Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31604 del 06/12/2018

Cassazione civile sez. trib., 06/12/2018, (ud. 26/09/2018, dep. 06/12/2018), n.31604

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – rel. Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16001-2013 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

IL QUADRIFOGLIO SRL;

– intimato –

e da:

IL QUADRIFOGLIO SRL, elettivamente domiciliato in ROMA VIA ILDEBRANDO

GOIRAN 23, presso lo studio dell’avvocato ROMOLI ADRIANA,

rappresentato e difeso dall’avvocato RAFFAELLI DANIELE;

– controricorrente incidentale –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE;

– intimata –

avverso la sentenza n. 64/2012 della COMM.TRIB.REG. di ANCONA,

depositata il 08/05/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26/09/2018 dal Consigliere Dott. DE MASI ORONZO.

Fatto

RITENUTO

che Quadrifoglio s.r.l., con atto del 28/2/2007, costituiva, in favore di Prati Verdi s.r.l., il diritto di usufrutto temporaneo su alcuni terreni, siti nel Comune di Corinaldo, scontando l’imposta di registro, con aliquota dell’8%, autoliquidata dal notaio rogante, sul presupposto che si trattava di area compresa nel Piano Provinciale Cave, adottato dalla Provincia di Ancona, ma l’Agenzia delle Entrate notificava avviso di liquidazione in rettifica, per il recupero della maggiore imposta di Euro 206.500,00, in quanto l’atto avrebbe dovuto essere assoggettato all’imposta di registro, con l’aliquota del 15%, trattandosi di terreno agricolo acquistato da soggetto non imprenditore agricolo professionale;

che, avverso l’avviso di liquidazione, la società Quadrifoglio proponeva ricorso, e l’adita Commissione tributaria provinciale di Ancona rigettava l’impugnazione, con decisione riformata dalla Commissione tributaria regionale delle Marche, la quale, con la sentenza indicata in epigrafe, accoglieva l’appello della contribuente e dichiarava la illegittimità dell’atto l’avviso impugnato, essendo applicabile all’atto notarile del 28/2/2007 l’imposta di registro con l’aliquota dell’8%, sul rilievo che i terreni certamente erano destinati ad attività estrattiva, e non a quella agricola, e che l’Ufficio non poteva considerarli agricoli soltanto perchè non era ancora stata concessa l’autorizzazione comunale allo sfruttamento della cava, dato che si trattava di atto successivo, non incidente sulla classificazione dei terreni, posto che l’inserimento nel Piano Cave era sufficiente a modificarne la destinazione urbanistica;

che, avverso la sentenza della CTR, propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate, affidato ad un motivo, cui resiste la società intimata, con controricorso, contenente ricorso incidentale condizionato.

Diritto

CONSIDERATO

che con il mezzo d’impugnazione la ricorrente deduce, violazione di legge, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, avuto riguardo al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20 e art. 1, commi 1 e 2, della tariffa parte prima annessa al medesimo D.P.R., e L.R. Marche n. 71 del 1997, artt. 7, 8, 9, 12 e 13, giacchè la CTR non ha considerato che, al momento della stipula dell’atto, la cava era ancora da aprire, che era convenzionalmente posto a carico della società usufruttuaria ogni relativo onere ed adempimento amministrativo, che era, invece, attuale lo sfruttamento agricolo dei terreni – (ricadenti in zona E, sottozona E1.1. – agricole normali del Cesano e della Nevola art. 42 N.T.A. del P.R.G., ed in parte soggetti a tutela paesistico ambientale zona E sottozona E3 corsi d’acqua), circostanza ricavabile dall’allegato certificato di destinazione urbanistica del 23/2/2007, e dalla perizia di parte del 14/4/2007, redatta da un agronomo, sicchè non poteva darsi rilievo alla mera possibilità di un diverso sfruttamento dei beni;

che la ricorrente incidentale, con il mezzo d’impugnazione, deduce, violazione di legge, in relazione all’art. 360 c.p.c., avuto riguardo al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 42, comma 1 e art. 57, commi 1 e 4, giacchè la CTR ha erroneamente considerato “suppletiva” l’imposta reclamata, ed applicato la conseguente solidarietà contributiva tra cedente e cessionario, trattandosi piuttosto di imposta “complementare” per la quale tale vincolo non opera;

che il motivo di ricorso principale è infondato, e va respinto, con conseguente assorbimento del motivo di ricorso incidentale;

