Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31561 del 06/12/2018

Cassazione civile sez. III, 06/12/2018, (ud. 06/11/2018, dep. 06/12/2018), n.31561

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21954-2015 proposto da:

S.A., M.V.M., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA CARLO POMA 2, presso lo studio dell’avvocato FABIO MASSIMO

ORLANDO, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato

GIANGIORGIO CASAROTTO giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

F.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

CELIMONTANA 38, presso lo studio dell’avvocato PAOLO PANARITI, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARIO CALGARO

giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 15865/2015 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

di ROMA, depositata il 28/07/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/11/2018 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

TRONCONE Fulvio, che ha concluso per l’accoglimento della domanda

dell’azione di revocazione, inammissibilità in subordine rigetto

del ricorso principale, rigetto del ricorso incidentale;

udito l’Avvocato GIANGIORGIO CASAROTTO;

udito l’Avvocato MARIO CALGARO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Venezia, con sentenza in data 24.1.2012 n. 186, accoglieva la “domanda di riscatto” del fondo agrario – di proprietà di C.P. e da questi donato, con atto in data 14.4.2000, a F.P. – proposta da M.V.M. ed S.A., in qualità di proprietari e coltivatori diretti del “fondo confinante”, i quali avevano dedotto la natura simulata della donazione, dissimulante in realtà un contratto di compravendita, e la violazione del loro diritto di prelazione agraria.

La pronuncia della Corte territoriale sostituiva i retraenti nel contratto di alienazione del fondo contraddistinto al Catasto Terreni in Comune di (OMISSIS) di ha 0.88.54, determinando il prezzo – anche in considerazione delle migliorie apportate dal riscattato – nell’importo di Euro 222.169,00 come da stima effettuata dal CTU.

La Corte di cassazione, con sentenza in data 28.7.2015 n. 15865, accoglieva il primo motivo del ricorso principale proposto dal F., e decidendo nel merito rigettava la “domanda di riscatto” rilevando la difformità dell’oggetto della pronuncia della Corte d’appello rispetto al “petitum” come definito nell’atto introduttivo del giudizio (avendo chiesto i retraenti il trasferimento della proprietà di un fondo – contraddistinto in “catasto terreni del Comune di (OMISSIS)”, offrendo per l’intero complesso immobiliare il corrispettivo di Lire 40.675.00-), osservando come la disciplina legale della prelazione agraria, secondo la consolidata interpretazione del Giudice di legittimità, cristallizzava il diritto di riscatto negli esatti termini identificativi, del bene e dell’ammontare del prezzo, così come individuati nell’atto introduttivo del giudizio attraverso il quale era stato esercitato il diritto potestativo e manifestata la dichiarazione negoziale unilaterale ricettizia, sicchè, avuto riguardo agli effetti dichiarativi della sentenza, diretta meramente a sostituire la parte-contraente destinataria degli effetti traslativi della proprietà, si rendeva insuscettibile qualsiasi “mutatio” od “emendatio” della domanda in corso di giudizio, con riferimento ai predetti elementi individuatori dell’oggetto della dichiarazione di riscatto, dovendo in conseguenza ritenersi inammissibili le modifiche e le istanze subordinate proposte dai retraenti -tanto in ordine alla individuazione del bene, quanto alla determinazione del prezzo- soltanto nella precisazione delle conclusioni in primo grado ed in grado di appello.

La sentenza della Suprema Corte è stata impugnata per revocazione ex art. 391 bis c.p.c. da M.V.M. e S.A. con due motivi, illustrati da memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c..

Resiste F.P. con controricorso.

Non hanno svolto difese gli intimati C.C., C.G., nonchè C.P. ed C.I., n.q. di eredi di C.D. e C.G., ai quali il ricorso è stato ritualmente notificato a mezzo posta, ex lege n. 53 del 1994, in data 9.9.2015.

Con ordinanza 29.9.2017 il Collegio disponeva, ai sensi dell’art. 391 bis c.p.c., comma 3 la rimessione della causa a nuovo ruolo per la trattazione in pubblica udienza.

La causa è quindi pervenuta alla discussione alla odierna udienza.

