Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31579 del 03/12/2019

Cassazione civile sez. I, 03/12/2019, (ud. 06/11/2019, dep. 03/12/2019), n.31579

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 33124/2018 r.g. proposto da:

I.U.D., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso,

giusta procura speciale allegata al ricorso, dall’Avvocato Marco

Ferrero, presso il cui studio elettivamente domicilia in Padova,

alla via N. Tommaseo n. 56.

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del

Ministro pro tempore.

– intimato –

avverso la sentenza della CORTE DI APPELLO DI VENEZIA depositata in

data 07/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

giorno 06/11/2019 dal Consigliere Dott. Eduardo Campese.

Fatto

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

1. Con sentenza del 7 maggio 2018, n. 1142, la Corte di Appello di Venezia accolse il gravame proposto dal Ministero dell’Interno avverso l’ordinanza del Tribunale di quella stessa città, resa il 22 novembre 2016, che aveva riconosciuto a I.U.D., cittadino nigeriano, la protezione sussidiaria, e, in riforma di detto provvedimento, gli negò sia tale protezione che quella cd. umanitaria.

1.1. In estrema sintesi, quella corte ritenne non credibili le sue dichiarazioni e, comunque, che i motivi addotti da lui a sostegno delle sue richieste non ne consentivano l’accoglimento.

2. Avverso la descritta sentenza, I.U.D. ricorre per cassazione affidandosi a due motivi, mentre il Ministero dell’Interno è rimasto solo intimato.

1. Le formulate doglianze prospettano, rispettivamente:

I) “Sull’esame delle dichiarazioni personali del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, erronea o falsa applicazione della norma ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”. Si assume che sia il tribunale, tramite un giudizio superficiale fondato, per lo più, su presunzioni, che, analogamente, la corte di appello, erano giunti a ritenere inattendibili le dichiarazioni del richiedente protezione contravvenendo alla invocata disposizione normativa;

II) “Sulla valutazione della domanda ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8, comma 5 (così testualmente in ricorso. Ndr), erronea o falsa applicazione della norma ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, ascrivendosi alla corte lagunare la violazione del dovere di cooperazione istruttoria.

2. Le descritte censure, suscettibili di trattazione unitaria in ragione della loro connessione, sono complessivamente immeritevoli di accoglimento.

2.1. Nella specie, invero, la corte veneziana, con accertamenti evidentemente di natura fattuale, ha considerato inattendibile (perchè “poco credibile e confusa”) la narrazione dell’odierno ricorrente, ed ha motivatamente escluso, menzionando le specifiche fonti internazionali consultate (Report by the Un Secretary General on developments in West Africa and the Sahel states between lst January an 30th fune 2017, da ritenersi sufficientemente aggiornate in rapporto al momento – 27 novembre 2017 – di deliberazione della sentenza oggi impugnata), che la zona di provenienza (Nigeria, Edo State) di quest’ultimo sia caratterizzata dalla presenza di un conflitto armato generatore di una situazione di violenza tanto diffusa ed indiscriminata da interessare qualsiasi persona ivi abitualmente dimorante. Detta corte, inoltre, ha espressamente puntualizzato (cfr. pag. 4 della sentenza impugnata) che “non si può valorizzare il breve periodo che il richiedente ha trascorso nel Borno (zona nord orientale della Nigeria, interessata da conflitti contro i miliziani di Boko Haram. Ndr), considerando che vi si è recato spontaneamente e che non si può ritenere la sua regione di origine, avendo egli sempre vissuto a (OMISSIS) prima di quel viaggio…”.

