Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3157 del 11/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 11/02/2020, (ud. 03/10/2019, dep. 11/02/2020), n.3157

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17156-2018 proposto da:

C.A.M., N.R., elettivamente

domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentati e difesi dall’avvocato LUCA AMEDEO MELEGARI;

– ricorrenti –

contro

S.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TERENZIO 10,

presso lo studio dell’avvocato MAURO GIULIANO GIAQUINTO,

rappresentata e difesa dall’avvocato FABIO D’AGUNTO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7733/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 06/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 03/10/2019 dal Consigliere Relatore Dott. GABRIELE

POSITANO.

Fatto

RILEVATO

che:

con atto di citazione del 25 febbraio 1998, C.A.M. evocava in giudizio, davanti al Tribunale di Latina, S.A. esponendo che:

con scrittura privata del (OMISSIS), aveva promesso di vendere alla convenuta, la quale aveva promesso di acquistare, un appezzamento di terreno agricolo con sovrastante fabbricato ad uso magazzino, sito in (OMISSIS), al prezzo di lire 90 milioni;

in data 13 dicembre 1995 era stata stipulata tra S.A. e N.R., marito dell’attrice, una scrittura privata con la quale si era rideterminato il saldo del prezzo in lire 75 milioni. Aggiungeva che la convenuta non era comparsa davanti al notaio per la stipula del definitivo e per tale motivo l’attrice si era determinata a vendere, in data (OMISSIS), l’immobile oggetto di causa a tale B.G., al prezzo di lire 105 milioni, inferiore a quello di lire 235 milioni che le era stato offerto, in data 30 ottobre 1996, dall’agenzia immobiliare G. e che era stato rifiutato per consentire alla convenuta di acquistare. Sulla base di tali elementi richiedeva la condanna di S.A. al risarcimento dei danni costituiti dalla perdita di guadagno subita a causa del grave inadempimento della convenuta, quantificati nella differenza tra la somma di lire 235 milioni e quella di lire 105 milioni, oltre alla restituzione dell’importo di lire 4.475.000 per spese di accensione ed estinzione del mutuo presso la Banca di Roma, con interessi e rivalutazione;

si costituiva la convenuta chiedendo di essere autorizzata a chiamare in causa N.R. e spiegando, in via riconvenzionale, domanda di risoluzione del contratto per inadempimento della promittente venditrice, C.A.M. con condanna di quest’ultima e del marito, in solido, alla restituzione della somma di lire 140 milioni dagli stessi trattenuta, oltre al risarcimento dei danni derivanti dalla perdita del mobilio. Si costituiva il terzo chiamato, N., concludendo per il rigetto della domanda chiedendo la condanna della chiamante per lite temeraria;

con sentenza del 9 novembre 2010 il Tribunale di Latina rigettava la domanda accogliendo quella riconvenzionale proposta dalla S. e dichiarando la risoluzione della scrittura privata del (OMISSIS) e di quella del (OMISSIS) per inadempimento di C.A.M., che condannava alla restituzione della somma di Euro 40.800, oltre interessi e delle suppellettili di proprietà della convenuta. Rigettava la domanda proposta da N.R. nei confronti della S.. Secondo il Tribunale l’attrice era inadempiente rispetto agli obblighi derivanti dalla scrittura privata, per avere promesso in vendita un immobile successivamente confiscato, perchè oggetto di lottizzazione abusiva, vendendo lo stesso ad un terzo, subito dopo l’ottenimento della concessione in sanatoria. Di tale circostanza non avrebbe notiziato la convenuta la quale, all’oscuro di ciò, legittimamente avrebbe rifiutato di stipulare l’atto pubblico;

avverso tale decisione proponevano appello C.A.M. e N.R., con atto di citazione del 22 marzo 2011, lamentando la contraddittoria motivazione riguardo alla regolarità urbanistica del fabbricato compromesso, l’insufficiente motivazione sul preteso inadempimento all’obbligo di vendere l’immobile alla S. e ribadendo l’inadempimento di quest’ultima e la sua responsabilità ai sensi dell’art. 96 c.p.c.. Si costituiva la appellata resistendo al gravame;

