Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3159 del 09/02/2011
Cassazione civile sez. un., 09/02/2011, (ud. 07/12/2010, dep. 09/02/2011), n.3159
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VITTORIA Paolo – Primo Presidente aggiun – –
Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente di sezio – –
Dott. D’ALONZO Michele – rel. Consigliere –
Dott. FIORETTI Francesco Maria – Consigliere –
Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –
Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere –
Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –
Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –
Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
A.M., residente in
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in Roma al Viale
dell’Oceano
Atlantico n. 25 presso lo studio dell’avv. LEUCI Maria Grazia che lo
rappresenta e difende in forza di “procura” rilasciata a margine del
ricorso;
– ricorrente –
contro
il Comune di S. Anastasia (NA), in persona del Sindaco pro tempore,
elettivamente domiciliato in Roma al Corso Vittorio Emanuele n. 284
(“c/o avv. Domenico Gaudiello”) insieme con l’avv. VITUCCI Adriano
che lo rappresenta e difende in forza della “procura” rilasciata a
margine del controricorso;
– controricorrente –
Avverso la sentenza n. 224/18/03 depositata il primo luglio 2004
dalla Commissione Tributaria Regionale della Campania;
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 7 dicembre 2010
dal Cons. Dott. Michele D’ALONZO;
sentite le difese delle parti, perorate dall’avv. Maria Grazia LEUCI,
per l’ A., e dall’avv. Adriano VITUCCI, per il Comune;
udito il P.M. in persona del Sostituto procuratore Generale Dott.
IANNELLI Domenico, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso notificato al Comune di S.
Anastasia (NA) (in plico postale spedito il 3 ottobre 2005 e
ricevuto) il giorno 11 ottobre 2005 (depositato il 21 ottobre 2005),
A.M. – premesso che la controversia “riguarda l’avviso
di accertamento ICI 1994 notificato il 15 gennaio 2000”, da
lui “contestato” (a) “per illegittimita’ del procedimento” perche’
il Comune “avrebbe dovuto adottare un criterio di quantificazione
delle tariffe di estimo delle unita’ immobiliari ai sensi del D.M.
(Min. Fin.) 27 settembre 1991 in contrasto col D.P.R. n. 1142 del
1949, limitandosi ad applicare la normativa vigente all’epoca del
periodo d’imposta di riferimento” e (b) perche’ “in tema di
fabbricati agricoli” “cat. D (suinaia)”) “la determinazione doveva
avvenire con stima diretta dell’UTE ex D.P.R. n. 1142 del 1949” -,
in forza di due motivi, chiedeva di cassare la sentenza n. 224/18/03
(depositata il primo luglio 2004) con la quale la Commissione
Tributaria Regionale della Campania aveva recepito l’appello
principale del Comune e respinto il gravame incidentale di esso
contribuente avverso la decisione (553/45/01) della Commissione
Tributaria provinciale di Napoli.
Nel controricorso notificato (con plico
postale spedito il 12 novembre 2005 e ricevuto) il 24 novembre
2005 (depositato il 2 dicembre 2005) il Comune intimato
instava per la reiezione dell’impugnazione.
Fissata la pubblica udienza per il 12 febbraio 2010, entrambi le parti depositavano memoria ex art. 378 c.p.c..
Con ordinanza interlocutoria depositata il 2
aprile 2010 la sezione tributaria della Corte disponeva la
trasmissione degli atti al Primo Presidente per l’assegnazione della
causa a queste sezioni unite avendo affermato sussistere un
contrasto nella giurisprudenza di quella sezione in ordine
all’oggetto della controversia.
Il 3 dicembre 2010 il Comune depositava ulteriore memoria ex art. 378 c.p.c..
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. La sentenza gravata.
La Commissione Tributaria Regionale – esposto che: (1) “in
primo grado il contribuente aveva eccepito la illegittimita’
del procedimento di determinazione dell’ICI in quanto l’ufficio
avrebbe adottato un criterio di quantificazione delle tariffe d’estimo
delle unita’ immobiliari ai sensi del D.M. (Min. Fin.) 27 settembre
1991, in contrasto con il D.P.R. n. 1142 del 1949, limitandosi ad
applicare la normativa vigente all’epoca del periodo di
imposta di riferimento”; (2) “l’appellato” (b) “produce la sentenza
TAR Lazio n. 1184 del 6 maggio 1992” e (3) “eccepisce … che
in tema di fabbricati agricoli cat. D (suinaia) la
determinazione dovesse avvenire con stima diretta UTE ai sensi D.P.R.
