Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31564 del 03/12/2019

Cassazione civile sez. I, 03/12/2019, (ud. 10/09/2019, dep. 03/12/2019), n.31564

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29132/2015 proposto da:

V.G., S.S., elettivamente domiciliati in

Roma, Via Porta Pinciana n. 4, presso lo studio dell’avvocato De

Sensi Vincenzo, che li rappresenta e difende, giusta procura a

margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

Italfondiario S.p.a., nella qualità di procuratore della Castello

Finance s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, Via Luigi Lilio n. 95, presso lo

studio dell’avvocato Carsillo Teodoro, che la rappresenta e difende,

giusta procura speciale per Notaio Dott.ssa C.E. di

(OMISSIS);

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 914/2015 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

pubblicata il 01/07/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/09/2019 dal cons. Dott. SOLAINI LUCA.

Fatto

CONSIDERATO

che:

V.G., quale debitore principale e S.S., quale fideiussore, convenivano in giudizio davanti al Tribunale di Lamezia Terme, Carical – Cassa di risparmio di Calabria e Lucania spa (oggi, Intesa BCI gestione crediti) per opporsi al decreto ingiuntivo emesso dal predetto Tribunale, in favore di quest’ultima per il pagamento, dell’importo di Lire 726.912.638, oltre interessi e spese, per saldo debitorio del conto corrente n. (OMISSIS), chiuso in data 13.9.1995.

A supporto delle proprie ragioni, gli ingiunti deducevano che la restituzione del finanziamento era subordinata alla vendita della collezione di opere d’arte e che la banca, violando gli impegni contrattuali e comunque il dovere di buona fede, aveva arbitrariamente revocato gli affidamenti prima della vendita della collezione e chiesto il decreto ingiuntivo; in ogni caso, l’importo ingiunto non era dovuto per mancanza di prova del credito, per l’illegittimità della pretesa d’interessi ultra legali, per nullità della capitalizzazione trimestrale e della commissione di massimo scoperto con condanna al risarcimento dei danni e alla restituzione delle somme indebitamente percepite.

Nella resistenza della banca, il Tribunale di Lamezia Terme, in parziale accoglimento dell’opposizione, dichiarava l’illegittimità della capitalizzazione trimestrale degli interessi e condannava gli ingiunti al pagamento della minor somma di Euro 266.730,21 oltre interessi e spese, delimitando il thema decidendum al conto corrente (OMISSIS) che era il conto per il cui scoperto la banca aveva chiesto la tutela monitoria, ritenendo tardiva l’allegazione difensiva dell’esistenza di altri due conti correnti collegati al primo, al fine del ricalcolo unitario del saldo debitore, e tardiva la produzione degli estratti conto del c/c (OMISSIS), perchè effettuata oltre i termini perentori di cui agli artt. 183 e 184 c.c., mentre era utilizzabile la documentazione prodotta dalla banca in sede di operazioni peritali, in quanto, l’eccezione di tardività della produzione documentale era stata sollevata dagli opponenti tardivamente.

Gli ingiunti proponevano appello, lamentando l’erroneità delle statuizioni di primo grado, mentre resisteva Italfondiario quale procuratore speciale del successore a titolo universale e del successore a titolo particolare del diritto controverso.

La Corte d’appello dichiarava inammissibile il gravame, sulla base dell’assunto della mancanza di specificità dei motivi d’appello, o perchè erano oramai passate in giudicato le sottostanti statuizioni.

V.G., quale debitore principale e S.S., quale fideiussore, ricorrono ora per cassazione, sulla base di cinque motivi, illustrati da memoria, mentre, la banca resiste con controricorso.

Diritto

RILEVATO

che:

Con il primo motivo, i ricorrenti deducono il vizio di violazione di legge, in particolare, dell’art. 342 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto erroneamente la Corte d’appello aveva rilevato il difetto d’interesse degli appellanti ad impugnare il capo della sentenza del Tribunale ravvisante la tardività della produzione documentale degli opponenti in sede di operazioni peritali e ciò, per omessa impugnazione del prodromico capo della decisione di primo grado che aveva fissato l’oggetto della controversia al solo conto (OMISSIS) a causa della tardività dell’allegazione del collegamento con l’altro conto (OMISSIS).

Con il secondo motivo, i ricorrenti deducono il vizio di violazione di legge, in particolare, dell’art. 342 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto erroneamente, la Corte d’appello aveva dichiarato l’inammissibilità del gravame con riferimento all’omessa impugnazione della statuizione di primo grado che riteneva utilizzabile la produzione documentale della banca in sede di operazioni peritali per avere gli appellanti eccepito tardivamente la tardività di siffatta produzione e per non avere, inoltre, la medesima Corte territoriale dichiarato la nullità della fideiussione perchè sottoscritta su moduli in bianco, senza l’indicazione dell’importo massimo garantito.

Con il terzo motivo, i ricorrenti deducono il vizio di violazione di legge, in particolare, degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in riferimento alla statuizione contenuta alla p. 8 della sentenza impugnata, secondo cui il collegamento tra più conti correnti non era un dato acquisito agli atti, sebbene rilevato dal CTU, perchè quest’ultimo non poteva “sconfinare” dai limiti posti dai quesiti fissatigli.

