Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31595 del 06/12/2018

Cassazione civile sez. trib., 06/12/2018, (ud. 30/10/2018, dep. 06/12/2018), n.31595

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – rel. Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 2516/2015 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio

legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato;

– ricorrente –

contro

R.M.;

– intimato –

Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Sicilia, sezione 24, n. 258/24/13, pronunciata il 20/05/2011,

depositata il 27/11/2013.

Sul ricorso iscritto al n. 2835/2015 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio

legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato;

– ricorrente –

contro

R.M.;

– intimato –

Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Sicilia, sezione 24, n. 263/24/13, pronunciata il 20/05/2011,

depositata il 3/12/2013.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 30 ottobre 2018

dal Consigliere Guida Riccardo;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale Giacalone Giovanni, che ha concluso chiedendo

l’accoglimento del ricorso per quanto di ragione.

Fatto

FATTI DI CAUSA

L’Agenzia delle entrate ricorre, per quattro motivi, nei confronti di R.M., rimasto intimato, per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Sicilia (in seguito: CTR), n. 258/2013, che, in controversia riguardante l’impugnazione di un avviso di accertamento recante maggiori IRPEF, IVA, IRAP, per l’anno d’imposta 2002, ha accolto l’appello del contribuente riformando la sentenza n. 8/04/2009 della Commissione tributaria provinciale di Agrigento.

La CTR, innanzitutto, ha ritenuto illegittimo l’atto impositivo in quanto il contribuente, esercente l’attività di allevatore, aveva un volume di affari che giustificava l’applicazione del regime speciale dell’IVA e dell’IRAP; ha, quindi, ravvisato la nullità dell’avviso per il rinvio “per relazione” ad atti ad esso non allegati; inoltre, ha statuito che il processo verbale di constatazione (in seguito: PVC), redatto dalla Guardia di Finanza (in seguito: G.d.F.), relativo al controllo dell’attività di produzione di latte di pecora, esercitata dal contribuente, era fondato su elementi generici e, conclusivamente, ha censurato la sentenza di primo grado perchè viziata da errori di diritto e da uno sviluppo argomentativo carente.

L’Ufficio propone altro identico ricorso (recante i medesimi motivi che, pertanto, verranno esaminati una sola volta), nei confronti del contribuente, non costituito, avverso la sentenza della CTR n. 263/2013, identica, nel contenuto, alla sentenza n. 258/2013, che ha accolto un secondo appello del contribuente contro la citata sentenza di primo grado.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

a. Preliminarmente si dispone la riunione dei due ricorsi, ai sensi dell’art. 274 c.p.c..

1. Primo motivo di ricorso: “Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 61, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4”.

Si denuncia la nullità della sentenza della CTR nella quale, secondo la prospettazione dell’Ufficio, sarebbe stata completamente omessa l’indicazione: a) delle allegazioni delle parti nel giudizio di primo grado; b) della motivazione della sentenza di primo grado; c) del contenuto dell’atto di appello; d) delle norme poste a base della decisione.

1.1. Il motivo è infondato.

In tema di contenuto della sentenza, la concisa esposizione dello svolgimento del processo e dei fatti rilevanti della causa non costituisce un elemento meramente formale, bensì un requisito da apprezzarsi esclusivamente in funzione dell’intelligibilità della decisione e della comprensione delle ragioni poste a suo fondamento, la cui assenza configura motivo di nullità della sentenza quando non sia possibile individuare gli elementi di fatto considerati o presupposti nella decisione. (Cass. 20/01/2015, n. 920).

Nel caso in esame, la sentenza della CTR, per quanto sintetica, appare sufficientemente chiara e dà conto, tutto sommato, delle proprie rationes decidendi, riconducibili a vari profili d’invalidità (qualificati, dal giudice d’appello, come vizi d’illegittimità e di nullità) dell’atto impositivo e del verbale di constatazione che l’ha preceduto, nonchè alle carenze strutturali della decisione di primo grado.

2. Secondo motivo: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 144 c.p.c., nonchè dell’art. 156 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”.

Si fa valere l’error in procedendo della sentenza impugnata che, sull’eccezione dell’Ufficio di omessa notifica dell’atto di appello (eccezione sollevata, nelle controdeduzioni dell’Amministrazione finanziaria, con riferimento a ciascuno dei due atti di appello proposti dal contribuente avverso la medesima sentenza), si è limitata a constatare che: “si è ritualmente costituita l’Agenzia delle Entrate dell’Ufficio di Sciacca, che ha chiesto alla Commissione di dichiarare la inammissibilità dell’appello o in subordine il suo rigetto (…)” (cfr. pag. 2 delle sentenze impugnate), trascurando che l’omessa notifica del gravame determina un vizio radicale del procedimento di notificazione, insuscettibile di essere sanato per effetto della costituzione in giudizio del destinatario della notifica.

