Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31589 del 06/12/2018

Cassazione civile sez. trib., 06/12/2018, (ud. 19/06/2018, dep. 06/12/2018), n.31589

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO Maria Giulia – Consigliere –

Dott. LEUZZI Salvatore – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 4401/2015 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, in persona del Direttore p.t., con domicilio

eletto presso gli uffici della predetta Avvocatura, in Roma, via dei

Portoghesi, n. 12;

– ricorrente –

contro

Stella s.r.l., in persona del suo legale rappresentante p.t., con

domicilio eletto in Roma, corso Vittorio Emanuele II, n. 18, presso

lo studio dell’Avv. Grez Gianmarco, rappresentata e difesa dall’Avv.

Pisillo Fabio;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Toscana n. 107/24/13, depositata il 18 dicembre 2013.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 19 giugno 2018

dal Cons. Leuzzi Salvatore;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale Federico Sorrentino, che ha concluso chiedendo

l’accoglimento del ricorso;

uditi gli Avv. Dettori Bruno per l’Agenzia delle Entrate e Coppola

Antonio per Stella s.r.l., quale delegato dell’avv. Pisillo Fabio.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con avvisi di accertamento nn. (OMISSIS) e (OMISSIS), l’Agenzia delle Entrate ha recuperato ad imposizione tributaria una minor perdita da periodi d’imposta precedenti, rispettivamente pari ad Euro 24.358,00 per il 2004 e ad Euro 43.504,00 per il 2005, rettificando per detti importi il reddito imponibile, quindi rideterminando l’IRES dovuta per il 2004 in Euro 16.076,00 e per il 2005 in Euro 14.356,00 (somme inclusive di sanzioni amministrative). Segnatamente, l’Ufficio rideterminava gli investimenti agevolabili ex L. n. 383 del 2001 (c.d. legge “Tremonti-bis), da Lire 573.672,88 in Lire 93.404.371, tenendo conto soltanto di quelli successivi luglio 2001, data di entrata in vigore della legge in parola.

Avverso gli avvisi anzidetti, la contribuente proponeva ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Grosseto, deducendo: innanzitutto, la legittimità dell’applicazione dei benefici di cui alla L. n. 383 del 2001, art. 4 (c.d. legge “Tremonti Bis”) a tutti gli interventi di ristrutturazione edilizia e ai lavori di impiantistica eseguiti su un immobile adibito a supermercato, evidenziando che i medesimi riguardavano un’opera da intendersi unitaria.

La Commissione tributaria provinciale accolse il ricorso.

La Commissione tributaria regionale di Firenze ha in seguito respinto l’appello dell’Agenzia delle Entrate e confermato la decisione di primo grado, ancorchè l’Ufficio avesse ribadito, in sede di gravame, da (in lato, l’indeducibilità di pagamenti anteriori all’entrata in vigore della legge “Tremonti-bis” (trattandosi di versamenti per sal e non di corresponsioni di acconti); dall’altro lato, l’incongruità dell’errore in cui era incorsa la società contribuente nel riportare l’importo della perdita dal 2001 in poi, importo che, invece di essere espresso in Lire, era stato tradotto in Euro per lo stesso valore numerarlo (talchè Lire 210.248.000 erano divenuti Euro 210.248).

Contro la sentenza della Commissione regionale di Firenze, propone ricorso per cassazione l’Agenzia, affidandolo a tre motivi. Resiste con controricorso la contribuente.

Il P.G., dott. Sorrentino Federico, ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo di ricorso, l’Agenzia lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per avere la Commissione tributaria regionale ritenuto che l’errore di computo delle perdite deducibili correlato ad una incongrua conversione da lire in euro del relativo importo per identico valore numerarlo non fosse stato contestato in sede di accertamento, ancorchè, per converso, quest’ultimo testualmente lo contemplasse e lo evidenziasse.

2. Col secondo motivo di ricorso, l’Agenzia denuncia la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, dell’art. 2909 c.c. e dell’art. 324 c.p.c., essendo stata la deducibilità delle perdite negli anni successivi al 2001 riconosciuta, con valore di giudicato, per il minore importo di Euro 108.584,00 (in luogo di Euro 210.248,00), dalla sentenza della Commissione tributaria regionale di Firenze n. 51/25/2010, emessa il 1 aprile 2010.

