Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31565 del 03/12/2019

Cassazione civile sez. I, 03/12/2019, (ud. 23/09/2019, dep. 03/12/2019), n.31565

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22187/2017 proposto da:

R.N., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’avvocato Franco Mattiangeli del Foro di Terni, giusta procura

in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in Roma, Via Dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 478/2017 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 22/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

23/09/2019 dal Consigliere Dott. Paola GHINOY.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’appello di Perugia, accogliendo il gravame proposto dal Ministero dell’Interno, in riforma dell’ordinanza del Tribunale della stessa città rigettava la domanda proposta da R.N. volta ad ottenere il permesso di soggiorno per motivi familiari D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 30. Riteneva che non ne sussistessero le condizioni, in quanto il citato art. 30 prevede il diritto al rilascio del detto permesso di soggiorno in varie ipotesi nelle quali vi sia comunque una situazione di regolarità dello straniero nel territorio italiano. Nel caso di specie, al contrario, risultava che il richiedente era in Italia dal 1999 in stato di permanente clandestinità, che già nel 1999 il Questore di Terni gli aveva rifiutato il permesso di soggiorno, che nel 2005 il Questore di Milano aveva rigettato la sua richiesta di rilascio del permesso di soggiorno, che nel 2008 il Prefetto di Mantova ne aveva decretato l’espulsione ma il relativo provvedimento era rimasto ineseguito, che il R.N. in data 20/1/2010 era stato condannato alla pena di sei anni e due mesi di reclusione per gravi delitti riguardanti lo spaccio di sostanze stupefacenti e in data 23/5/2012 era stato condannato per il reato di bigamia. Aggiungeva che già il Tribunale per i minorenni nel gennaio 2015 aveva rigettato la richiesta avanzata dal predetto ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 31 evidenziando che lo stile di vita dello stesso ed i suoi maltrattamenti nei confronti della moglie alla presenza della figlia non lo facevano apparire come valida figura di riferimento.

2. Per la cassazione della sentenza R.N. ha proposto ricorso, affidato a tre motivi, cui il Ministero dell’interno ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

3. Come primo motivo di ricorso il richiedente deduce la violazione o falsa applicazione degli artt. 29 e 30 T.U. immigrazione. Argomenta che il titolo IV del suddetto testo unico impone di prendere in considerazione con carattere di priorità il superiore interesse del fanciullo e che l’art. 30 prevede che al genitore straniero anche naturale del minore italiano residente in Italia si rilasci permesso di soggiorno a prescindere da un valido titolo di soggiorno, a condizione che non sia stato privato della potestà genitoriale secondo la legge italiana. Sostiene quindi che non sia rilevante il fatto che egli non sia regolarmente soggiornante in Italia. Ribadisce che in caso di suo allontanamento le due figlie sarebbero private di un rapporto continuo con la figura paterna e lamenta che la sentenza avrebbe omesso di tener conto che l’amministrazione ha ricevuto e concesso il permesso di soggiorno per cure mediche.

4. Il motivo non è fondato.

Il D.Lgs. n. 268 del 1998, art. 30, comma 1 prevede che “Fatti salvi i casi di rilascio o di rinnovo della carta di soggiorno, H permesso di soggiorno per motivi familiari è rilasciato:

a) allo straniero che ha fatto ingresso in Italia con visto di ingresso per ricongiungimento familiare, ovvero con visto di ingresso al seguito del proprio familiare nei casi previsti dall’art. 29, ovvero con visto di ingresso per ricongiungimento al figlio minore;

b) agli stranieri regolarmente soggiornanti ad altro titolo da almeno un anno che abbiano contratto matrimonio nel territorio dello Stato con cittadini italiani o di uno Stato membro dell’Unione Europea, ovvero con cittadini stranieri regolarmente soggiornanti;

