Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31563 del 06/12/2018

Cassazione civile sez. III, 06/12/2018, (ud. 06/11/2018, dep. 06/12/2018), n.31563

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – rel. Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 9141-2017 proposto da:

P.C., S.L., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

PILO ALBERTELLI 1 (FAX 0698933754-TEL 0644233842), presso lo studio

dell’avvocato LUCIA CAMPOREALE, rappresentati e difesi dall’avvocato

SALVATORE STARA giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

ITALFONDIARIO SPA, BANCA NAZIONALE DEL LAVORO SPA, INTESA SAN PAOLO

SPA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 6230/2016 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE di

ROMA, depositata il 31/03/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/11/2018 dal Consigliere Dott. ENRICO SCODITTI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

TRONCONE Fulvio, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con atto del 7 dicembre 2000 S.L. propose opposizione di terzo ai sensi dell’art. 619 c.p.c. avverso il processo esecutivo immobiliare pendente innanzi al Tribunale di Cagliari ad istanza di B.N.L. nei confronti del coniuge P.C., deducendo l’illegittimità della vendita di immobile sito nel Comune di (OMISSIS), eseguita con decreto di trasferimento di data 12 gennaio 1996 in favore di C.M., in quanto lesiva della quota di sua proprietà, pari ad un quarto indiviso, in comunione legale per metà del bene con il marito. Il Tribunale adito rigettò la domanda.

2. Avverso detta sentenza propose appello la S. con intervento adesivo del P.. La Corte d’appello di Cagliari rigettò l’appello.

3. S.L. e P.C. proposero ricorso per cassazione, rigettato con sentenza n. 6230 del 31 marzo 2016.

4 Osservò la Corte di cassazione, premessa l’inammissibilità della memoria spedita a mezzo posta il 14 gennaio 2016 e pervenuta il 18 gennaio 2016, per un verso perchè depositata in cancelleria tardivamente, per l’altro, nella parte in cui pareva dispiegare nuova ricusazione, perchè irritualmente spedita a mezzo posta, che il ricorso proposto dal debitore esecutato doveva intendersi come adesivo dipendente e che l’aggiudicataria dell’immobile non aveva mai preso parte al giudizio per essere stata impostata l’azione come opposizione di terzo all’esecuzione. Aggiunse che si prospettava l’infondatezza dei motivi già sulla base del fatto che, trattandosi di bene in parte ricadente nella comunione legale, dovevano richiamarsi i seguenti principi: il bene andava aggredito per l’intero, salvo il diritto del coniuge non debitore a percepire la metà del ricavato della vendita; il coniuge debitore non poteva con l’opposizione di terzo escludere l’espropriazione di una quota del bene in natura, non spettante fino allo scioglimento della comunione; la non configurabilità della quota precludeva l’applicabilità degli artt. 599 e 601 c.p.c..

Osservò in particolare la Corte che il primo motivo era comunque inammissibile perchè era stata omessa l’indicazione di quando le specifiche domande ed eccezioni (non analiticamente indicate) di cui al motivo fossero state introdotte nel giudizio, domande ed eccezioni peraltro non ricollegabili ai motivi di appello proposti dalla S., e che infondati erano i motivi secondo, terzo e quinto, da esaminare congiuntamente, relativi all’erronea identificazione del bene e alla consistenza aggredita, nonchè ai vizi del procedimento quanto alla partecipazione del comproprietario non debitore ed alla divisibilità del cespite (da cui la nullità di pignoramento e trasferimento), perchè l’opponente ai sensi dell’art. 619 è privo di legittimazione a sollevare doglianze sulla legittimità della procedura e dei singoli atti. Aggiunse, con riferimento al quarto motivo, rispetto ad opposizione proposta oltre il termine di cui all’art. 619 c.p.c., comma 1, che l’opponente poteva conseguire l’effetto di rivendicare il proprio diritto reale immobiliare e che la corte territoriale aveva escluso la configurabilità di azione di rivendicazione, per essersi la S. per un verso limitata a predicare la nullità della vendita forzata a seguito dell’assoggettamento a vincolo anche della sua quota di proprietà, e per l’altro per avere deliberatamente omesso di evocare in giudizio anche l’aggiudicataria. Osservò in particolare, in relazione alla censura di omessa pronuncia ai sensi dell’art. 112 c.p.c., che, con riferimento a petitum consistente nell’accertamento dell’inerenza del bene alla comunione legale e della nullità della vendita, con reintegrazione nella proprietà e possesso, correttamente era stata esclusa l’introduzione di una domanda di rivendica, essendo la mancata proposizione di domande nei confronti dell’aggiudicataria sintomatica di un’azione volta esclusivamente alla mera declaratoria di illegittimità della vendita (la reintegrazione transitava attraverso la previa nullità della vendita e non attraverso l’inopponibilità di quest’ultima) e che in ogni caso difettava ogni allegazione circa l’eventuale possesso del bene da parte dell’aggiudicataria.