n. 1142 del 1949, art. 10”; (3) “nel suo appello il Comune … fa
presente come l’ufficio avesse proceduto alla liquidazione
dell’imposta sulla base degli stessi dati indicati dal
contribuente, applicando la tariffa vigente all’epoca; a riprova
precisa che per l’anno 1993 il contribuente aveva versato l’importo
corrispondente ai dati da esso indicati” – ha accolto l’appello
principale del Comune e rigettato quello incidentale del
contribuente osservando:
– “la eccezione circa la validita’ di un DM recante criteri
difformi rispetto al D.P.R. n. 1142 del 1949 … appare non incidente”;
– “il riferimento all’avvenuta revisione, giusta certificato
di variazione … dal 19 giugno 2000, non puo’ trovare
applicazione nella attuale fase di giudizio perche’ l’istanza di
revisione risulta presentata nel 2000 e, quindi, i suoi effetti
non possono retroattivarsi”.
2. Il ricorso dell’ A..
Questi impugna la decisione con due motivi.
A. Con il primo egli denunzia “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 11”, testualmente esponendo:
– “nella fattispecie si controverte su immobili a
destinazione particolare (… cat. D) sottoposti a c.d. stima diretta
da parte dell’UTE”;
– “nel giudizio di appello e’ stata prodotta la
certificazione dell’UTE … del 19 giugno 2000 attestante l’avvenuta
rettifica delle rendite catastali”: “da tale certificazione si evinceva
che le nuove rendite non erano corrispondenti a quelle sulle quali il
comune aveva determinato il provvedimento di liquidazione; le
rendite cosi’ rettificate risultavano … inferiori di circa un terzo
rispetto a quelle precedenti”;
– egli “aveva ribadito nel corso del giudizio che i vecchi
estimi erano presunti ed erano stati determinati dal comune
attraverso la sola ed impropria applicazione di coefficienti che non
tenevano in alcuna considerazione lo stato effettivo
dell’immobile per consistenza uso e destinazione (allevamento
suinicolo), inducendo esso ricorrente al pagamento di un’ imposta
calcolata su valori non rispondenti alla realta’”;
– “tra l’altro, l’immobile in questione, dal 1992 in poi era
rimasto perfettamente identico, non avendo subito alcuna modifica ed
anche di tale circostanza era stata fatta menzione nell’appello”;
– “la sentenza impugnata ha ritenuto che gli effetti di
tale variazione del 2000 non potevano retroattivarsi e non
potevano trovare ingresso nel giudizio, in violazione del D.Lgs. n.
504 del 1992, art. 11 che prevede la retroattivita’ delle rendite
definitive ai fini della determinazione del tributo dovuto”;
– “la sentenza di questa … Corte n. 4310 del 1 marzo 2005
ha attribuito efficacia retroattiva alla individuazione della
rendita definitiva, in netto contrasto con l’assunto della
sentenza impugnata”;
“nella fattispecie, l’accertamento effettuato con stima diretta
da parte dell’UTE, (come da certificazione del 19 giugno
2000), trattandosi di immobili di categoria D, attribuiva definitivita’
alla rendita, comportando la rettifica di quella presunta e
provvisoria sulla quale il Comune aveva determinato il
provvedimento di liquidazione dell’ICI”.
B. Con il secondo (ultimo) motivo il contribuente – esposto aver
“nel giudizio” dedotto che “la proroga dei termini di notifica
degli avvisi di liquidazione al 31 dicembre 2000 era avvenuta con L.
23 dicembre 1999 adde: n. 488, art. 30, comma 10, entrata in vigore
nel gennaio 2000 … e quindi ben oltre il termine di prescrizione”
– denunzia “omessa motivazione” esponendo che “nella … sentenza
manca qualsiasi riferimento alla eccezione di prescrizione” da
lui sollevata.
3. L’ordinanza interlocutoria.
Esposta la “contrastante giurisprudenza relativa ad immobili
di proprieta’ di imprese” (“quindi dotati di un valore
contabile”) iscritti in catasto alla categoria “D”, nel provvedimento
la sezione tributaria sostiene che “la stessa problematica si pone
anche in caso di immobili di categoria D), non posseduti da imprese”
non avendo “per questi casi la … Corte … una posizione univoca”.