c) al familiare straniero regolarmente soggiornante, in possesso dei requisiti per il ricongiungimento con il cittadino italiano o di uno Stato membro dell’Unione Europea residenti in Italia, ovvero con straniero regolarmente soggiornante in Italia. In tal caso il permesso del familiare è convertito in permesso di soggiorno per motivi familiari. La conversione può essere richiesta entro un anno dalla data di scadenza del titolo di soggiorno originariamente posseduto dal familiare. Qualora detto cittadino sia un rifugiato si prescinde dal possesso di un valido permesso di soggiorno da parte del familiare;

d) al genitore straniero, anche naturale, di minore italiano residente in Italia. In tal caso il permesso di soggiorno per motivi familiari è rilasciato anche a prescindere dal possesso di un valido titolo di soggiorno, a condizione che il genitore richiedente non sia stato privato della responsabilità genitoriale secondo la legge italiana”.

5. Le lett. a), b) e c) della disposizione presuppongono dunque una situazione di ingresso o di soggiorno regolari nel territorio italiano.

6. Questa Corte nell’arresto 27/09/2018, n. 23316 ha confermato la necessità di una condizione di soggiorno regolare nel territorio italiano, specificando che essa può essere attuale o potenziale, per la pendenza di una domanda finalizzata ad ottenerla.

7. Tale situazione secondo l’accertamento fattuale compiuto dal giudice di merito nel caso non ricorre, stante la situazione di permanente clandestinità del richiedente – neppure venendo riferita la pendenza di impugnazioni avverso i provvedimenti di diniego dei titoli di soggiorno – e del quale è stata decretata l’espulsione.

8. Il richiedente lamenta che la sentenza appellata avrebbe omesso di tenere conto del fatto che “l’amministrazione abbia ricevuto e concesso il permesso di soggiorno per cure mediche al ricorrente” e richiama il doc. 6 allegato la fascicolo di primo grado. La deduzione è però del tutto generica, in assenza di alcuna precisazione quantomeno in ordine alla durata di tale riferito permesso, e pertanto non è idonea a vincere l’accertamento del giudice di merito relativa all’assenza di titolo legittimante il soggiorno.

9. il comma 1, lett. d) sopra ritrascritta e valorizzata dal richiedente prescinde invece da un valido titolo di soggiorno, ma prevede due condizioni: che il minore di cui lo straniero è genitore sia italiano (id est, cittadino italiano) e che il genitore richiedente non sia stato privato della responsabilità genitoriale secondo la nostra legge.

10. Nel caso in esame, è sufficiente ad escludere l’operatività della previsione la mancata allegazione del possesso della cittadinanza italiana delle figlie minorenni della coppia, delle quali viene solo riferita a pg. 11 del ricorso la circostanza della nascita in (OMISSIS).

11. Correttamente dunque il giudice di merito ha rigettato la domanda avente ad oggetto il permesso di soggiorno per motivi familiari, considerato che il rilascio di tale permesso costituisce un atto dovuto, non essendovi spazio per valutazioni discrezionali, se ed in quanto sussistano le specifiche situazioni elencate nell’art. 30 TUI.

12. Il ricorrente è nel giusto quando rileva che il permesso di soggiorno per motivi familiari o per coesione familiare rientra tra le misure volte a tutelare la famiglia, oggetto di riconoscimento costituzionale (art. 29 Cost.), Europeo (artt. 7 e 9 Carta dei diritti fondamentali dell’unione Europea) e costituzionale – convenzionale (artt. 8 e 12 CEDU).