che, come già affermato da questa Corte, “In tema di imposta di registro, per determinare la natura del bene compravenduto, onde individuare l’aliquota applicabile, occorre avere riguardo alle previsioni urbanistiche correnti al momento dell’atto, che incidono sulle sue qualità ai fini fiscali, essendone irrilevante la concreta utilizzazione o utilizzabilità” (Cass. 23045/2016);

che, nella fattispecie allora esaminata, si è correttamente ritenuta applicabile l’aliquota dell’8%, e non quella del 15%, prevista per i terreni agricoli acquistati da soggetto privo della qualifica di imprenditore agricolo professionale, relativamente ad una compravendita di terreno inserito nel “piano cava” di cui alla L.R. Lombardia n. 14 del 1998, malgrado la mancanza, al momento della stipula dell’atto, del provvedimento di autorizzazione all’estrazione, in quanto la circostanza che “per l’area sia prevista dallo strumento urbanistico la possibilità di utilizzazione come cava esclude la natura agricola del terreno, non assumendo rilevanza alcuna la necessità che, per l’effettivo sfruttamento, il proprietario od un terzo interessato debbano ottenere l’autorizzazione previa verifica della sussistenza delle condizioni previste per il rilascio della stessa, così come non esclude la natura edificatoria del terreno il fatto che il proprietario debba munirsi della concessione per poter edificare”, che, quindi, deve ritenersi definitivamente superato l’orientamento espresso dalla Corte con la sentenza n. 20385/2006, alla luce del successivo pronunciamento a sezioni unite (la sentenza n. 25506/2006), in quanto, in materia di terreni inseriti nel “piano cava”, l’intervenuta adozione dell’iniziale provvedimento di inserimento nel polo estrattivo aveva già essa stessa snaturato, ab origine, la destinazione urbanistica dell’immobile compravenduto, incidendo così sulle qualità rilevanti ai fini fiscali del bene stesso, e ciò indipendentemente dal profilo per cui l’iter del provvedimento si fosse perfezionato solo successivamente (Cass. n. 26120 e n. 26121 del 05/10/2007);

che la Corte (Cass. n. 14403/2010), chiamata a risolvere il problema se i terreni sfruttati come cave debbano essere valutati con il metodo del valore venale (D.P.R. n. 131 del 1986, art. 52, comma 1), o mediante l’utilizzo del metodo di valutazione automatica, in base alla rendita catastale (cit. D.P.R., art. 52, comma 4), ha ribadito il principio di effettività, ed affermato il principio di diritto per cui, “ove un terreno sia inserito in un Piano Attività Estrattive, a prescindere dalla definitiva approvazione e dal rilascio delle singole autorizzazioni allo scavo, che possono solo influire sulla determinazione del valore concreto, non è possibile procedere alla valutazione automatica dovendosi invece accertare il valore venale” (cfr. anche Cass. n. 649/2001, ai fini invim, che “esclude l’applicazione dell’istituto della c.d. valutazione automatica quando le risultanze catastali non corrispondano alla effettiva e giuridica destinazione del terreno, anche se il contribuente non abbia avuto cura di denunciare la variazione”);

che, nel caso che ne occupa, non è contestato che i terreni, ancor prima della stipula dell’atto, erano stati inseriti nel PRAE (Piano regionale delle attività estrattive), con validità decennale, e nel PPAE (piano provinciale delle attività estrattive), per cui risultavano individuati, dalla Provincia di Ancona, secondo le prescrizione della L.R. Marche n. 71 del 1997 (Norme per la disciplina delle attività estrattive), i bacini estrattivi interessati dalla presenza di giacimenti suscettibili di economica coltivazione e compatibili con il sistema ambientale, difettando solo l’autorizzazione che viene rilasciata dal Comune interessato all’esito di specifico procedimento (cit. L.R. Marche, art. 13);

che, dunque, ove per “l’area sia prevista dallo strumento urbanistico la possibilità di utilizzazione come cava” va esclusa la natura agricola del terreno) non assumendo rilevanza alcuna la necessità che, per l’effettivo sfruttamento, il proprietario od un terzo interessato debbano ottenere l’autorizzazione previa verifica della sussistenza delle condizioni previste per il rilascio della stessa, così come non esclude la natura edificatoria del terreno il fatto che il proprietario debba munirsi della concessione per poter edificare” (Cass. n. 23045/2016 cit.);

che le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso principale, dichiara assorbito il ricorso incidentale, e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 5.600,00 per compensi, oltre rimborso spese forfettarie nella misura del 15 per cento ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 26 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 6 dicembre 2018

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