I ricorrenti hanno depositato memoria illustrativa ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

La Corte Suprema di cassazione, con la sentenza in data 28.7.2015 n. 15865, impugnata per revocazione, ha accolto il primo motivo del ricorso per cassazione proposto da F.P. (rubricato violazione art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ma deducente violazione artt. 101,112 e 345 c.p.c., oltre alla L. n. 590 del 1965, art. 8 come modificato dalla L. n. 11 del 1971) accertando il vizio di extrapetizione della sentenza impugnata e, pronunciando nel merito ex art. 384 c.p.c., comma 2, ha rigettato la domanda di riscatto del fondo agrario proposta da M.V.M. e da S.A..

Il Giudice di legittimità ha rilevato che la Corte d’appello (nella sentenza in data 24.1.2012 n. 186) aveva riconosciuto ai retraenti un “diritto diverso” da quello richiesto con l’atto di citazione, in quanto la sentenza dichiarativa del riscatto concerneva un bene ed un prezzo “non corrispondenti” al fondo ed all’ammontare dell’importo come – rispettivamente – individuato ed offerto nell’atto introduttivo, non essendo consentita la modifica (mutatio od emendatio) in corso di giudizio della domanda giudiziale con contestuale dichiarazione negoziale unilaterale e ricettizia integrante l’esercizio del diritto di riscatto agrario, modifica che era stata effettuata dai retraenti in sede di precisazione delle conclusioni in “primo grado” (quanto alla identificazione catastale dei terreni) ed in “grado di appello” (ove era stato offerto, in subordine, il prezzo di Euro 47.359,10 indicato dalla c.t.u., ovvero in ulteriore subordine “il diverso prezzo che dovesse essere altrimenti ritenuto”).

In conseguenza la Corte di cassazione, ritenuti assorbiti gli altri motivi del ricorso principale e rigettato il ricorso incidentale proposto dai controricorrenti M. e S., decidendo nel merito, ha rigettato la domanda di riscatto.

Il primo motivo di revocazione ex art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4), è incentrato sull'”errore di fatto” commesso dalla Suprema Corte nell’affermare che la Corte d’appello aveva pronunciato sull’acquisto della proprietà di un bene (individuato in Catasto terreni del Comune di (OMISSIS), ha 0.88.54) diverso da quello richiesto in riscatto dal M. e dalla S. con l’atto introduttivo del giudizio (indicato nel medesimo catasto al fg. (OMISSIS)), atteso che, come emergeva dalla planimetria catastale allegata al fascicolo di primo grado (all. doc 6) e riprodotta anche in allegato al ricorso per revocazione, al fondo contraddistinto dal map. (OMISSIS), divenuto map. (OMISSIS), corrispondeva una superficie di Ha 0.38.69, ed al map. (OMISSIS) corrispondeva una superficie di Ha 0.63.63, venendo, pertanto, a coincidere la complessiva superficie di Ha 1.02.32 con quella dell’intero fondo agricolo oggetto dell’atto di donazione del 3.4.2000 (comprendente l’area del map. (OMISSIS), di Ha 0.38.69, e del map. (OMISSIS), di Ha 0.63.63) e, conseguentemente, con la dichiarazione di esercizio del diritto di riscatto contenuta nell’atto di citazione notificato in data 23.3.2001.

Tale era il compendio richiesto in retratto, e tale compendio corrispondeva a quello riconosciuto nella sentenza di appello di Ha 0.88.54, avendo erroneamente la Corte di cassazione omesso di considerare il fatto – accertato nella c.t.u. del perito G. depositata in data 12.4.2010 – della variazione superficiaria, intervenuta nel corso del processo (nelle more tra la stipula dell’atto di donazione e gli accertamenti catastali svolti dal CTU), in seguito ai frazionamenti dell’area su cui insisteva il fondo, conseguenti alla “espropriazione per p.u.” disposta a favore del Demanio dello Stato (decreto esproprio del Prefetto di Vicenza in data 8.7.2009) e che avevano determinato lo scorporo delle aree espropriate (accatastate al fg. (OMISSIS) mq. 667 e map. (OMISSIS) mq. 711) e la fusione dei preesistenti map. (OMISSIS) e map. (OMISSIS), con assegnazione dell’unico numero di mappale (OMISSIS), per la complessiva superficie (residuata dagli espropri) di Ha 0.88.54, corrispondente all’area del fondo trasferita in proprietà dalla Corte d’appello ai riscattanti, come emergeva dalla visura catastale (dalla quale risultava il frazionamento derivante da “tipo mappale del 10.12.2008 n. 42728.1/2008″) allegata alla relazione peritale del CTU Galla, depositata in giudizio (cfr. relazione del CTU riportata a pag. 14 ed in nota 7, nel ricorso per revocazione. La ricostruzione della vicenda storica, si evince dal controricorso: A- l’esproprio è stato condotto da una Concessionaria autostradale ed il map. (OMISSIS) di Ha 38.69 è stato ridenominato map. (OMISSIS), mentre il map. (OMISSIS) di Ha 63.63 è stato frazionato con atto variazione in data 7.11.2005 in tre diversi mappali: (OMISSIS) di Ha 49.85, (OMISSIS) di Ha 7.11 e 787 di Ha 6.67; B- il map. (OMISSIS) di Ha 49.85 ed il map. (OMISSIS) di Ha 38.68 -complessivi Ha 88.54 – sono stati quindi unificati con atto variazione in data 10.12.2008; C- i mappali (OMISSIS) e (OMISSIS) sono stati oggetto di esproprio per p.u.).