13. Occorre però ribadire che tale diritto della persona non è riconosciuto in forma incondizionata. Come rilevato dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n. 21799 del 25/10/2010, “alle norme rivolte alla protezione, con carattere di priorità, dell’individuo minorenne e della famiglia si contrappone la materia dell’immigrazione, fondata su principi diversi (e talvolta antitetici) ispirati da esigenze di ordine pubblico e di sicurezza nazionale, che comporta la rigorosa regolamentazione delle condizioni che consentono l’ingresso e la permanenza dello straniero nel territorio di ciascuno Stato. Si tratta anche in questo caso di principi e valori tutelati da fonti internazionali tanto da essere stati comunitarizzati dal Trattato di Amsterdam e da consentire interventi legislativi degli organi comunitari (art. 51 Tratt.); i quali con la Direttiva 2008/115/CE hanno dettato norme e procedure comuni da applicare negli Stati membri per il rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, la cui operatività richiede un difficile bilanciamento tra i diversi interessi generali ed individuali coinvolti attingendo anche la protezione dei diritti delle famiglie e dei minori immigrati” (così le Sezioni Unite nella sentenza richiamata).

14. Legittimamente quindi il diritto al mantenimento dell’unità della famiglia è in via generale riconosciuto dall’art. 28, comma 1 Legge, alle condizioni sostanziali e nel rispetto delle regole procedurali previste nei successivi artt. 29 e 30, i quali dettano i presupposti sopra individuati con cui viene tutelato il diritto anzidetto, onde l’esistenza di un nucleo familiare non è di per sè sufficiente a far ritenere legittima la permanenza in Italia di cittadini stranieri, al di fuori delle regole che disciplinano il loro ingresso nel territorio della Stato. Ed anche la Corte Costituzionale (sent. 232/2001) ha ritenuto legittima detta tutela apprestata al solo straniero, che sia regolarmente soggiornante nel territorio dello Stato, a mantenere l’unità del suo nucleo familiare.

15. Il ricorrente valorizza anche la circostanza che qualora egli fosse allontanato, le due figlie minori sarebbero private di un rapporto continuo con la figura paterna.

16. Vi è però da rilevare che la tutela dell’interesse superiore del minore è specificamente apprestata dal successivo art. 31 T.U. immigrazione, che al comma 3 stabilisce che il permesso di soggiorno ivi previsto può essere concesso per “gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico” e tenuto conto “dell’età e delle condizioni di salute del minore”. Tale permesso non è stato però fatto oggetto della domanda azionata in causa, diversa per elementi costitutivi e regime processuale, ma di una precedente domanda del gennaio 2015 della quale ha riferito la Corte d’appello, che ha aggiunto che il Tribunale per i minorenni l’aveva rigettata, evidenziando che lo stile di vita del R. ed i suoi maltrattamenti nei confronti della moglie alla presenza della bambina non lo facevano apparire come valida figura di riferimento.

17. Come secondo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione di norme di diritto con riferimento all’art. 112 c.p.c. e sostiene che il provvedimento di diniego da parte del Questore di Terni non prendeva in esame i requisiti di cui al D.Lgs. n. 268 del 1998, art. 30 invece richiamati nell’impugnata sentenza a sostegno dell’accoglimento dell’appello del Ministero, circostanze nuove addotte da controparte sono in grado d’appello su cui il ricorrente non era stato posto in grado di controdedurre.

18. Il motivo è inammissibile, non essendovi la specificazione delle difese ove sarebbe stato introdotto il nuovo documento, nè la trascrizione del suo contenuto. Nel caso, comunque, la regolare presenza in Italia del richiedente rappresentava elemento costitutivo della domanda proposta ai sensi dell’art. 30, comma 1, lett. a), b) e c) sicchè l’esistenza di un provvedimento di diniego del permesso di soggiorno nulla aggiungeva alla mancanza di allegazione in tal senso ad opera del richiedente.

