Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31586 del 06/12/2018

Cassazione civile sez. VI, 06/12/2018, (ud. 10/10/2018, dep. 06/12/2018), n.31586

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – rel. Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13446-2018 proposto da:

SOCIAL BUILDING SRL IN LIQUIDAZIONE, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA RUGGERO FAURO N 102, presso lo studio dell’avvocato ITALO

ROMAGNOLI, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

PALAZZO C.B. SRL IN AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA,

elettivamente domiciliata in ROMA, L.GO DI TORRE ARGENTINA 11,

presso lo studio dell’avvocato DARIO MARTELLA, rappresentata e

difesa dall’avvocato MATTEO DI PEDE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 420/2018 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 21/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/10/2018 dal Consigliere Dott. ORILIA LORENZO;

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1 La Corte d’Appello di Venezia, con sentenza 21.2.2018, ha rigettato l’appello proposto da Social Building srl in Liquidazione contro l’ordinanza ex art. 702 ter c.p.c. del locale Tribunale che aveva respinto la sua domanda di esecuzione dell’obbligo di concludere un contratto di vendita (al prezzo di oltre 22 milioni di Euro) di un compendio immobiliare ai sensi dell’art. 2932 c.c. avanzata nei confronti della Palazzo C.B. srl in Amministrazione Straordinaria.

Ha considerato la Corte di merito:

– che dal testo dell’annuncio pubblicato il 28.8.2015 risultava con chiarezza che l’autorizzazione ministeriale che interviene all’esito della gara è solo un atto propedeutico alla successiva aggiudicazione;

– che la società appellante non si era presentata a sottoscrivere il preliminare nè aveva provveduto a versare il primo acconto di Euro 10 milioni;

– che, non essendo stato stipulato tra le parti alcun contratto preliminare, venivano a mancare i presupposti richiesti dall’azione ex art. 2932;

– che si giustificava anche in appello la condanna della parte soccombente al pagamento di una somma di danaro ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3, fissata in Euro 20.000,00 somma corrispondente a quella già fissata dal primo giudice in sede di condanna alle spese.

2. Contro tale decisione ricorre per cassazione la Social Building srl in Liquidazione sulla base di tre motivi contrastati con controricorso dalla Palazzo Bianca C. srl in Amministrazione Straordinaria.

Il relatore ha proposto il rigetto del ricorso per manifesta infondatezza.

La ricorrente ha depositato una memoria.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1 Con il primo motivo si denunzia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 violazione e falsa applicazione degli artt. 1326,1362,1363 e 2932 c.c. censurandosi l’interpretazione “esclusivamente letterale” dell’annuncio pubblicitario data dalla Corte d’Appello senza considerare il comportamento successivo del Commissario Straordinario il quale, dopo il rilascio dell’autorizzazione ministeriale, aveva ritenuto assorbita l’aggiudicazione formale e quindi si era obbligato alla stipula, perchè con la suddetta autorizzazione si era perfezionato l’incontro delle volontà e quindi era sorto un rapporto di natura contrattuale contenente tutti gli elementi del contratto di vendita (al riguardo richiama una lettera del Commissario in data 26.4.2016).

Il motivo è manifestamente infondato.

Innanzitutto, perchè dalla sua lettura non si coglie quale sia stata la violazione e falsa applicazione delle norme di diritto richiamate, posto che per giurisprudenza costante di questa Corte – ed oggi ancora una volta ribadita – in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione (v. tra le varie, Sez. L, Sentenza n. 195 del 11/01/2016 Rv. 638425; Sez. 5, Sentenza n. 26110 del 30/12/2015 Rv. 638171; Sez. 5, Sentenza n. 8315 del 04/04/2013 Rv. 626129; Sez. L, Sentenza n. 7394 del 26/03/2010 Rv. 612745; più di recente, v. anche Sez. 2 – Ordinanza n. 20964 del 08/09/2017 Rv. 645246 in motivazione). Ed è opportuno aggiungere che oggi il vizio di motivazione non è neppure più denunziabile in sede di legittimità (v. in proposito sentenza delle Sez. U, n. 8053 del 07/04/2014 n. 8053 ove si è ben chiarita la portata dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, evidenziandosi i ristrettissimi limiti di operatività del sindacato sulla motivazione, certamente qui non ricorrenti e neppure dedotti).

In secondo luogo la manifesta infondatezza si coglie nel fatto che la censura, attraverso una ingiustificata forzatura in sede interpretativa, si risolve in una alternativa e personalistica ricostruzione del contenuto dell’annuncio pubblicitario e della natura giuridica della autorizzazione ministeriale rispetto a quella assolutamente lineare data dalla Corte di merito attraverso la puntuale analisi dei passaggi rilevanti del bando, sottolineando il carattere di mero invito a formulare offerte, la natura prodromica dell’autorizzazione ministeriale che interviene all’esito della formulazione delle offerte e la assenza di vincoli obbligatori, per espressa previsione.