Con un quarto motivo, i ricorrenti deducono il vizio di violazione di legge, in particolare, dell’art. 1421 c.c. e art. 101 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto erroneamente, la Corte d’appello, non aveva dichiarato la nullità del contratto di conto corrente, per nullità delle clausole che fissano gli interessi in misura ultra legale, che determinano capitalizzazioni trimestrali e commissioni di massimo scoperto e la nullità della fideiussione, perchè rilasciata su moduli in bianco.

Con un quinto motivo, i ricorrenti deducono il vizio di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riferito ai fatti oggetto dei motivi di censura nn. 3, 4 e 5 (v. pp. 28 e ss. del ricorso).

Il primo motivo di ricorso è infondato, in quanto, dalla testuale riproduzione della censura svolta dagli odierni ricorrenti in appello, emerge la aspecificità della stessa, perchè non vengono specificate le ragioni dell’errore commesso dal tribunale, ossia le ragioni per le quali dalla documentazione in atti sarebbe emerso il collegamento tra i diversi conti (cioè, tra quello sul quale la banca aveva chiesto ed ottenuto il decreto ingiuntivo e gli altri intercorrenti tra le parti), e prima ancora non erano emerse le ragioni e i termini del collegamento stesso.

Il secondo motivo è, da una parte, inammissibile, con riferimento alla censura sull’utilizzabilità della documentazione prodotta, tardivamente, solo in sede di operazioni peritali dalla banca, ossia gli estratti conto mancanti del conto n. (OMISSIS), in quanto, la Corte d’appello non ha ritenuto inammissibile il corrispondente motivo d’appello perchè svolto per relationem al motivo proposto in primo grado, ma, invece, i giudici di secondo grado hanno disatteso le critiche degli appellanti alla ritenuta utilizzabilità delle predette produzioni documentali effettuate dalla banca nel corso delle operazioni peritali, sull’assunto della tardività dell’allegazione da parte dei correntisti, dell’esistenza di altri conti da collegare al (OMISSIS), e perchè gli opponenti erano privi d’interesse a proporre tale censura, per effetto dell’inversione dell’onere della prova conseguente all’atto di ricognizione di debito (proposta di un piano di rientro inviata dal V. all’istituto di credito in data 28.7.1995 – doc. n. 36 del fascicolo della banca opposta) che onerava i debitori e non la banca a produrre tali estratti conto. Con riferimento alla censura, sulla nullità della fideiussione, il motivo è infondato, in quanto, la Corte d’appello ha ritenuto inammissibile il motivo per difetto di specificità, essendosi i debitori limitati al mero rinvio alla documentazione prodotta in primo grado ed, inoltre, il medesimo motivo è privo di argomentazioni critiche da contrapporre alle statuizioni della sentenza di primo grado; inoltre, la doglianza sulla nullità della fideiussione perchè il relativo modulo era stato sottoscritto in bianco non è decisiva, potendo esservi un accordo di riempimento con la banca, e ciò, non comporta alcuna invalidità del relativo negozio: stava semmai al sottoscrivente dedurre che il modulo stesso era stato riempito contra pacta, ma ciò non hanno fatto gli appellanti, attuali ricorrenti.

Il terzo motivo di ricorso, è infondato, in quanto, in disparte la considerazione che attiene al merito delle valutazioni istruttorie, quindi, di per sè inammissibile, in ogni caso, l’eccezione del collegamento dei conti, idoneo a modificare il saldo del rapporto è un’eccezione che introduce un fatto modificato o estintivo del diritto vantato dalla banca attrice e, dunque, un fatto che è oggetto di eccezione in senso proprio, che pertanto, i convenuti in senso sostanziale (cioè, gli opponenti a decreto ingiuntivo) potevano proporre non oltre il termine di cui all’art. 183 c.p.c., u.c. (nel testo vigente ratione temporis) e non in sede di esecuzione della CTU; quindi, tale fatto nuovo non poteva essere preso in considerazione dal giudice, nè rileva la tardività dell’eccezione d’inammissibilità sollevata dalla banca, atteso che, per giurisprudenza consolidata di questa Corte (cfr. tra le altre, Cass. n. 27644/18), la violazione del divieto di modifica del thema decidendum è rilevabile anche d’ufficio, in quanto di ordine pubblico, salvo l’espressa accettazione del contraddittorio; nè, in ogni caso, l’incarico conferito al giudice istruttore al CTU poteva essere interpretato come comprensivo dell’ampliamento dell’indagine a fatti modificativi o estintivi non dedotti dagli opponenti.

Il quarto motivo è inammissibile, in quanto, le censure relative alla nullità degli interessi ultra legali e alle commissioni di massimo scoperto sono generiche, non essendo indicate le ragioni della dedotta nullità; quella relativa alla capitalizzazione trimestrale non tiene conto della circostanza che già il tribunale aveva dichiarato tale nullità, applicando conseguentemente la capitalizzazione annuale, e avverso tale pronuncia non risulta essere stato proposto gravame; nè, infine, vi era stato specifico motivo di appello avverso la statuizione del tribunale di rigetto della nullità della fideiussione.

Il quinto motivo è inammissibile, in quanto, non viene riportato alcun fatto decisivo di cui sia stato omesso l’esame, mentre, nella parte in cui si fa accenno al difetto assoluto di motivazione la censura è manifestamente infondata, essendo, invece, la sentenza compiutamente motivata.

Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Rigetta il ricorso.

Condanna i ricorrenti a pagare a Italfondiario spa, in persona del legale rappresentante, le spese di lite del presente giudizio, che liquida nell’importo di Euro 5.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre il 15% per spese generali, oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 10 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 dicembre 2019

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