Aggiunse il giudice di legittimità che inammissibili erano il sesto ed il settimo motivo, stante la carenza di legittimazione attiva del P. (quanto alla questione della comunione legale perchè si sarebbe dovuta proporre azione ai sensi dell’art. 617 c.p.c. nel termine di decadenza, quanto all’invocato rinvio alla Corte di Giustizia per mancanza di titolo trattandosi della posizione sostanziale della moglie) e che quanto al capo relativo alla comunione legale ricorreva il difetto di legittimazione attiva della S., afferendo il motivo a domande mai proposte, quanto all’invocato rinvio alla Corte di Giustizia ricorreva l’ipotesi dell’atto chiaro, tale da precludere qualunque contrarietà alla normativa comunitaria, in relazione alla devoluzione della tutela del coniuge in regime di comunione legale alla mera sede esecutiva.

5. Hanno proposto ricorso per revocazione S.L. e P.C. sulla base di otto motivi. E’ stata depositata memoria di parte.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si denuncia nullità della sentenza per nullità-illegittimità dell’ordinanza di rigetto della ricusazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, Osservano i ricorrenti che l’ordinanza sulla ricusazione è nulla sia in rito, per non essere stati sentiti i magistrati ricusati, sia per il rigetto dell’eccezione di incostituzionalità relativamente alla composizione del Collegio di soli giudici togati, e che erano stati denunciati i fatti segno fino a prova contraria di rancore e inimicizia. Aggiungono che la sentenza è inoltre nulla per la mancata previa pronuncia sulla ricusazione proposta in data 14 gennaio 2016 e pervenuta il 18 gennaio 2016, ritualmente proposta a mezzo del servizio postale.

1.1. Il motivo è inammissibile. La censura è espressamente fondata non su un errore di fatto, qualificabile in termini di errore revocatorio, ma su una nullità della sentenza, circostanza di per sè estranea al paradigma della revocazione di cui all’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4 il quale non contempla la nullità come causa di revocazione. In realtà, la nullità potrebbe derivare da un errore meramente percettivo, il che consentirebbe di rientrare nello schema della revocazione (cfr. Cass. 24 agosto 2000, n. 11061), ma i ricorrenti non denunciano l’esistenza di una svista che abbia cagionato la nullità, ma la mera illegittimità della sentenza derivante dall’asserita nullità dell’ordinanza avente ad oggetto la questione della ricusazione. Quanto alla dedotta mancata previa pronuncia sulla ricusazione si contesta, ancora una volta, non un errore percettivo, ma la divergenza di valutazioni in ordine alla ritualità della presentazione della memoria mediante il servizio postale.

2. Con il secondo motivo si denuncia ai sensi dell’art. 391 bis c.p.c. e art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4 errore di fatto. Osservano i ricorrenti che ammissibile era la memoria del 14 gennaio 2016, non vietando la legislazione processuale l’invio per posta delle memorie difensive, verificandosi la sanatoria dell’irregolarità una volta che l’atto pervenga alla cancelleria prima dell’udienza, e che l’errata dichiarazione di inammissibilità ha determinato errore revocatorio per mancata pronuncia.

