Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3160 del 17/02/2016


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 3160 Anno 2016
Presidente: PETITTI STEFANO
Relatore: MANNA FELICE

SENTENZA
sul ricorso 15510-2014 proposto da:
TRAPANI PIETRO, IARIA ANTONINA, TRAPANI ROSALBA,
elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZALE DELLE BELLE
ARTI 8, presso lo studio dell’avvocato ANTONINO PELLICANO’,
che li rappresenta e difende giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrenti contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA 8018440587, in persona del
Ministro pro tempore elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

Data pubblicazione: 17/02/2016

- controricorrente avverso il decreto n. 455/2013 della CORTE D’APPELLO di
CATANZARO del 28/10/2013, depositato il 05/12/2013;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
05/11/2015 dal Consigliere Relatore Dott. FELICE MANNA;

udito l’Avvocato Antonino Pellicanò difensore dei ricorrenti che
insiste per raccoglimento del ricorso.

Ric. 2014 n. 15510 sez. M2 – ud. 05-11-2015
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I

IN FATTO
Con ricorso del 25.7.2013 Antonina Tana e Pietro e Rosalba Trapani
adivano la Corte d’appello di Catanzaro per ottenere la condanna del
Ministero della Giustizia al pagamento di un equo indennizzo, ai sensi

causa avente ad oggetto la corresponsione della rivalutazione monetaria
dell’indennità di disoccupazione agricola. Accertata una durata eccedente di
14 anni e 10 mesi, il consigliere designato con decreto emesso ai sensi
dell’art. 3, comma 5 legge citata, liquidava tuttavia l’indennizzo in misura
pari al valore del diritto accertato, e così in 940,48 per Antonina Tana, in €
790,38 per Pietro Trapani e in E 610,77 per Rosalba Trapani.
L’opposizione proposta dai ricorrenti ai sensi dell’art. 5-ter stessa legge era
respinta dalla Corte d’appello, in composizione collegiale, con decreto emesso
il 5.12.2013, che poneva altresì le spese a carico degli opponenti. Osservava
la Corte territoriale che il chiaro tenore letterale dell’art. 2-bis, comma 3 legge
n. 89/01 impone al giudice dell’equa riparazione di liquidare una somma non
superiore al valore della causa o, se inferiore, al diritto accertato.
Per la cassazione di tale decreto Antonina lana e Pietro e Rosalba Trapani
ricorrono sulla base di tre motivi, cui ha fatto seguito il deposito di memoria.
Resiste con controricorso il Ministero della Giustizia.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.

Il primo motivo denuncia la violazione dell’art. 2-bis, comma 3, legge

n. 89/01, in connessione col difetto assoluto di motivazione, in relazione ai
nn. 3 e 5 dell’art. 360 c.p.c. Nel richiamare a proprio vantaggio i precedenti di
questa Corte nn. 22225, 22226, 22227 e 22228 del 2013, i ricorrenti deducono
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dell’art. 2 della legge 24 marzo 2001, n. 89, per la durata irragionevole di una

che i criteri di liquidazione dell’indennizzo non possono discostarsi dalla
giurisprudenza della Corte EDU; e che, in particolare, l’art. 2 bis, comma 3

della legge Pinto va interpretato nel senso che — come si ricava dal raffronto
col primo comma, secondo cui il giudice liquida a titolo di equa riparazione

il limite ivi indicato si riferisce al parametro annuale dell’indennizzo, e non
alla liquidazione complessiva. Con la conseguenza che pese ultima,
risultante dalla somma degli indennizzi annui, non incontrerebbe alcun limite
massimo.
2. – Il secondo motivo deduce la violazione degli artt. 2 legge n. 89/01, 6,
par. 1, 13 e 41 CEDU e 2056 e 1226 c.c., in connessione col difetto assoluto
di motivazione, in relazione ai nn. 3 e 5 dell’art. 360 c.p.c. Il giudice
nazionale, si sostiene, può discostarsi dallo standard di liquidazione previsto
dalla giurisprudenza della Corte EDU, ma a condizione che le decisioni
pertinenti siano coerenti con la tradizione giuridica e con il tenore di vita del
paese interessato, e purché gli importi liquidati non risultino irragionevoli. Di
qui il parametro di riferimento seguito dai precedenti di legittimità, che
reputano ragionevole liquidare € 750,00 per ciascuno dei primi tre anni di
ritardo e E 1.000,00 per ogni anno successivo.
Per l’ipotesi di un’interpretazione dell’art. 2 bis, comma 3 legge n. 89/01

