire la prova dei più alti valori pretesi ed essendo, altresì, tenuto ad esplicitare le ragioni del proprio convincimento.” (tra le altre, Cass. n. 9357/2015);

che le ultime due censure sono palesemente inammissibili, in quanto la sentenza impugnata è stata pubblicata successivamente alla data (11/9/2012) di entrata in vigore della modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, per cui, secondo la nuova formulazione della norma, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia.” (tra le altre, Cass. n. 23940/2017);

che, nel caso di specie, le censure dell’Agenzia delle Entrate si limitano ad una critica del convincimento espresso dal giudice di appello, in esito all’esame del materiale probatorio, che risulta compiutamente eseguito, ed il cui apprezzamento, che attinge al merito della controversia, non dà luogo al denunciato vizio motivazionale, non essendo inquadrabile nel paradigma della richiamata disposizione del codice di rito;

che, con il motivo di ricorso incidentale, l’intimata società Immobiliare Caserane lamenta violazione dell’art. 92 c.p.c., comma 2, e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 15, nonchè difetto di motivazione, giacchè la sentenza impugnata dispone la compensazione delle spese processuali di primo e di secondo grado, “in ragione della tipologia e dello sviluppo della vertenza”, senza esplicitare realmente le “gravi ed eccezionali ragioni” che consentono la deroga alla regola della soccombenza;

che la censura è fondata alla luce della giurisprudenza di questa Corte secondo cui, “In tema di spese giudiziali, ai sensi dell’art 92 c.p.c., nella formulazione vigente ratione temporis, le “gravi ed eccezionali ragioni”, da indicarsi esplicitamente nella motivazione, che ne legittimano la compensazione totale o parziale, devono riguardare specifiche circostanze o aspetti della controversia decisa e non possono essere espresse con una formula generica (nella specie, “la natura della controversia e le alterne vicende dell’iter processuale”) inidonea a consentire il necessario controllo.” (tra le altre, Cass. n. 22310/2017, n. 11217/2016);

che il giudice di merito, infatti, accogliendo l’appello della contribuente, avrebbe dovuto condannare la Agenzia delle Entrate a rifondere all’appellante, totalmente vittoriosa, le spese del giudizio del grado nel quale l’appellata era rimasta viceversa soccombente, per cui appare evidente la violazione del principio di cui all’art. 91 c.p.c. (“Il giudice, con la sentenza che chiude il processo davanti a lui, condanna la parte soccombente al rimborso delle spese a favore dell’altra parte e ne liquida l’ammontare insieme con gli onorari di difesa”), che trova applicazione anche nella materia tributaria, regolata dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 15, comma primo, norma di contenuto e tenore analogo (“La parte soccombente è condannata a rimborsare le spese del giudizio che sono liquidate con la sentenza”);

che, quindi, è censurabile la decisione del giudice di merito con cui è stata disposta la compensazione delle spese processuali di entrambi i gradi del giudizio, e la consequenziale “restituzione alla contribuente della somma di Euro 2.000,00 eventualmente trasmessa dalla stessa”, in quanto fondata su ragioni, quali la “tipologia” e lo “sviluppo della vertenza”, che non soddisfano affatto l’obbligo motivazionale;

che, peraltro, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, questa Corte può decidere la causa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., in quanto ciò è consentito non soltanto nel caso di violazione o falsa applicazione di norme sostanziali, ma anche nel caso in cui il suddetto vizio attenga – come nel caso di specie – a norme processuali (Cass. n. 2977/2005);

che, in conclusione, accolto il ricorso incidentale, respinto il ricorso principale, la sentenza impugnata va cassata, limitatamente al capo delle spese processuali, e, decidendo nel merito, poichè l’Agenzia delle Entrate è rimasta soccombente, essa deve rifondere alla controparte le spese del giudizio di primo e secondo grado, nonchè quelle del giudizio di legittimità, che sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il ricorso incidentale, rigetta il ricorso principale, cassa la sentenza impugnata limitatamente al mezzo accolto, e decidendo nel merito condanna l’Agenzia delle Entrate al pagamento, in favore della contribuente, delle spese del giudizio di primo grado, liquidate in Euro 2.000,00, delle spese del giudizio di appello, liquidate in Euro 3.000,00, nonchè delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 5.000,00 per compensi, oltre rimborso spese forfettarie ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 26 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 6 dicembre 2018

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