Il motivo è inammissibile.

Con riferimento alle sentenze emesse dalla S.C., l'”errore di fatto” idoneo a costituire il vizio revocatorio previsto dall’art. 395 c.p.c., n. 4:

1) deve consistere in una errata percezione del fatto, in una svista di carattere materiale, oggettivamente e immediatamente rilevabile e tale da aver indotto il giudice a supporre la esistenza di un fatto la cui verità era esclusa in modo incontrovertibile, oppure a considerare inesistente un fatto accertato in modo parimenti indiscutibile;

2) essere decisivo, nel senso che, se non vi fosse stato, la decisione sarebbe stata diversa;

3) non cadere su di un punto controverso sul quale la Corte si sia pronunciata;

4) presentare i caratteri della evidenza e della obiettività, sì da non richiedere, per essere apprezzato, lo sviluppo di argomentazioni induttive e di indagini ermeneutiche;

5) non consistere in un vizio di assunzione del fatto nè in un errore nella scelta del criterio di valutazione del fatto medesimo;

6) riguardare gli atti interni, cioè quelli che la Corte esamina direttamente, con propria autonoma indagine di fatto, nell’ambito dei motivi di ricorso e delle questioni rilevabili d’ufficio, e avere quindi carattere autonomo, nel senso di incidere direttamente ed esclusivamente sulla sentenza della S.C., perchè, se invece l’errore è stato causa determinante della decisione di merito, in relazione ad atti o documenti che ai fini della stessa sono stati o avrebbero dovuto essere esaminati, il vizio che inficia la sentenza dà adito agli specifici mezzi di impugnazione esperibili contro le sentenze di merito (cfr. Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 8295 del 20/04/2005).

Orbene l'”errore di fatto” che si imputa alla sentenza della Corte di legittimità impugnata per revocazione:

a) ha contenuto valutativo e non percettivo, venendo a costituire la essenza stessa del giudizio comparativo eseguito dalla Corte di legittimità confrontando il contenuto di due atti del processo di merito, e cioè il “dictum” della sentenza di appello con la dichiarazione negoziale di riscatto del fondo, avendo la Corte ritenuto differenti i rispettivi “oggetti”, in quanto il fondo oggetto della sentenza di appello, identificato con map. (OMISSIS) Ha 0.88.54 (come emerso dalla c.t.u. del perito Galla), risultava diverso dal fondo identificato nella dichiarazione di riscatto con map. (OMISSIS) di Ha 0.38.69 e con map. (OMISSIS) (parte) di Ha 0.63.63;

