Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31555 del 06/12/2018

Cassazione civile sez. III, 06/12/2018, (ud. 25/10/2018, dep. 06/12/2018), n.31555

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – rel. Consigliere –

Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22747-2016 proposto da:

M.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CARROCETO 79,

presso lo studio dell’avvocato MASSIMO COLFERAI, rappresentato e

difeso dall’avvocato ANTONIO PUCCI giusta procura speciale a margine

del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, (OMISSIS);

– intimato –

avverso l’ordinanza n. 3286/2015 del TRIBUNALE di CATANZARO,

depositata il 04/07/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

25/10/2018 dal Consigliere Dott. FRANCESCA FIECCONI.

Fatto

RILEVATO

che:

1. Con ricorso per risarcimento danni ex D.L. n. 92 del 2014 conv. con modif. in L. n. 117 del 2014, indirizzato al Tribunale di Catanzaro, M.C. chiedeva condannarsi il Ministero della Giustizia al risarcimento danni pari ad Euro 12.888,00 per violazione dell’art. 3 CEDU. La controversia verte intorno al diritto all’indennizzo indicato nel D.L. n. 92 del 2014 conv. con modif. in L. n. 117 del 2014 in caso di permanenza in carcere in condizioni di sovraffollamento e di disagio non conformi a quanto da ultimo indicato dalla Corte EDU in varie pronunce, tra cui spicca la sentenza Torreggiani c. Italia del 2013.

2. Il Tribunale di Catanzaro ha rigettato la richiesta di indennizzo, attribuendo all’illecito denunziato dal ricorrente natura aquiliana e facendo, pertanto, ricadere sul medesimo l’onere di fornire puntuale prova dei fatti costitutivi della propria pretesa. Il Tribunale, più precisamente, ha rigettato le istanze istruttorie del ricorrente, il quale aveva “fornito scarna documentazione”, “mancando totalmente della documentazione probatoria”, nonchè “avendo chiesto soltanto l’escussione, quale testi, dei direttori delle carceri in cui è stato detenuto, affinchè riferissero sulle dimensioni delle celle, nonchè l’escussione di altro detenuto (…) formulata senza il rispetto dei parametri posti dall’art. 244 c.p.c.”. Pertanto, il Tribunale rigettava la domanda per carenza di “alcun riscontro probatorio”. Con ricorso staordinario notificato il 30/9/2016, M.C. propone impugnazione per la cassazione del decreto emesso dal Tribunale di Catanzaro in data 30/5/2016, depositato in data 1/7/2016, essendo coinvolti diritti costituzionali intangibili.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 92 del 2014, art. 2 per non avere il Tribunale di Catanzaro qualificato come contrattuale la responsabilità dell’amministrazione penitenziaria di tenere specifiche condotte di facere quando entri in contatto con i detenuti.

1.1. Il motivo è fondato.

1.2. La valutazione finale effettuata dal giudice di prime cure per respingere la domanda, ripone ogni considerazione sul fatto che la domanda mancava “totalmente della documentazione probatoria”, sull’assunto che dall’attore non sia stata offerta la prova di un fatto a sè sfavorevole incidente sulla sua persona (“fornito scarna documentazione”), come se si trattasse di un illecito aquiliano: tale prospettiva, tuttavia, non è conforme ai principi valevoli in tale materia, ove allo Stato viene addebitato un inadempimento di obblighi di protezione e di custodia in condizioni tali da garantire un trattamento conforme alla dignità della persona.

1.3. Il riferimento specifico alla fonte di tale obbligazione si riscontra nell’ art. 1173 c.c. che fa derivare un’obbligazione dalla violazione di obblighi di legge, costituente “fatto o atto idoneo a produrre obbligazioni”. Sul punto, questa Corte ha già stabilito che l’obbligazione avente ad oggetto l’equa riparazione per la violazione dell’art. 6, paragrafo 1 della Conv. EDU, in caso di ingiusta detenzione, si configura non già come una obbligazione ex delicto, di matrice aquiliana, ma come obbligazione ex lege, come tale idonea, in base all’art. 1173 c.c., a costituire fonte di obbligazione in conformità dell’ordinamento giuridico. (Cass. Sez.3, sentenza 16321/2018; Sez. 6 – 2, Sentenza n. 26206 del 19/12/2016; Cass. Sez. 1, 8712/2006).