2.2. Questa Suprema Corte, poi, ha ancora recentemente (cfr. Cass. n. 18446 del 2019) chiarito che: i) la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve ponderare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in Cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (nella specie nemmeno prospettato), come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, e come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi, invece, escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr., nel medesimo senso, Cass. n. 3340 del 2019); ii) in tema di riconoscimento della protezione sussidiaria, il principio secondo il quale, una volta che le dichiarazioni del richiedente siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad approfondimenti istruttori officiosi, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori, non riguarda soltanto le domande formulate ai sensi dell’art. 14, lett. a) e b), del predetto decreto, ma anche quelle formulate ai sensi dell’art. 14, lett. c), poichè la valutazione di coerenza, plausibilità e generale attendibilità della narrazione riguarda “tutti gli aspetti significativi della domanda” (art. 3, comma 1) e si riferisce a tutti i profili di gravità del danno dai quali dipende il riconoscimento della protezione sussidiaria (così anche Cass. n. 15794 del 2019; Cass. n. 4892 del 2019). In ogni caso, si è già riferito che il provvedimento oggi impugnato ha, sebbene sinteticamente, comunque esaminato la situazione fattuale ed operato la ricostruzione della realtà socio-politica del Paese di provenienza del richiedente, onde la corrispondente doglianza di quest’ultimo è insuscettibile di accoglimento, in quanto, sostanzialmente, volta ad ottenere la ripetizione del giudizio di fatto, attività qui preclusa in virtù della funzione di legittimità.

2.3. In altri termini, come già precisato da Cass. n. 31481 del 2018 e Cass. n. 16295 del 2018, in tema di valutazione della credibilità soggettiva del richiedente e di esercizio, da parte del giudice, dei propri poteri istruttori officiosi rispetto al contesto sociale, politico ed ordinamentale del Paese di provenienza del primo, la valutazione del giudice deve prendere le mosse da una versione precisa e credibile, benchè sfornita di prova (perchè non reperibile o non richiedibile), della personale esposizione a rischio grave alla persona o alla vita: tale premessa è indispensabile perchè il giudice debba dispiegare il suo intervento istruttorio ed informativo officioso sulla situazione persecutoria addotta nel Paese di origine (cfr. Cass. n. 21668 del 2015; Cass. n. 5224 del 2013. Principio affatto analogo è stato, peraltro, ribadito dalle più recenti Cass. n. 17850 del 2018 e Cass. n. 15794 del 2019). Infatti, le dichiarazioni del richiedente che siano intrinsecamente inattendibili, alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non richiedono un approfondimento istruttorio officioso, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (cfr. Cass. n. 16295 del 2018; Cass. n. 7333 del 2015).

2.3.1. A tanto deve soltanto aggiungersi, da un lato, che, nel procedimento, in grado d’appello, relativo ad una domanda di protezione internazionale, non è ravvisabile una violazione processuale sanzionabile a pena di nullità nell’omessa audizione personale del richiedente, atteso che il rinvio, contenuto nel D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35, comma 13, al precedente comma 10, che prevede l’obbligo di sentire le parti, non si configura come un incombente automatico e doveroso, ma come un diritto della parte di richiedere l’interrogatorio personale, cui si collega il potere officioso del giudice d’appello di valutarne la specifica rilevanza (cfr. Cass. n. 24544 del 2011, ribadita, in motivazione, dalle più recenti Cass. n. 3003 del 2018 e Cass. n. 17838 del 2019); dall’altro, che il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nel prevedere che “ciascuna domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati…”, deve essere interpretato nel senso che l’obbligo di acquisizione di tali informazioni da parte delle Commissioni territoriali e del giudice deve essere osservato in diretto riferimento ai fatti esposti ed ai motivi svolti in seno alla richiesta di protezione internazionale, non potendo, per contro, addebitarsi la mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi, in ordine alla ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione, riferita a circostanze non dedotte (cfr. Cass. n. 30105 del 2018).

2.4. In definitiva, quanto oggi esposto da I.U.D., argomentando le censure in esame, si risolve, sostanzialmente – benchè formalmente prospettate come vizio di violazione di legge – in una critica al complessivo governo del materiale istruttorio operato dal giudice a quo, cui il primo intenderebbe opporre una diversa valutazione delle medesime risultanze istruttorie utilizzate dalla già menzionata corte distrettuale: ciò non è ammesso, però, nel giudizio di legittimità, che non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (cfr. Cass. n. 21381 del 2006, nonchè la più recente Cass. n. 8758 del 2017).

3. Il ricorso va, dunque, respinto, senza necessità di pronunce sulle spese di questo giudizio di legittimità, essendo il Ministero dell’Interno rimasto solo intimato, e dandosi atto, altresì, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 23535 del 2019 – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, giusta dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 6 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 dicembre 2019

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