3. Col terzo motivo di ricorso, l’Agenzia lamenta la violazione della L. n. 283 del 2001, art. 4 e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dovendosi presumere che i pagamenti effettuati dalla società contribuente anteriormente luglio 2001 (data di entrata in vigore della lette c.d. “Tremonti-bis”) attenessero a lavori effettivamente realizzati e non a meri acconti per la realizzazione di un’opera unitaria.

4. Il primo motivo di ricorso è inammissibile e va disatteso.

5. Ancorchè sia stata denunciata un’omissione motivazionale concernente il profilo dell’errore di computo delle agevolazioni fiscali in astratto spettanti alla società contribuente, detta quaestio fatti si palesa in sentenza puntualmente approcciata e risolta, secondo argomentazioni che lasciano intuire la “ratio decidendi” con sufficiente chiarezza.

6. Va rilevato al riguardo che nella nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il sindacato di legittimità sulla motivazione è ridotto al “minimo costituzionale”, restando riservata al giudice del merito la valutazione dei fatti e l’apprezzamento delle risultanze istruttorie e potendo, la Corte di cassazione, verificare l’estrinseca correttezza del giudizio di fatto solo sotto il profilo della manifesta implausibilità del percorso che lega la verosimiglianza delle premesse alla probabilità delle conseguenze, occorrendo, in altri termini, la manifesta fallacia o non verità delle premesse o l’intrinseca incongruità o contraddittorietà degli argomenti, onde ritenere inficiato il procedimento inferenziale ed il risultato cui esso è pervenuto, per escludere la corretta applicazione della norma entro cui è stata sussunta la fattispecie (Cass. 5 luglio 2017, n. 16502; v anche Cass. 8 settembre 2016, 17761).

7. In altri termini, il sindacato di legittimità trova spazio, con riferimento al deficit di motivazione, nelle sole ipotesi di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio de quo può essere dedotto solo per radicale omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (Cass. 12 ottobre 2017, n. 23940).

8. Nel caso di specie, dal complesso delle argomentazioni espresse dalla Commissione tributaria regionale, rimane evincibile il supporto argomentativo e logico su cui la decisione si poggia, anche sul profilo dell’indeducibilità delle perdite correlate al lamentato errore di computo; non può, pertanto, ravvisarsi una sostanziale mancanza di motivazione.

9. E del resto, la deduzione del vizio motivazionale non può essere intesa ad ottenere quello che si profilerebbe alla stregua di sostanziale riesame degli accertamenti di fatto, nè può servire a denunciare un travisamento del fatto stesso, come già chiarito a suo tempo da questa Corte (Cass. 7 dicembre 2006, n. 26182).

10. Nel caso che occupa, il giudice d’appello ha, comunque, compiuto un’analisi delle risultanze processuali, senza che la sentenza rimarchi una anomalia motivazionale suscettibile d’essersi tradotta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè (v. Cass., sez. un., 7 aprile 2014, n. 8053). Non si riviene, in tal senso, un difetto di motivazione culminante in una “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, in una “motivazione apparente”, in un “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”, in una “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”.

11. Neppure può trascurarsi, su un piano interconnesso e convergente, che il vizio di motivazione, come denunciato dall’Agenzia, finisce per inerire un giudizio di diritto, nella misura in cui attiene al complesso dei limiti di rilevanza sostanziale – ai fini dell’enucleazione e della definizione della pretesa fiscale travasata nell’avviso di accertamento – del processo verbale di constatazione cui detto avviso abbia specificamente rimandato. In tal senso, deve richiamarsi il pacifico insegnamento di questa Corte secondo cui il vizio di motivazione può riguardare solo la motivazione del giudizio di fatto, mentre per quanto riguarda quello di diritto, i relativi vizi qualora sussistenti – costituiscono errores in iudicando censurabili, se del caso, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e inidonei, quand’anche concernenti soltanto la motivazione, a dar luogo a cassazione della sentenza (Cass. 4 agosto 2017, n. 19567; Cass. 22 dicembre 2003, n. 19618).

12. Nel caso in esame, nell’esposizione del motivo è sollecitata con riferimento al profilo dell’indeducibilità delle perdite affette da errore di computo – una statuizione conforme alle aspettative della parte sui relativi fatti, benchè sui profili de quibus la Commissione tributaria regionale si sia pronunciata con sufficiente chiarezza, pervenendo alla sua conclusione secondo un percorso logico-giuridico che, condivisibile o meno, si mostra immune da vizi.