Nel provvedimento, poi, si pone “il problema se, alla luce
dell’art. 53 Cost., basato sul principio di capacita’ contributiva, non
sarebbe equo per un paese democratico che il cittadino assolva le
proprie obbligazioni fiscali in conformita’ di quanto effettivamente
dovuto, senza che sulla debenza abbiano influenza ne’ la messa in
atti, rimessa alla discrezionalita’ della P.A., ne’ le istanze
del contribuente, in casi come quello de quo in cui non siano
intervenute modifiche o variazioni, rispetto alla prima rendita
attribuita non secondo le previsioni di legge” e si afferma che “tale
posizione di corrispondenza alla realta’ fattuale sarebbe la piu’
equa e la piu’ rispondente al dettato costituzionale in conformita’
con quanto gia’ disposto in materia di imposte sui redditi, non
determinando, tra l’altro, alcun ingiusto vantaggio ne’ nei
confronti dell’Ente impostore ne’ del contribuente”.
Per la sezione remittente, quindi, “l’I.C.I. dovrebbe essere
pagata, trattandosi di fabbricati a destinazione speciale in base
ad una rendita attribuita mediante stima diretta dell’U.T.E. ai
sensi del D.P.R. n. 1142 del 1949 e non come, nella specie, …
relativa ad immobile di categoria D), privo di rendita attribuita
con stima diretta ma determinata con i criteri di cui al D.M. 27
settembre 1991 che sancisce i criteri delle tariffe di estimo
delle unita’ immobiliari urbane di categoria A), B) e C) per l’intero
territorio nazionale, in contrasto, quindi, con il D.P.R. n. 1142 del
1949, per cui nell’inerzia dell’A.F. o meglio avverso la
determinazione contro legem dell’A.F. il contribuente ha richiesto nel
2000 l’attribuzione di una rendita definitiva, sollecitamente messa
in atti in data 19 giugno 2000”, avendo il “ricorrente” richiesto che
“gli effetti di detta attribuzione decorrano non dall’istanza del
2000 o dalla messa in atti, ma dal 1992, data dalla quale gli
immobili non avevano subito alcuna variazione”.
4. Le ragioni della decisione.
Il ricorso deve essere respinto.
A. Il “problema” (“se, alla luce dell’art. 53 Cost., basato
sul principio di capacita’ contributiva, non sarebbe equo … che
il cittadino assolva le proprie obbligazioni fiscali in conformita’
di quanto effettivamente dovuto, senza che sulla debenza
abbiano influenza ne’ la messa in atti, rimessa alla discrezionalita’
della P.A., ne’ le istanze del contribuente, in cast come quello de
quo in cui non siano intervenute modifiche o variazioni, rispetto alla
prima rendita attribuita non secondo le previsioni di legge”)
posto dall’ordinanza (peraltro non supportato da conferenti
decisioni contrastanti della sezione tributaria sulla specifica
questione essendosi la remittente limitata ad affermare che “anche per
questi casi… la Corte … non ha una posizione univoca”), deve
ritenersi insussistente perche’ gia’ con la sentenza n. 67 del 24
febbraio 2006 la Corte Costituzionale ha dato esaustiva soluzione
allo stesso laddove ipotesi sub “c)” della decisione ha osservato, in
ordine ai “fabbricati di gruppo D privi di rendita non … posseduti o
non …
interamente posseduti da imprese”, che “la mancanza di un obbligo
di tenuta di scritture contabili a carico del possessore non ha
…
consentito al legislatore di utilizzare il piu’ agevole criterio
del valore contabilizzato e, quindi, gli ha imposto di adottare,
quale alternativa e in attesa dell’attribuzione della rendita, il
criterio interinate della rendita presunta, ancorche’ di
difficile applicazione”.
Per la Corte delle leggi, quindi, il “criterio… della
rendita presunta” adottato, “nella sua discrezionalita’”, dal
legislatore “anche riguardo ai fabbricati” (scilicet: “di gruppo
D) “non interamente posseduti da imprese” e’, per sua natura,
“interinale” al pari ed identicamente al “criterio … della
rendita presunta” utilizzato per i fabbricati ascrivibili a categorie
catastali diverse dalla “D”.
Resta cosi’ fugata anche la perplessita’ di ordine
costituzionale espressa nell’ordinanza attesa la piana
applicabilita’ alla fattispecie (“fabbricati di gruppo D privi
di rendita non …
posseduti o non … interamente posseduti da imprese”) della
regola posta dall’art. 11, comma 1 per la quale “se la
dichiarazione e’ relativa ai fabbricati indicati nell’art. 5, comma 4”
(a) “il comune trasmette copia della dichiarazione all’ufficio
tecnico erariale competente il quale, entro un anno, provvede aita
attribuzione della rendita, dandone comunicazione al contribuente e al
comune; entro il 31 dicembre dell’anno successivo a quello in cui
e’ avvenuta la comunicazione” e (b) “il comune provvede, sulla base
della rendita attribuita, alla liquidazione della maggiore imposta
dovuta senza applicazione di sanzioni, maggiorata degli interessi
nella misura indicata nell’art. 14, comma 5 ovvero dispone il
rimborso delle somme versate in eccedenza”.