Il motivo è inammissibile. Va rammentato che l’istanza di revocazione di una pronuncia della Corte di cassazione, proponibile ai sensi dell’art. 391-bis c.p.c., implica, ai fini della sua ammissibilità, un errore di fatto riconducibile all’art. 395 c.p.c., n. 4, che consiste in un errore di percezione, o in una mera svista materiale, che abbia indotto il giudice a supporre l’esistenza (o l’inesistenza) di un fatto decisivo, che risulti, invece, in modo incontestabile escluso (o accertato) in base agli atti e ai documenti di causa, sempre che tale fatto non abbia costituito oggetto di un punto controverso, su cui il giudice si sia pronunciato. L’errore in questione presuppone, quindi, il contrasto fra due diverse rappresentazioni dello stesso fatto, delle quali una emerge dalla sentenza, l’altra dagli atti e documenti processuali, semprechè la realtà desumibile dalla sentenza sia frutto di supposizione e non di giudizio, formatosi sulla base di una valutazione (fra le tante da ultimo Cass. 11 gennaio 2018, n. 442). Nel motivo in esame ciò che si censura è il giudizio in ordine all’ammissibilità della memoria, sicchè non ricorre l’ipotesi dell’errore revocatorio.

3. Con il terzo motivo si denuncia ai sensi dell’art. 391 bis c.p.c. e art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4 errore di fatto. Osservano i ricorrenti che la sentenza si basa sull’erroneo argomento che si trattasse di pignoramento di bene in comunione, laddove invece si è trattato di bene considerato come di esclusiva proprietà dell’esecutato e come tale venduto.

3.1. Il motivo è inammissibile. Il presupposto di fatto sulla cui base si è svolto il giudizio di legittimità è stato quello dell’esecuzione immobiliare intrapresa esclusivamente nei confronti del debitore e con riferimento a bene, in comunione legale per la metà (con quota quindi di pertinenza del coniuge non debitore pari ad un quarto), pignorato nella sua integralità. Il principio di diritto enunciato è stato nel senso della correttezza del pignoramento per l’intero del bene, pur se in parte compreso nella comunione legale con il coniuge non debitore, salvo il diritto di quest’ultimo alla corresponsione, in sede di distribuzione, della metà del ricavato lordo della vendita, corresponsione dovuta in dipendenza dello scioglimento della comunione legale limitatamente al bene trasferito.

L’errore di fatto denunciato con l’odierno ricorso sarebbe che la sentenza ha considerato il bene in comunione, laddove invece il bene medesimo sarebbe stato pignorato come di esclusiva proprietà dell’esecutato e come tale venduto. La censura è inammissibile per omessa indicazione della decisività dell’asserito errore di fatto alla stregua dell’enunciato principio di diritto. Ed invero non si comprende quale sia la decisività della circostanza per la quale il pignoramento sarebbe stato eseguito nei confronti del debitore e per l’integralità del bene senza menzione della comunione legale una volta che sia stata dichiarata la salvezza del diritto del coniuge non debitore alla corresponsione, in sede di distribuzione, della metà del ricavato lordo della vendita.

4. Con il quarto motivo si denuncia ai sensi dell’art. 391 bis c.p.c. e art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4 errore di fatto. Osservano i ricorrenti, a proposito della rilevata inammissibilità del primo motivo, che la formulazione del vizio era rituale, sicchè il Collegio ha omesso di pronunciare, con conseguenziale vizio revocatorio.

4.1. Il motivo è inammissibile. Anche in tal caso ciò che si censura è il giudizio in ordine all’ammissibilità del primo motivo del ricorso, sicchè, ricorrendo l’ipotesi della valutazione, non ricorre quella dell’errore revocatorio.

5. Con il quinto motivo si denuncia ai sensi dell’art. 391 bis c.p.c. e art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4 errore di fatto. Osservano i ricorrenti, a proposito di quanto rilevato con riferimento ai motivi secondo, terzo e quinto, premessa l’inidoneità della trattazione congiunta, che in ordine ai detti motivi il Collegio non si è pronunciato, avuto riguardo al tenore di ciascuno di essi ed in particolare: il secondo motivo relativo alla necessità che il bene in comunione venga pignorato limitatamente alla quota del coniuge debitore (e non come bene interamente del debitore) ed alla circostanza che il decreto di trasferimento è stato emesso sulla base del dato falso del bene come di esclusiva proprietà del P.; il terzo motivo relativo all’illegittimità del pignoramento nella misura in cui incideva sulla sfera giuridica della S.; il quinto motivo relativo alla non semplice inopponibilità alla S. della vendita, ma alla sua intrinseca nullità per nullità/inesistenza del pignoramento.