Del resto, come costantemente affermato da questa Corte, la parte che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale, non può limitarsi a richiamare le regole di cui agli artt. 1362 c.c. e ss., avendo invece l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati, ed in particolare il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, poichè quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicchè, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (tra le tante, Sez. 3 -, Sentenza n. 28319 del 28/11/2017 Rv. 646649; Sez. 1 -, Ordinanza n. 16987 del 27/06/2018 Rv. 649677).

2. Col secondo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1337,1375,1453 e 1455 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 per avere la Corte d’Appello ravvisato l’inadempimento della società agli obblighi previsti dal bando senza considerare la copiosa documentazione che invece dimostrava il contrario. Rileva l’assenza nel bando di previsione di obblighi e chiarisce che il mancato versamento dell’acconto era stato determinato dalla convinzione dell’esistenza di pesi e trascrizioni pregiudizievoli o irregolarità urbanistiche, atteso il mancato riscontro delle richieste di documenti, sintomo di una volontà di pretendere un acquisto “a scatola chiusa”. Ravvisa quindi da una parte gli estremi di una responsabilità precontrattuale dell’altra parte e dall’altra eventualmente l’esistenza di un inadempimento da parte sua di scarsa importanza.

La censura segue la sorte della precedente perchè, lungi dall’evidenziare violazioni di norme di diritto nel senso sopra precisato (v. trattazione del precedente motivo) si dilunga in una alternativa ricostruzione di risultanze processuali senza neppure cogliere la ratio della decisione fondata sull’inadempimento delle clausole contenute nel verbale di deposito dell’offerta del 7.10.2015 e liberamente accettate.

3. Con il terzo motivo la ricorrente deduce infine la violazione e falsa applicazione dell’art. 96 c.p.c. dolendosi della condanna al pagamento della somma di Euro 20.000,00 pronunciata a tale titolo dalla Corte d’Appello, in aggiunta a quella, di pari importo già inflitta dal Tribunale.

La tesi è che le argomentazioni utilizzate in sentenza per giustificare la condanna al pagamento della somma sono le stesse poste a base del rigetto della domanda sicchè – osserva la ricorrente se ne dovrebbe dedurre che ogni rigetto di domanda dovrebbe portare l’automatica condanna ai sensi dell’art. 96, comma 7.

Anche questa doglianza è manifestamente infondata perchè, ancora una volta non coglie la ratio giustificativa della sanzione pecuniaria, fondata non già sul mero rigetto di una pretesa, ma sul riconoscimento di una ipotesi di abuso del processo per avere l’appellante agito pretestuosamente (a fronte di una sentenza che accertava esattamente l’assenza dei presupposti per esercitare l’azione ex art. 2932 c.c.) e per avere tenuto in sede di gravame un contegno processuale reputato non corretto (v. pag. 15).

Il rigetto del ricorso comporta inevitabile addebito, alla parte soccombente, delle spese del presente giudizio che si liquidano tenendo conto del valore della causa.

4. Non si giustifica in questa sede la condanna ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3 avanzata dalla parte controricorrente.

La responsabilità aggravata ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3, a differenza di quella di cui ai primi due commi della medesima norma, non richiede la domanda di parte nè la prova del danno, ma esige pur sempre, sul piano soggettivo, la mala fede o la colpa grave della parte soccombente, sussistente nell’ipotesi di violazione del grado minimo di diligenza che consente di avvertire facilmente l’infondatezza o l’inammissibilità della propria domanda, non essendo sufficiente la mera infondatezza, anche manifesta, delle tesi prospettate; peraltro, sia la mala fede che la colpa grave devono coinvolgere l’esercizio dell’azione processuale nel suo complesso, cosicchè possa considerarsi meritevole di sanzione l’abuso dello strumento processuale in sè, anche a prescindere dal danno procurato alla controparte e da una sua richiesta, come nel caso di pretestuosità dell’azione per contrarietà al diritto vivente ed alla giurisprudenza consolidata, ovvero per la manifesta inconsistenza giuridica o la palese e strumentale infondatezza dei motivi di impugnazione (Sez. U -, Sentenza n. 9912 del 20/04/2018 Rv. 648130).

Nel caso in esame, l’articolazione del ricorso evidenzia l’infondatezza di tesi giuridiche(ma non la colpa grave nel senso sopra inteso, non ravvisandosi l’abuso – nel giudizio di cassazione – del processo.

Considerato infine che il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è stato rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato-Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1 – quater all’art. 13 del testo unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, a carico dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 50.200,00 (cinquantamiladuecento/00) di cui Euro 200,00 per esborsi oltre spese generali nella misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art.1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto.

Così deciso in Roma, il 10 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 6 dicembre 2018

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