Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31562 del 03/12/2019

Cassazione civile sez. I, 03/12/2019, (ud. 10/09/2019, dep. 03/12/2019), n.31562

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26644/2015 proposto da:

Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.a., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via

Antonio Bosio n. 2, presso lo studio dell’avvocato Luconi Massimo,

che la rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

CISM S.a.s. di F.S. e C. s.a.s., Di.Fr.Ma.,

D.F.S.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1782/2014 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 19/12/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/09/2019 dal cons. Dott. SOLAINI LUCA.

Fatto

RILEVATO

che:

CISM di F.S. & C. sas, F.S. e Di.Fr.Ma. convennero in giudizio davanti al Tribunale di Catania la Banca MPS spa e premesso di aver intrattenuto con tale banca un contratto di conto corrente, esponevano che erano stati tenuti al pagamento di somme non dovute, in quanto fondate su clausole nulle (usi su piazza, in ordine alla determinazione del tasso d’interesse) e capitalizzazione trimestrale, di cui chiedevano la condanna della banca alla restituzione.

Nella resistenza della banca, il Tribunale, all’esito della disposta CTU, accoglieva la domanda, ritenendo la nullità delle clausole per violazione degli artt. 1283 e 1284 c.c. e ritenendo di non poter attribuire alcuna rilevanza all’atto di concessione d’ipoteca volontaria invocato dalla banca quale confessione stragiudiziale contenente il riconoscimento del credito della stessa, che non poteva comportare la sanatoria di vizi di nullità contenuti nel contratto di conto corrente, peraltro, considerato che era stato accertato a mezzo della disposta CTU che la CISM aveva intrattenuto con la medesima banca anche altri rapporti di conto corrente.

Banca Mps spa proponeva appello che veniva rigettato.

A sostegno dei propri assunti, la Corte territoriale ha ritenuto che la dichiarazione (di riconoscimento del credito della banca) inserita nell’atto di concessione d’ipoteca volontaria non possedeva i requisiti dell’efficacia confessoria propria di una dichiarazione di scienza che ha ad oggetto un fatto a sè sfavorevole, ma al più, quella di una ricognizione di debito, con esclusione degli effetti, di cui all’art. 2733 c.c., comma 2, alla luce del fatto che gli attori in primo grado, risultavano titolari di altri contratti di conto corrente, presso la medesima banca, a cui poteva riferirsi il predetto riconoscimento di debito. Inoltre, il ctu aveva accertato che sul conto corrente oggetto di controversia erano state addebitate spese ed altri oneri correlati ad altri conti, senza che fosse stata stipulata alcuna convenzione, tra banca e correntisti, che giustificasse la collocazione di tali oneri nel conto corrente di cui si discute.

Banca MPS spa ricorre per Cassazione sulla base di tre motivi mentre CISM di F.S. & C. sas, F.S. e Di.Fr.Ma. non hanno spiegato difese scritte.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con il primo motivo, la ricorrente deduce il vizio di violazione di legge, in particolare, degli artt. 1322,1362,1363,1369,1988,2733 e 2735 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto, erroneamente, la Corte distrettuale non aveva riconosciuto la natura di confessione stragiudiziale alla dichiarazione di riconoscimento del credito inserita nell’atto di concessione d’ipoteca volontaria, in favore della banca (anche alla luce del fatto che la dichiarazione di riconoscimento del credito risultava “titolata”, perchè collegata all’apertura di c/c ed a effetti “soluti e impagati”). Con il secondo motivo, la ricorrente prospetta la violazione degli artt. 1988,2733,2735 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto, erroneamente, la Corte territoriale non aveva riferito la dichiarazione confessoria del legale rappresentante della CiSM al solo conto corrente bancario n. (OMISSIS) oggetto di controversia, ma, invece, l’aveva riferita anche agli altri due conti correnti, intrattenuti dalla società presso la medesima banca; inoltre, l’inversione dell’onere della prova, di cui all’art. 1988 c.c., dovuta al riconoscimento del debito nei confronti della banca, non poteva essere superato dagli attori con una semplice richiesta di CTU che andava a sopperire alla loro inerzia probatoria.

Con il terzo motivo, la banca deduce la violazione degli artt. 1832,1857,1988,2033,2220 e 2697 c.c., e dell’art. 119TUB, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto i giudici d’appello avevano “sovvertito” il principio dell’onere della prova, che incombeva agli attori e non alla banca resistente, in ordine alla pretesa di restituzione delle somme indebitamente corrisposte, per interessi ultra legali e capitalizzazioni trimestrali degli stessi (mentre, gli stessi attori non avevano prodotto in giudizio il contratto di conto corrente oggetto di controversia, e avevano prodotto solo una parte degli estratti conto del rapporto in contestazione).

Il primo motivo di ricorso è infondato, in quanto, premesso che l’interpretazione giuridica di un atto negoziale è questione di fatto di esclusiva competenza del giudice del merito, nella specie, è corretta la distinzione operata dalla Corte d’appello tra confessione e ricognizione di debito: la prima avendo per oggetto un fatto, mentre la seconda ha per oggetto un rapporto: e nella specie, la dichiarazione “di essere debitrice” si riferisce, indubbiamente, a un rapporto (di debito-credito, appunto) e non a un fatto. La puntualizzazione dei ricorrenti, secondo cui in realtà nell’atto non era scritto “dichiara di essere debitrice” ma “è debitrice”, non ha rilevanza ed è indifferente, nel presente caso, l’uso dell’una o dell’altra espressione.

Il secondo e terzo motivo vanno esaminati congiuntamente, perchè connessi.

Il terzo motivo di censura è infondato, perchè se è vero che gli attori avevano l’onere di provare il loro diritto, tuttavia, a tal fine era sufficiente anche la sola produzione parziale degli estratti conto. La produzione del contratto di conto corrente, infatti, non era necessaria, essendo incontestata l’esistenza delle clausole censurate, ossia le clausole di determinazione degli interessi con rinvio agli usi su piazza e di capitalizzazione trimestrale degli interessi, mentre, la nullità delle stesse è affermazione in diritto che non necessitava di prova.

Nè è necessario che il correntista, attore in ripetizione dell’indebito, produca gli estratti conto riferiti all’intera durata del rapporto di conto corrente, essendo sufficiente che da quelli effettivamente prodotti, e in generale dalle prove offerte risultino gli addebiti oggetto della domanda di ripetizione e i presupposti di fatto della loro illegittimità, e ciò, in quanto, gli estratti conto, ancorchè parziali, poichè redatti dalla banca, costituiscono, comunque, in sè, prova piena contro la sua autrice, con la conseguenza che se la domanda del correntista è limitata – come nella specie – alla ripetizione di somme illegittimamente addebitattgli dalla banca, detta produzione ben può essere sufficiente (cfr. Cass. n. 11543/19).

Il secondo motivo di censura, avente ad oggetto la questione sulla non riferibilità della dichiarazione di debito al rapporto in contestazione, è assorbito per effetto della conferma, conseguente al rigetto del primo e del terzo motivo, della ratio decidendi basata sulla qualificazione della dichiarazione quale ricognizione di debito, unitamente alla nullità del titolo di quanto preteso dalla banca, nella parte relativa agli interessi.

La mancata predisposizione di difese scritte da parte dei resistenti esonera il Collegio dal provvedere sulle spese.

PQM

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 10 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 dicembre 2019

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