5. 1. Il motivo è inammissibile. In tema di revocazione delle sentenze della Corte di Cassazione, configurabile solo nelle ipotesi in cui essa sia giudice del fatto ed incorra in errore meramente percettivo, non può ritenersi inficiata da errore di fatto la sentenza della quale si censuri la valutazione di uno dei motivi del ricorso ritenendo che sia stata espressa senza considerare le argomentazioni contenute nell’atto d’impugnazione, perchè in tal caso è dedotta un’errata considerazione e interpretazione dell’oggetto di ricorso (Cass. 15 febbraio 2018, n. 3760).

6. Con il sesto motivo si denuncia ai sensi dell’art. 391 bis c.p.c. e art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4 errore di fatto. Osservano i ricorrenti, a proposito di quanto rilevato con riferimento al quarto motivo, che la S. non aveva proposto alcuna domanda di rivendica nei confronti dell’aggiudicataria, essendosi limitata ad affermare la nullità della vendita. Aggiungono che il riconoscimento che la S. aveva sempre affermato di essere comproprietaria del bene e l’istanza di declaratoria di appartenenza alla comunione legale non sono incompatibili con la negazione della sussistenza della domanda di rivendica e che la richiesta di reintegrazione era sufficiente ai fini della domanda di riconoscimento della proprietà, sicchè il Collegio, accogliendo il motivo, doveva disporre l’integrazione del contraddittorio nei confronti dell’aggiudicataria.

6. 1. Il motivo è inammissibile. L’errore di fatto revocatorio, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., comma 4, consiste in una falsa percezione della realtà, in una svista obiettivamente e immediatamente rilevabile, che abbia condotto ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto decisivo, incontestabilmente escluso dagli atti e dai documenti di causa, ovvero l’inesistenza di un fatto decisivo che, dagli stessi atti e documenti, risulti positivamente accertato, sicchè i vizi relativi all’interpretazione della domanda giudiziale non rientrano nella nozione di “errore di fatto” denunciabile mediante impugnazione per revocazione (Cass. 15 marzo 2018, n. 6405).

7. Con il settimo motivo si denuncia ai sensi dell’art. 391 bis c.p.c. e art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4 errore di fatto. Osservano i ricorrenti, a proposito di quanto rilevato con riferimento al sesto motivo, che il Collegio non si è pronunciato sulla censura e che la nullità della vendita, derivante dalla nullità del pignoramento su bene in comune alla S. ma pignorato come di esclusiva proprietà del debitore, era rilevabile in ogni stato e grado, senza termine di decadenza, mentre pienamente dotata di legittimazione era la S..

8. Con l’ottavo motivo si denuncia ai sensi dell’art. 391 bis c.p.c. e art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4 errore di fatto. Osservano i ricorrenti, a proposito di quanto rilevato con riferimento al settimo motivo, che il Collegio aveva l’obbligo di verificare la compatibilità del diritto interno, nel senso della possibilità di vendere un bene in comunione come bene di proprietà esclusiva di uno solo dei coniugi (con possibilità del coniuge ignorato di rivalersi solo sulla quota di prezzo ricavato), con le disposizioni comunitarie.

8.1 I motivi, settimo ed ottavo, da valutare unitariamente sono inammissibili. Le censure incidono ancora al livello del giudizio e non dell’errore percettivo. Il settimo motivo peraltro si pone in netto contrasto con il principio di diritto enunciato dalla sentenza.

Nulla per le spese del giudizio di cassazione in mancanza della partecipazione delle parti intimate al giudizio.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 e viene rigettato, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, che ha aggiunto il comma 1 – quater al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bio.

Così deciso in Roma, il 6 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 6 dicembre 2018

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