1.4. Nello stesso senso è da ultimo intervenuta la pronuncia della Corte di Cassazione S.U. n. 11018/2018 che, in riferimento alla prescrizione del diritto all’indennizzo sancito dalla L. n. 354 del 1975, art. 35 ter, comma 3, trattandosi di un indennizzo che ha origine nella violazione di obblighi gravanti “ex lege” sull’amministrazione penitenziaria – integrata con quanto indicato dalla Corte EDU in materia di interpretazione dell’art. 3 della Convenzione EDU, il termine di prescrizione decorre dal compimento di ciascun giorno di detenzione nelle suindicate condizioni, salvo che per coloro che abbiano cessato di espiare la pena detentiva prima del 28 giugno 2014, data di entrata in vigore del D.L. cit., rispetto ai quali, se non sono incorsi nelle decadenze previste dal D.L. n. 92 del 2014, art. 2 il termine comincia a decorrere solo da tale data.

1.5. Non è dunque in discussione che la violazione degli obblighi di comportamento in ordine alle modalità di sconto della pena detentiva e di adeguamento delle strutture secondo le indicazioni date dalla legge penitenziaria e dai regolamenti di settore, da ritenersi come condizioni minime e imprescindibili per evitare che la detenzione si trasformi in un trattamento disumano e degradante, determini una responsabilità di tipo contrattuale, derivante dallo stretto rapporto che si instaura tra il soggetto attivo – lo Stato – che dispone la custodia detentiva in carcere a scopo special-preventivo, punitivo e rieducativo e il soggetto passivo – il detenuto – che la subisce, quest’ultimo certamente titolare del diritto incomprimibile di ricevere un trattamento umano e non degradante conformemente a quanto disposto da ultimo dalla Corte EDU nella sentenza pilota Torreggiani ed altri c. Italia, emessa l’8 gennaio 2013 (Sez. U, Sentenza n. 11018 del 08/05/2018), da cui deriva l’approntamento di tale rimedio processuale.

1.6. La violazione di tali obblighi di condotta previsti dalla legge, pertanto, genera una responsabilità contrattuale dello Stato, in considerazione della quale debbono applicarsi le regole probatorie sancite in tale materia, nel rispetto del contraddittorio delle parti, e con i correttivi previsti dal rito camerale prescelto dal legislatore (v sotto punto 2).

2. Con il secondo motivo si denuncia ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 per non aver il Giudice posto a fondamento della propria decisione il “compendio probatorio” offerto dal ricorrente e per palese violazione dell’art. 2967 c.c..

2.1. Il motivo è fondato.

2.2. Nel giudizio de quo, previsto con rito camerale, il giudice deve verificare se lo Stato, chiamato a rispondere del suo operato, ha effettivamente assolto al suo primario obbligo di rispettare le disposizioni di legge secondo i principi indicati dalla Costituzione e dalla Corte Edu, volti a scongiurare che l’applicazione della pena detentiva si trasformi in un trattamento disumano e degradante, contrario ai principi di rispetto della dignità umana costituzionalmente sanciti e convenzionalmente specificati nei loro contorni, e pertanto richiede una valutazione della prova di specifico adempimento degli obblighi di protezione nei confronti di chi ne denuncia la violazione di cui lo Stato, chiamato a risponderne, è primariamente onerato.