13. Il secondo motivo di ricorso si palesa del pari inammissibile.

14. Per il suo tramite, l’Agenzia deduce un vizio di violazione di legge della decisione impugnata, lamentandone il contrasto col giudicato che ascrive alla sentenza della Commissione Tributaria Regionale di Firenze n. 51/25/2010 dell’1 aprile 2010, in punto di minore ammontare, pari Euro 108.584,00 (in luogo di Euro 210.248,00), delle perdite riportabili.

15. L’inammissibilità discende dalla circostanza per cui contrariamente a quanto sostenuto dall’odierna ricorrente – della sentenza che suppostamente spiegherebbe effetti di giudicato sull’odierno giudizio non è documentata l’irrevocabilità, nel mentre la stessa risulta ex actis essere stata fatta oggetto di ricorso in via incidentale, proposto dalla contribuente, proprio in parte qua, ossia con riferimento al capo in cui, a parziale riforma della sentenza di primo grado, la Commissione tributaria regionale, ha proceduto alla rideterminazione della perdita riportabile ex lege “Tremonti bis”.

16. Il ricorso incidentale in discorso, affidato a cinque motivi tutti afferenti l’errore di computo da conversione Lire/Euro secondo un identico valore numerarlo – esclude che il vaglio del giudice d’appello fosse condizionato dagli effetti di irrevocabilità della sentenza sopra evocata.

17. Inammissibile, avuto riguardo alla sua formulazione, si mostra anche il terzo motivo di ricorso.

18. Per il suo tramite l’Agenzia si duole della violazione della L. n. 283 del 2001, art. 4 e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, reputando doversi presumere che i pagamenti effettuati dalla società contribuente anteriormente luglio 2001 (data di entrata in vigore della lette c.d. “Tremonti-bis”) riguardassero lavori effettivamente realizzati, senza atteggiarsi, di contro, a meri acconti per la realizzazione di un’opera unitaria.

19. Tuttavia, il vizio di violazione di legge vale a contrastare, in astratto, la soluzione che il giudice d’appello abbia dato alla questione di diritto concernente il rapporto giuridico oggetto del processo; esso consiste, in tal senso, nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta contemplata da una norma di legge. Qualora, di contro, si contesti l’erronea o incongrua ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, si veicola, attraverso il motivo ex art. 360 c.p.c., n. 3), un aspetto che è esterno all’esatta interpretazione della norma di legge e che, come tale, impinge nella tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto il profilo del vizio di motivazione. (Cass. sez. un. 5 maggio 2006, n. 10313; Cass. 22 febbraio 2007, n. 4178; Cass. 5 marzo 2007, n. 5076; Cass. 18 aprile 2007, n. 9245; Cass. 30 ottobre 2009, n. 23060; Cass. 4 marzo 2010, n. 5207; Cass. 30 gennaio 2012, n.

1312).

20. Nel caso che occupa, il motivo è inammissibile proprio in quanto censura come violazione di norma di diritto un errore in cui si assume essere incorso il giudice di merito nella ricognizione della fattispecie concreta sulla quale la sentenza avrebbe dovuto (asseritamente) pronunciarsi (v. Cass. 18 maggio 2005, n. 10385). In effetti, viene stigmatizzata la valutazione del giudice d’appello in punto di ritenuta unitarietà dell’appalto, ergo dell’investimento, cui risultano correlate le perdite ripotate L. n. 383 del 2001, ex art. 4. In buona sostanza, a fronte di detta valutazione del collegio del gravame sulla unitarietà dell’opera – valutazione retta su plurimi addentellati, tra i quali il testo contrattuale e, segnatamente, la clausola di cui all’art. 12, la regolazione dei pagamenti per somme di pari importo, l’insussistenza di opere frazionate – l’Agenzia delle Entrate contrappone una divaricata ricostruzione fattuale, nella quale deduce la corrispondenza dei pagamenti qualificati dal giudice come acconti a lavori partitamente ed effettivamente realizzati, limitandosi ad adombrare l’insufficienza degli elementi di prova apprezzati in sede d’appello in funzione della qualificazione dei versamenti effettuati nel corso dell’anno 2001 (prima dell’1 luglio 2007) alla stregua di acconti, anzichè di regolazioni di SAL.

21. In altri termini, il vizio denuncia come violazione di norma di legge quella che appare una valutazione del giudice, che ha ritenuto sussistenti circostanze che parte ricorrente ora asserisce non provate, il che è inammissibile (v. Cass. 1 ottobre 2004, n. 19693).

22. Il ricorso va, dunque, rigettato; le spese vanno regolate secondo soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna l’Agenzia delle Entrate al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 19 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 6 dicembre 2018

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