b) la questione relativa alla mancanza di corrispondenza tra il fondo oggetto della dichiarazione unilaterale negoziale di riscatto ed il fondo attribuito ai retraenti con la sentenza di appello, ha costituito specificamente “punto controverso” deciso dalla Corte di legittimità, siccome investita di tale questione dal primo motivo di ricorso per cassazione proposto dal F. (integralmente trascritto alla pag. 8 ss., in nota 3, del ricorso per revocazione) con il quale si sosteneva la difformità tra il fondo ceduto per atto di donazione e quello oggetto della domanda di riscatto agrario: la diversa tesi sostenuta dai ricorrenti in revocazione – argomentata in base ai rilievi svolti nel primo motivo di ricorso per cassazione proposto dal F. – secondo cui oggetto controverso deciso dalla Corte di legittimità era, invece, soltanto la possibilità dell’esercizio di un “riscatto parziale” della unità fondiaria nei casi in cui questa risultasse destinata solo in parte ad utilizzo agricolo (ipotesi che, nella specie, ricorreva per la unità superficiaria contraddistinta dal map. (OMISSIS) in parte vincolata dal PRG ad opere viarie), non trova riscontro nella sentenza di legittimità. Se è vero, infatti, che il F. aveva individuato la difformità – impeditiva dell’accoglimento della domanda di riscatto – nell’oggetto dell’atto di donazione non coincidente con quello della domanda introduttiva del giudizio (difformità che veniva evidenziata rispetto al fondo di cui al map. (OMISSIS) – solo in parte trasferito con atto di donazione – avendo invece per il quale, invece, i retraenti richiesto il trasferimento dell’ “intero fondo”), non è dubbio che la Corte di legittimità ha inteso verificare la censura, dedotta con il primo motivo di ricorso, sulla quale era stato sollecitato il suo sindacato, con riferimento all’esito della controversia di merito, rilevando un difetto di corrispondenza tra il bene ed il prezzo accertato nella sentenza di appello e quelli invece indicati nella dichiarazione negoziale di riscatto, avendo la Corte d’appello all’esito delle indagini peritali del CTU – attribuito in proprietà ai retraenti un immobile diverso da quello che era stato individuato nella domanda di riscatto.

L’eventuale errore imputato alla Corte di legittimità, pertanto, quando anche – per mera ipotesi – ricadente sul fatto, non potrebbe comunque veicolare il mezzo di impugnazione della revocazione ex art. 391 bis c.p.c., in quanto la questione su cui tale errore riverbera ha costituito oggetto controverso sul quale la stessa Corte di cassazione ha pronunciato.

Il secondo motivo di ricorso per revocazione, ex art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, attiene alla errata rilevazione delle “conclusioni” rassegnate con l’atto di citazione in primo grado, ed impugna la sentenza della Corte Suprema nella parte in cui viene rilevata la discrasia, quanto all’elemento della indicazione del prezzo di vendita, tra la domanda di riscatto originariamente proposta e la pronuncia della Corte d’appello dichiarativa del trasferimento di proprietà del bene.

La Corte di cassazione, nella sentenza n. 15865/2015, ha rilevato che, pure essendo consentito al Giudice di appello di determinare, stante la natura simulata dell’atto donativo, il prezzo del trasferimento, e pure essendo consentito al retraente formulare contestualmente alla azione di simulazione una autonoma offerta di prezzo, facendo salvo il diverso importo accertato in corso di causa, tuttavia, nel caso di specie, non essendo stata formulata nella dichiarazione unilaterale di riscatto alcuna “espressa riserva di pagamento di eventuali maggiori differenze” e non essendo consentite modifiche di detta dichiarazione negoziale nel corso del giudizio, rimaneva inammissibile la integrazione della offerta di prezzo originaria compiuta soltanto in sede di “precisazione delle conclusioni in secondo grado”, con conseguente rigetto della domanda di riscatto.

Sostengono i ricorrenti in revocazione che ha errato la Corte Suprema a ritenere che i retraenti avevano collegato il riscatto, in via inderogabile, all’unico prezzo di Lire 40.675.000 offerto nell'”atto di citazione”, in quanto l’atto introduttivo (integralmente trascritto alle pag. 3-4 del ricorso in revocazione) conteneva la specifica conclusione in via subordinata della offerta “del diverso maggiore o minore importo che risulterà essere stato effettivamente pagato dal sig. F.”

Il motivo è inammissibile.

Occorre premettere che la statuizione impugnata integra autonoma “ratio decidendi” della sentenza della Corte di legittimità, venendo meno la prospettazione dei ricorrenti secondo cui si tratterebbe di una mera pronuncia “ad abundantiam” (che non richiede specifica impugnazione), atteso che il carattere assorbente – ai fini della decisione di merito ex art. 384 c.p.c. – di uno dei due profili esaminati (inammissibile mutatio della domanda con riferimento al “bene immobile” oggetto di trasferimento), non privava la Corte del potere di decidere anche sull’altro (inammissibile emendatio della domanda quanto alla indicazione del “prezzo” di trasferimento), non risultando limitata sul punto la cognizione del Giudice di legittimità dall’ambito oggettivo del motivo di ricorso per cassazione scrutinato (nella specie con il primo motivo di ricorso per cassazione, proposto dal F., si era censurata la sentenza di appello in relazione alla inammissibilità della modifica sia dell’oggetto che dell’elemento prezzo, indicati nell’originaria domanda di riscatto), con la conseguenza che ciascuna delle due “rationes decidendi” è idonea a sostenere autonomamente la decisione del Giudice di legittimità e doveva quindi essere – come in effetti è stata – impugnata per revocazione ex art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, diversamente andando incontro la impugnazione ex art. 391 bis c.p.c. alla sanzione della inammissibilità (cfr. Corte cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 7413 del 25/03/2013).