conforme a quella operata nel decreto impugnato, parte ricorrente prospetta, e
illustra nella memoria ex art. 378 c.p.c., una questione d’illegittimità
costituzionale della norma per violazione degli artt. 3 e 117 Cost. Così intesa,
infatti, la disposizione da un lato creerebbe una disparità di trattamento fra chi
è risultato soccombente e chi ha avuto liquidata un somma modesta nel
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una somma di denaro non inferiore a 500,00 e non superiore a 1.500,00 euro —

giudizio di riferimento, il primo avendo diritto ad una somma maggiore di
quella spettante al secondo; dall’altro, contraddirebbe il diritto ad un processo
equo, in violazione della norma interposta dell’art. 6 CEDU.
3. – Il terzo mezzo lamenta l’illogicità, la contraddittorietà e la carenza

delle spese.
La statuizione, secondo parte ricorrente, sarebbe assolutamente gratuita e
immotivata considerata la natura del giudizio d’equa riparazione, che
condiziona la condanna alle spese del ricorrente solo nell’ipotesi di lite
temeraria. Esclusa, nella specie, atteso che il Ministero della Giustizia nel
costituirsi non ha spiegato alcuna specifica contestazione nei riguardi
dell’opposizione. Tali circostanze, pertanto, avrebbero dovuto indurre la Corte
distrettuale a compensare le spese.
4. – Il primo motivo è infondato.
In disparte che a differenza del caso in esame i precedenti di Cass.
22225, 22226, 22227 e 22228 del 2013, invocati a proprio favore dai
ricorrenti, si riferiscono tutti a procedimenti d’equa riparazione governati dal
testo della legge n. 89/01 anteriore alle modifiche apportate dal D.L. n. 83/12,
convertito in legge n. 134/12, che non conteneva una disposizione analoga a
quella dell’art. 2-bis, terzo comma; ciò a parte, va osservato che la piana
esegesi letterale e l’interpretazione teleologica di detta norma — inserita
dall’art. 55, comma 1, lett. b) D.L. n. 83/12, convertito con modificazioni in
legge n. 134/12 — escludono che il limite di liquidazione ivi fissato si riferisca
alla (sola) misura dell’indennizzo annuo e non (anche) a quella
dell’indennizzo totale.
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assoluta della motivazione del decreto impugnato in punto di regolamento

4.1. – La tesi di parte ricorrente (come già affermato in fattispecie identica
da Cass. n. 25804/15, non massimata) appare contraria al testo della norma,
che così recita: “(1)a misura dell’indennizzo, anche in deroga al comma 1, non
può in ogni caso essere superiore al valore della causa o, se inferiore, a quello

ogni caso rendono evidente che il limite del valore della causa si riferisca alla
somma totale liquidabile. Se le parole hanno un senso, anche e in ogni caso
significano, all’interno dell’unico periodo di cui consta il comma 3,
rispettivamente che il limite all’indennizzo correlato al valore della causa va
oltre la sola liquidazione per anno di ritardo, e costituisce la soglia massima
che l’equa riparazione non può comunque eccedere.
La norma in commento potrebbe avere il significato proposto dalla parte
ricorrente solo a patto di elidere l’una e l’altra espressione; la cui presenza,
per contro, confuta senza possibilità di equivoco la censura in esame.
4.2. – Identico l’approdo cui perviene l’interpretazione teleologica. Scopo
della norma, che positivizza un’esigenza avvertita, sia pure con accenti e
tecniche differenti, tanto nella giurisprudenza della Corte EDU (v. sentenza
21 dicembre 2010, divenuta definitiva il 20 giugno 2011, nel caso Gaglione
ed altri c. Italia) quanto nei precedenti di questa Corte Suprema (cfr. Cass. nn.
633/14 e 12937/12) è di evitare il rischio di sovracompensazioni, se non
addirittura di occasionali e insperati arricchimenti. Come questo S.C. ha già
avuto modo di affermare più volte, sia pure ad altri fini (id est, ;n materia di
successione mortis causa nel giudizio presupposto), il sistema sanzionatorio
delineato dalla CEDU e tradotto in norme nazionali dalla legge n. 89 del 2001
si fonda non sull’automatismo di una pena pecuniaria a carico dello Stato, ma
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del diritto accertato dal giudice”. La congiunzione anche e la locuzione in

sulla somministrazione di sanzioni riparatorie a beneficio di chi dal ritardo
abbia ricevuto danni patrimoniali o non patrimoniali, mediante indennizzi
modulabili in relazione al concreto paterna subito (cfr. fra le tante, Cass. nn.
13083/11 e 23416/09).