B. Diversamente da quanto supposto nell’ordinanza della
sezione tributaria (che si fonda sulla sola prospettazione,
peraltro manchevole, del ricorrente), pero’, la concreta
fattispecie non corrisponde affatto a quella “immobile di categoria
D, privo di rendita attribuita con stima diretta ma determinata con
i criteri di cui al D.M. 27 settembre 1991 che sancisce i criteri
delle tariffe di estimo delle unita’ immobiliari urbane di categoria
A, B e C per l’intero territorio nazionale, in contrasto, quindi,
con il D.P.R. n. 1142 del 1949”) considerata atteso che il giudice di
appello ha:
(1) giudicato “non incidente”, quindi irrilevante, “la
eccezione circa la validita’ di un DM recante criteri difformi
rispetto al D.P.R. n. 1142 del 1949” e (2) fondato la sua
decisione sull’affermata impossibilita’ che gli “effetti” della
“revisione” risultante dal “certificato di variazione” del 19 giugno
2000 possano “retroattivarsi” (scilicet: sino all’anno di
imposta in contestazione, anteriore al 2000) in quanto “l’istanza
di revisione risulta presentata nel 2000”.
Peraltro, lo stesso ricorrente deduce che “la certificazione
dell’UTE … del 19 giugno 2000” attesta “l’avvenuta rettifica”,
non gia’ l’attribuzione definitiva, “delle rendite catastali”.
In tale (unico) contesto fattuale il ricorrente (violando l’art.
366 c.p.c.) non espone le ragioni della “rettifica delle rendite”,
non spiega perche’ (ed a qual fine) “i vecchi estimi” (non si dice da
chi attribuiti) dovrebbero essere considerati “presunti” (aggettivo
che, comunque, da solo, non consente di ricondurre la fattispecie
concreta in quella dell’abrogato D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5,
comma 4 ovverosia di determinazione provvisoria della “base
imponibile” per il calcolo dell’imposta negli anni in questione, con
l’adozione della “rendita di fabbricati similari gia’ iscritti in
catasto”), oltre che “provvisori”, e, soprattutto, perche’ gli stessi
dovrebbero essere “stati determinati dal Comune” (e non
dall’Officio deputato all’accatastamento ed alla attribuzione delle
rendite catastali), ne’, ancora, indica quali siano gli
elementi probatori, non considerati o mal valutati dal giudice
del merito, idonei a dimostrare che effettivamente «l’immobile in
questione, dal 1992 in poi era rimasto perfettamente identico, non
avendo subito alcuna modifica”.
In definitiva la complessiva censura del contribuente si fonda su
una situazione di fatto del tutto diversa da quella considerata
dalla Commissione Tributaria L Regionale la quale, accogliendo
l’appello del Comune, mostra di avere univocamente (essendo
incompatibile qualsivoglia diversa ipotesi) fondato la sua
decisione sul presupposto di fatto (a) che l’ente impositore abbia
“proceduto sulla base degli stessi dati indicati dal contribuente” e
(b) che gli effetti della variazione del 2000 non possono
retroattivarsi perche’ l’”istanza di revisione” (scilicet, di rendite
gia’ attribuite) e’ stata presentata solo nel 2000, specie
considerato che lo stesso giudice ha altresi’ dichiarato che “la
validita’ di un DM recante criteri difformi rispetto al D.P.R. n.
1142 del 1949 … appare non incidente”.
C. La pur sussistente omissione di pronuncia in ordine
all’eccezione di prescrizione (“la proroga dei termini di notifica
degli avvisi di liquidazione al 31 dicembre 2000 era avvenuta con L. 23
dicembre 1999 adde: n. 488, art. 30, comma 10, entrata in vigore nel
gennaio 2000 … e quindi ben oltre il termine di prescrizione”) che
si assume sollevata nel giudizio, denunziata con il secondo motivo
di ricorso, diversamente da quanto ritenuto dal ricorrente, non e’
idonea a determinare la cassazione della sentenza impugnata
perche’, essendo incontestati gli elementi di fatto,
quell’eccezione pone esclusivamente una problema di interpretazione
della L. 23 dicembre 1999, n. 488, art. 30, comma 10 (per il
quale “relativamente all’imposta comunale sugli immobili dovuta per
l’anno 1993, sono fissati al 31 dicembre 2000 i termini per la
notifica degli avvisi di liquidazione sulla base delle
dichiarazioni e degli avvisi di accertamento in rettifica o
d’ufficio. Alla stessa data sono fissati i termini per la notifica: a)
degli avvisi di liquidazione sulla base delle dichiarazioni,
relativamente all’imposta comunale sugli immobili dovuta per gli
anni 1994, 1995, 1996 e 1997; b) degli avvisi di accertamento in
rettifica, relativamente all’imposta comunale sugli immobili dovuta
per gli anni 1994, 1995 e 1996; c) degli avvisi di accertamento
d’ufficio per l’anno 1994; d) degli atti di contestazione
delle violazioni non collegate all’ammontare dell’imposta,
commesse negli anni dal 1993 al 1998”), quindi soltanto una quaestio
iuris che questa Corte e’ tenuta a risolvere in base al disposto
dell’art. 384 c.p.c. (testo e numerazione anteriori alle modifiche
apportate dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 12 applicabile
ratione temporis).