2.1. Il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.

Valga come premessa che quando, con il ricorso per cassazione, è dedotto un “error in procedendo”, il sindacato del giudice di legittimità investe direttamente l’invalidità denunciata, mediante l’accesso diretto agli atti sui quali il ricorso è fondato, indipendentemente dalla sufficienza e logicità della eventuale motivazione esibita al riguardo, posto che, in tali casi, la Corte di cassazione è giudice anche del fatto (Cass. 30/07/2015, n. 16164; in senso conforme: Cass. 13/05/2016, n. 9827).

Ciò precisato, tuttavia, quanto al primo aspetto (infondatezza del motivo), osserva la Corte che, dall’esame del fascicolo di secondo grado, risulta che l’atto di gravame che ha dato avvio al giudizio d’appello avente r.g. n. 5267/09 è stato regolarmente notificato all’Agenzia delle entrate che, in data 19/10/2009, ha ricevuto e sottoscritto l’avviso di ricevimento della relativa raccomandata n. (OMISSIS).

L’obiezione dell’Agenzia, secondo cui nel detto avviso di accertamento la firma del ricevente non sarebbe attribuibile ad alcun addetto alla ricezione dell’Ufficio e, inoltre, mancherebbe il timbro dell’Ufficio, è complessivamente infondata in quanto, da un lato, l’Agenzia non ha proposto querela di falso e, dall’altro, il “timbro dell’Ufficio” non è un requisito necessario della relata di notifica.

Per pacifico e costante orientamento di questa Corte: “Nel processo tributario, ove la parte appellante decida di notificare l’atto di gravame avvalendosi non già dell’ufficiale giudiziario, ma della spedizione diretta a mezzo piego raccomandato (consentita dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 16, comma 3), le indicazioni che debbono risultare dall’avviso di ricevimento ai fini della validità della notificazione, quando l’atto sia consegnato a persona diversa dal destinatario, sono non già quelle di cui all’art. 139 c.p.c., ma quelle prescritte dal regolamento postale per la raccomandata ordinaria. Ne consegue che non è ravvisabile alcun profilo di nullità ove il suddetto avviso di ricevimento, debitamente consegnato nel domicilio del destinatario, sia sottoscritto da persona ivi rinvenuta, ma della quale non risulti dall’avviso medesimo la qualità o la relazione col destinatario dell’atto, salva la facoltà del destinatario di dimostrare, proponendo querela di falso, la assoluta estraneità della persona che ha sottoscritto l’avviso alla propria sfera personale o familiare.” (Cass. 29/01/2008, n. 1908).

Quanto al secondo aspetto (inammissibilità del motivo), osserva la Corte che l’Ufficio non ha interesse a fare valere l’inesistenza giuridica della notificazione dell’atto di appello da cui è scaturito il procedimento con r.g. n. 5054/2009, trattandosi di un giudizio di gravame che, giova chiarirlo, costituisce una mera, superflua, duplicazione del citato procedimento n. 5267/2009, rispetto al quale, come si è visto, l’atto di gravame è stato regolarmente notificato all’Agenzia delle entrate.

3. Terzo motivo: “Violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.

Un altro rilievo riguarda la circostanza che la decisione impugnata ha ravvisato la nullità dell’atto impositivo per difetto di allegazione ad esso del PVC, mentre, in realtà, un simile obbligo di allegazione, sancito dalla L. n. 212 del 2000, art. 7,non sussiste quando, come è pacificamente accaduto in occasione della verifica fiscale della G.d.F., il contribuente ha avuto conoscenza legale del PVC, avendolo anche sottoscritto.

3.1. Il motivo è inammissibile.

La doglianza in esso contenuta è carente d’autosufficienza poichè, in difetto di riproduzione, in seno al ricorso per cassazione, del PVC – che si assume essere stato conosciuto dal contribuente che, secondo la prospettazione della ricorrente, lo avrebbe sottoscritto – la Corte non è posta nella condizione di valutare la fondatezza della censura.

4. Quarto motivo: “Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 546 del 1992, art. (57), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.

L’ultima ragione di critica si appunta contro la decisione d’appello che ha accolto la censura del contribuente circa l’applicazione del regime speciale dell’IVA, quale eccezione nuova, e, perciò, inammissibile, ai sensi dell’art. 57, comma 2, proc. trib..

4.1. Il motivo è inammissibile.

Esso reca un rilievo che non risulta dedotto nel giudizio di merito; al riguardo è opportuno ricordare che, per pacifica giurisprudenza di questa Corte, i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena di inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in cassazione questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase del merito e non rilevabili d’ufficio (Cass. 26/03/2012, n. 4787).

La parte, per evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice del merito, ma anche di indicare in quale atto del precedente giudizio lo abbia fatto, onde consentire alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminarne il merito (Cass. 16/06/2017, n. 15029; 31/01/2006, n. 2140).

5. Ne consegue il rigetto di entrambi i ricorsi (riuniti).

6. Nulla sulle spese del giudizio di legittimità poichè il contribuente non si è costituito.

P.Q.M.

La Corte riunisce il ricorso con r.g. n. 2835/2015 al ricorso con r.g. n. 2516/2015; rigetta entrambi i ricorsi.

Così deciso in Roma, il 30 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 6 dicembre 2018

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