con sentenza del 6 dicembre 2017 la Corte d’Appello di Roma rigettava l’impugnazione, condannando gli appellanti, in solido, al pagamento delle spese del grado;

rileva la Corte territoriale che non era configurabile, a carico della promissaria acquirente, S.A., alcun inadempimento per non essersi recata dal notaio per la stipula, in quanto il bene compromesso in vendita non avrebbe potuto essere trasferito perchè, al tempo, era sottoposto a confisca in quanto oggetto di lottizzazione abusiva. Con la successiva vendita, in data (OMISSIS) C.A.M. aveva poi reso definitivo il proprio inadempimento;

avverso tale decisione propongono ricorso per cassazione i coniugi C.A.M. e N.R. affidandosi a due motivi. Resiste con controricorso S.A..

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo si deduce l’omesso esame di un fatto decisivo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5. Il giudice di appello avrebbe errato nel valutare il contenuto degli accordi contrattuali e, in particolare, nell’individuare i beni oggetto di confisca penale provvisoria. Poichè il bene oggetto del contratto preliminare è quello individuato con il mappale n. 260, sarebbe errata la dichiarazione della Corte territoriale secondo cui l’immobile era oggetto di confisca “per la quasi totalità”. Al contrario, la particella n. (OMISSIS) sarebbe l’unica estranea alla confisca;

con il secondo motivo si deduce la violazione di artt. 1454 e 1460 c.c.. Contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di appello il successivo trasferimento dell’immobile, in data (OMISSIS), non potrebbe essere qualificato come definitivo inadempimento, poichè la promissaria acquirente aveva già manifestato chiaramente la volontà di non acquistare il bene, con comunicazione del 7 febbraio 1997;

le doglianze oggetto del primo e secondo motivo, solo apparentemente ma riguardano la violazione di legge, ma in realtà lamentano una errata valutazione del materiale istruttorio e, quindi, consistono in una censura che riguarda la motivazione in punto di fatto. Tale censura non è consentita in presenza di una doppia conforme, atteso che la Corte d’Appello ribadisce e fa proprie le considerazioni espresse dal Tribunale riguardo alla circostanza che l’immobile promesso in vendita era oggetto della confisca disposta con sentenza del Pretore penale del 27 novembre 1996. L’art. 348 ter c.p.c., comma 5, non consente di prospettare in sede di legittimità il vizio previsto all’art. 360 c.p.c., n. 5;

a prescindere da ciò, in sede di legittimità parte ricorrente rileva che il contratto preliminare ha ad oggetto esclusivamente il fondo rustico posto in catasto terreni del Comune di (OMISSIS), al foglio (OMISSIS), mappale (OMISSIS), esteso metri quadri 3850, con sovrastante fabbricato ad uso magazzino, mentre il provvedimento di confisca riguarderebbe le particelle circostanti, con esclusione di quello oggetto del trasferimento; in particolare i terreni, individuati con i mappali n. (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). Non risulta dal ricorso che tale questione sia stata già prospettata davanti al giudice di merito. Si assume che tale circostanza (che richiede una indagine in fatto al fine di verificare la interferenza tra le particelle e la reale consistenza delle stesse) sarebbe stata sottoposta al giudice di primo e di secondo grado e erroneamente ignorata. Ma, sotto tale profilo la censura, la cui deduzione è ai limiti dell’errore revocatorio (la Corte d’Appello non si sarebbe avveduta della differente numerazione delle particelle, comunque, dedotta in violazione l’art. 366 c.p.c., n. 6, perchè parte ricorrente avrebbe dovuto trascrivere il contenuto dell’atto di citazione nel quale tale profilo sarebbe stato evidenziato o, comunque, certamente lo specifico motivo di appello teso ad evidenziare la errata valutazione delle risultanze documentali. Tale profilo è del tutto omesso;

ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza. Infine, va dato atto – mancando ogni discrezionalità al riguardo (tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra molte altre: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione e per il caso di reiezione integrale, in rito o nel merito.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in Euro 4.100,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione Civile-3, il 3 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2020

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