legge n. 89/01 non assolverebbe la propria funzione. L’indennizzo del danno
da durata irragionevole della lite riguarda un diritto la cui violazione, di natura
morale, non può eccedere quello stesso valore economico che, essendo in
bilico, provoca nella parte in causa l’ansia da attesa.
Non senza considerare, infine, che mentre il valore della controversia
identifica il proprium del patema indotto dalla pendenza giudiziaria,
l’indennizzo annuo costituisce null’altro che una tecnica di liquidazione del
danno; la quale, a sua volta, come non può essere confusa con il suo oggetto
così non può neppure prevaricarlo.
5. – Le considerazioni appena svolte assorbono il secondo motivo,
limitatamente alla censura riguardante la misura dell’indennizzo siccome
eccessivamente distante dagli standard della giurisprudenza EDU.
5.1. – E’, invece, manifestamente infondata la questione di legittimità
costituzionale, lì dove suppone che l’art. 2-bis, comma 3 legge Pinto
implicherebbe un’equa riparazione che, in caso di rigetto della domanda nel
giudizio presupposto, sarebbe maggiore di quella spettante nell’ipotesi di
accoglimento solo parziale. Infatti, una tale questione di legittimità (più volte
sollevata dalla Corte d’appello di Reggio Calabria) è stata già esaminata e
dichiarata manifestamente infondata dalla Corte costituzionale con ordinanze
nn. 240, 124 e 204 del 2014, per l’erroneità del presupposto interpretativo
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Inteso nel senso caldeggiato dai ricorrenti, il terzo comma dell’art. 2-bis

della norma oggetto del giudizio di costituzionalità. Ha osservato, infatti, il
giudice delle leggi che la disposizione censurata deve essere intesa nel senso
che essa si riferisce ai soli casi in cui il giudice accerta l’esistenza del diritto
fatto valere in giudizio dall’attore, il cui valore accertato costituisce un dato

l’indennizzo aveva nel processo presupposto. Non risulta, pertanto, esclusa la
possibilità di liquidare un indennizzo a titolo di equa riparazione della
violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, in favore di chi,
attore o convenuto, sia risultato, nello stesso, soccombente.
Scartata, dunque, l’ipotesi che la norma in commento si riferisca al solo
caso in cui la domanda sia stata accolta nel processo presupposto, cade il
paradosso logico-giuridico denunciato dalla parte ricorrente e con esso la
ragione della supposta illegittimità costituzionale della norma, per violazione,
pare di capire, del parametro implicito di ragionevolezza (conclusione,
quest’ultima, raggiunta anche nel caso del tutto analogo di Cass. n. 8947/15,
non massimata).
6. – Il terzo motivo è manifestamente infondato.
Né la legge n. 89/01 né altra disposizione consente di affermare che nei
giudizi di equa riparazione la condanna alle spese del ricorrente sia consentita
nel solo caso di lite temeraria o di particolari contestazioni della controparte.
Né tanto meno sarebbe invocabile al riguardo la natura assistenziale del
giudizio di riferimento e, con essa, l’applicazione dell’art. 152 disp. att. c.p.c.,
poiché il regolamento delle spese è specifico di ciascun processo e opera solo
per esso.
7. – In conclusione il ricorso va respinto.
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oggettivo, che non muta in ragione della posizione che la parte che chiede

8. – Seguono le spese, liquidate come in dispositivo, a carico dei ricorrenti
in solido tra loro.
9. – Rilevato che dagli atti il processo risulta esente dal pagamento del
contributo unificato, non si applica il raddoppio previsto dall’art. 13, comma

P. Q. M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti alle spese in solido tra
loro, spese che liquida in C 500,00 oltre spese prenotate e prenotande a debito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sesta sezione civile 2 della Corte Suprema di Cassazione, il 5.11.2015.

1-quater D.P.R. n. 115/02, inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12.

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