19. Come terzo motivo il ricorrente deduce il difetto di motivazione con riferimento alla pericolosità sociale, alla condizione familiare e alle condizioni di salute. Sostiene che l’accertamento della pericolosità sociale debba essere compiuto con riferimento all’attualità e avere ad oggetto l’intera personalità del soggetto. Argomenta che la L. n. 1423 del 1956, art. 1 nel precisare i limiti concreti posti alla discrezionalità dell’autorità amministrativa nel valutare pericoloso il cittadino straniero, individua coloro che sono abitualmente dediti a traffici delittuosi o vivono abitualmente con proventi di attività delittuose o che debbano ritenersi dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l’integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità la sicurezza e la tranquillità pubblica. Per contro, nel caso, non sussisterebbero i requisiti dell’attualità della pericolosità, nè potrebbero ritenersi ostativi i risalenti precedenti penali. Richiama la Direttiva 2003/109/CE che all’art. 12 prevede che gli Stati membri possano decidere di allontanare soggiornanti di lungo periodo esclusivamente se costituiscano una minaccia effettiva sufficientemente grave per l’ordine pubblico e la sicurezza.

20. Aggiunge che sarebbe stato omesso ogni accertamento relativo alla situazione familiare, sociale e di salute del richiedente, ed in particolare del fatto che egli è coniugato con la signora H.M., con cui convive insieme alle figlie minori della coppia, nate nel (OMISSIS) in (OMISSIS), che frequentano la scuola, e con altro figlio, che il nucleo familiare abita a Terni ove è radicato nel contesto sociale anche grazie all’impegno lavorativo profuso in particolare dalla moglie.

21. Il motivo nella sua prima parte è inammissibile in quanto non è coerente con la ratio decidendi adottata dal giudice di merito, che ha rigettato la domanda non tanto per la sussistenza di precedenti penali o per la pericolosità sociale del richiedente, ma in quanto egli non è in possesso dei requisiti (già individuati ai punti precedenti) per la concessione del permesso di soggiorno richiesto.

22. Inoltre, è vero che è prevista dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 5 una tutela rafforzata contro l’allontanamento dal territorio dello stato dello straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare ovvero del familiare ricongiunto, tutela rafforzata che impone, prima di adottare un provvedimento di rifiuto del rilascio, revoca o diniego del rinnovo, di valutare anche la natura e l’effettività dei vincoli familiari dell’interessato (mentre lo stato di salute potrà determinare la richiesta di apposite misure di protezione).

23. Il giudice di merito non si è tuttavia sottratto a tale compito, considerato che ha comunque valorizzato una serie di circostanze fattuali in tal senso rilevanti risultanti da precedenti provvedimenti giudiziari (la condanna per il reato di bigamia, i maltrattamenti nei confronti della moglie alla presenza della bambina che non lo rendevano una valida figura di riferimento), la cui incidenza negativa non viene smentita dalle ulteriori circostanze riferite dal richiedente, che pongono l’accento sull’aspetto della convivenza, di per sè sola insufficiente al fine di ritenere l’effettività di un vincolo affettivo familiare, e rivelano comunque come la figura di riferimento per il nucleo familiare, quantomeno sotto il profilo della produzione del reddito, sia la moglie.

24. Segue coerente il rigetto del ricorso.

25. Le spese seguono la soccombenza.

26. Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, ove dovuto.

27. Non vi è luogo a pronuncia sulla richiesta del Ministero di revoca dell’ammissione del richiedente al patrocinio a spese dello Stato, dovendosi dare seguito ai precedenti di questa Corte che affermano che la competenza a provvedere sulla revoca per il giudizio di cassazione spetta al giudice di rinvio ovvero a quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato, similmente a quanto avviene nei procedimenti penali e con riguardo alla liquidazione degli onorari e delle spese del difensore in cassazione, ai sensi rispettivamente del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 112, comma 3 e art. 83, comma 2. Tale revoca, avendo efficacia retroattiva nelle ipotesi previste del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136, commi 2 e 3, ripristina l’obbligo della parte assistita in giudizio di sopportare personalmente le spese della sua difesa e determina, perciò, le conseguenti restituzioni sulla base di accertamenti di fatto che esulano dai poteri cognitori della Corte di cassazione (così Cass. n. 23972 del 02/10/2018, n. 16940 del 25/06/2019).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate in complessivi Euro 2.100,00 per compensi, oltre alle spese generali nella misura del 15 % e alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 23 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 dicembre 2019

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