Sulla questione, in difetto di qualsivoglia argomentazione
contraria (neppure adombrata dal ricorrente), si debbono richiamare e
ribadire i principi affermati dalla sezione tributaria (sentenze 14
aprile 2010 n. 8861; 10 giugno 2009 n. 13342, da cui gli excerpta; 27
luglio 2007 n. 16714) secondo i quali (1) “per gli anni 1993, 1994 e
1995, il termine di decadenza, gia’ fissato al 31 dicembre 1998, e’
stato prorogato al 31 dicembre 1999 dalla L. n. 448 del 1998, art.
31, comma 6 e, successivamente, al 31 dicembre 2000 dalla L n. 488
del 1999, art. 30, comma 10, che ha coinvolto nella proroga anche
il termine relativo all’anno 1996. In ragione di questa
serie ininterrotta di proroghe non puo’ dirsi verificata, nella specie,
la decadenza del Comune dalla pretesa tributaria agita” e (2)
“non rileva in proposito la disposizione di cui alla L n. 212 del
2000, art. 3, comma 3, la quale non puo’ valere per le disposizioni
di proroga adottate precedentemente all’entrata in vigore della
predetta legge”.
Nella citata decisione del 2009 (sulla scorta, “ex multis”, anche
di “Cass. 3393/08; Cass. 10204/03; Cass. 508/02″) si e’
altresi’ precisato che “il termine per l’accertamento non si puo’
ritenere scaduto al 31 dicembre perche’, in realta’, a quella data il
termine e’ ancora aperto. Esso scade alla mezzanotte del 31
dicembre. Non essendo scaduto alla data predetta, il termine
deve ritenersi prorogato perche’ dalle ore 00.00 del primo gennaio
entra in vigore la legge di proroga”.
D. La “esclusione dall’ICI” (“pur se relativa all’anno 1994”)
degli “immobili” perche’ “rientrano tra i fabbricati rurali che
soddisfano le condizioni previste dal D.L. n. 557 del … 1993 …,
art. 9, comma 3”, fondata dall’ A. (che ha posto la questione
per la prima volta solo nelle memorie depositate) sulla
“recentissima sentenza di queste sezioni unite n. 18565 dal 21 agosto
2009” nonche’ (“per completezza di discorso”) sull’”art. 23, comma 1
bis” del “D. 31 dicembre 2008, n. 201”, infine, e’ inammissibile
in quanto introduce una domanda del tutto nuova: la stessa, infatti,
tende ad ottenere una declaratoria (petitum) di “esenzione”
dall’imposta per (causa petendi) la sola qualita’ agricola
dell’immobile, della cui proposizione innanzi al giudice del merito,
pero’, non vi e’ traccia ne’ ne la sentenza impugnata ne’ nello
stesso ricorso per cassazione dell’ A. che di nulla si e’ doluto in
proposito.
5. Delle spese processuali.
Per la sua totale soccombenza il ricorrente, ai sensi dell’art.
91 c.p.c. deve essere condannato a rifondere al Comune le
spese processuali del giudizio di legittimita’, liquidate (nella
misura indicata in dispositivo) in base alle vigenti tariffe
professionali forensi, tenuto contro del valore della
controversia e della effettiva attivita’ difensiva svolta dalla
parte vittoriosa.
P.Q.M.
LA CORTE rigetta il ricorso e condanna l’ A. a rifondere al
Comune le spese processuali del giudizio di legittimita’ che
liquida in complessivi Euro 3.000,00 (tremila/00), di cui Euro
2.800,00 (duemilaottocento/00) per onorario, oltre spese generali ed
accessori di legge.
Cosi’ deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 7 dicembre 2010.
Depositato in Cancelleria il 9 febbraio 2011