Tanto premesso, anche in questo caso difetta il presupposto di ammissibilità del ricorso per revocazione concernente la mancanza di esame del “punto controverso” e di una pronuncia della Corte di legittimità sulla specifica questione inerente l'”errore di fatto” denunciato.

Tale presupposto appare indicato surrettiziamente dai ricorrenti con riferimento al contenuto intrinseco dell’atto di citazione, sull’asserito presupposto della omessa completa rilevazione dello stesso da parte del Giudice di legittimità, in quanto diversamente da quanto supposto era stata invece formulata con la dichiarazione di riscatto anche una offerta subordinata di prezzo, pari all’importo che risultasse comunque pagato dal F..

I ricorrenti, infatti, non tengono conto che la Corte di cassazione ha, invece, espressamente pronunciato su tale questione, accertando la difformità tra il prezzo indicato nell’atto di citazione e quello invece determinato nella sentenza di appello (in esito alla c.t.u.), e venendo, pertanto, ad esaminare tale “punto controverso” in quanto investita dalla censura dei vizi di legittimità della sentenza di appello denunciati dal F. con il primo motivo di ricorso.

In particolare la Corte di legittimità, dopo aver richiamato la giurisprudenza secondo cui in caso di domanda intesa all’accertamento della simulazione relativa della donazione, il retraente era comunque tenuto ad offrire il “quantum” che assuma di dover effettivamente pagare, in conformità del presumibile valore del fondo (cfr. ex multis Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 11162 del 19/11/1990; id. Sez. 3, Sentenza n. 8789 del 26/10/1994), ha chiaramente evidenziato come una tale subordinata non era stata formulata “nelle conclusioni” dell’atto di citazione e che era inammissibile qualsiasi successiva modifica operata alla udienza di precisazione delle conclusioni in prime cure (in motiv., pag. 15).

Orbene, la statuizione della Corte di legittimità, oltre a risolvere il punto controverso della corrispondenza – quanto alla offerta del prezzo – tra la domanda di riscatto e la sentenza di appello, riflette un’attività di giudizio volta all’esame dell’atto introduttivo ed alla interpretazione del contenuto dello stesso che si sottrae del tutto alla ipotesi revocatoria, tanto più considerando che la “riserva” di offerta del maggior prezzo contenuta nelle “premesse” dell’atto di citazione (“…e in via subordinata, del diverso maggiore o minore importo che risulterà essere stato effettivamente pagato dal sig. F.”: atto citazione, trascritto a pag. 20 ricorso) non risulta riprodotta nelle “conclusioni finali” del medesimo atto (vedi ricorso pag. 4: conclusioni atto citazione, punto 4): quindi, in questo caso, quando la Corte di legittimità ha affermato che la “riserva” di offerta di un maggiore importo non è stata formulata dai retraenti, non è incorsa in un palese travisamento del contenuto dell’atto di citazione, ma ne ha fornito una interpretazione, dando prevalenza alla formulazione delle “specifiche conclusioni” in esso contenute in cui non vi è traccia della predetta riserva.

E tale interpretazione del contenuto negoziale dell’atto introduttivo esula dai limiti propri della impugnazione revocatoria (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 24512 del 20/11/2009, secondo cui la inesatta interpretazione del contenuto dei motivi di gravame non integra vizio revocatorio; id. Sez. 2, Ordinanza n. 10466 del 12/05/2011).

Del tutto estranea, poi, al vizio ex art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4) deducibile con il ricorso per revocazione è la contestazione – che va ad impingere nel campo dell'”error in judicando” – secondo cui la formulazione di espressa riserva di offerta di maggior prezzo, non sarebbe elemento decisivo ai fini dell’accoglimento della domanda di riscatto.

In conclusione il ricorso per revocazione deve essere dichiarato inammissibile ed i ricorrenti sono tenuti a rifondere le spese del giudizio come liquidate in dispositivo.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna i ricorrenti al pagamento in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 6 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 6 dicembre 2018

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