2.3. Nel giudizio di responsabilità contrattuale viene certamente in gioco il principio generale sancito dall’art. 2697 c.c., che onera l’attore della prova degli elementi costitutivi del danno e del nesso causale. Per regola tali elementi sono egualmente “distanti” da entrambe le parti, e non vi è spazio per ipotizzare a carico dell’asserito danneggiante una “prova liberatoria” rispetto al nesso di causa, a differenza di quanto accade – come detto – per la prova dell’avvenuto adempimento o della correttezza della condotta che grava su chi è chiamato a rispondere del proprio inadempimento (Cass. Sez. 3 -, Ordinanza n. 20812 del 20/08/2018; Cass. n. 18392/2017). Da ciò discende che, nei giudizi di risarcimento del danno da responsabilità contrattuale, è onere dell’attore dimostrare l’esistenza del nesso causale tra la condotta inadempiente e il danno di cui chiede ristoro, onere che va assolto dimostrando, con qualsiasi mezzo di prova, che la condotta dell’obbligato è stata, secondo il criterio del “più probabile che non”, la causa del danno, con la conseguenza che, se, al termine dell’istruttoria, non risulti provato il nesso tra condotta ed evento, per essere la causa del danno rimasta assolutamente incerta, la domanda deve essere rigettata (cfr. Sez. 3 -, Ordinanza n. 20812 del 20/08/2018; Cass. n. 975/2009, Cass. n. 17143/2012, Cass. n. 4792/2013, Cass. n. 18392/2017)”. Pertanto, una volta allegato dal creditore (nella specie il detenuto) l’inadempimento del debitore (lo Stato che vigila sulla struttura detentiva), astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, rimane a carico di quest’ultimo la dimostrazione che tale inadempimento non vi è stato o, in alternativa, esso non è causa del danno, dovendo indicare altresì quale sia la diversa causa del danno.

2.4. In talune ipotesi, tuttavia, il rigore della suddetta regola probatoria può essere diversamente modulato e mitigato dal giudice, il quale deve sempre e costantemente tenere conto del principio riconducibile all’art. 24 Cost. che impone di rendere effettive le tutela accordate in situazioni di disparità e, quindi, del divieto di interpretare la legge in modo da rendere impossibile o troppo difficile l’esercizio dell’agire in giudizio.

2.5. Nel caso di specie appare evidente che, una volta descritte le violazioni subite, la compiuta conoscenza dei dati rilevanti per la decisione – e quindi l’ampiezza della cella, la presenza delle aperture e di idonee ripartizioni degli spazi interni, l’aerazione, la presenza di termoregolazione, di acqua corrente e calda, la possibilità di svolgere attività fuori dalla cella nelle ore diurne e così via – è nella immediata disponibilità dell’amministrazione convenuta: addossare il relativo onere in via esclusiva al ricorrente significherebbe ritardare, rendere difficoltoso o, ancor peggio, vanificare la funzione dello strumento processuale introdotto come rimedio compensativo delle violazioni.

2.6. Il rito camerale previsto dal legislatore per regolare tale contenzioso, ove è oltretutto previsto che il ricorrente possa agire anche in assenza di difesa tecnica, la possibilità d’intervento del pubblico ministero sta a significare che il giudice è chiamato a disporre non solo di diritti delle parti, ma soprattutto a regolare interessi di rilievo pubblico, con il potere/dovere di attivare, se del caso, poteri ex officio.

2.7. Sebbene le regole processuali che disciplinano il rito camerale, nella normalità dei casi, richiedano che gli oneri di prova siano ripartiti equamente tra le parti e che il giudizio si svolga nel rispetto del contraddittorio e ad armi pari, nell’art. 739 c.p.c., comma 3, in cui si sancisce il potere del giudice di attivarsi per assumere informazioni, si ravvisa un dovere di cooperazione del giudice nel ridare equilibrio a parti eventualmente svantaggiate nella propria difesa, in modo da non togliere effettività alla tutela accordata dall’ordinamento a diritti di indubbia matrice costituzionale e convenzionale, per la tutela effettiva- dei quali è anche previsto che il ricorrente possa agire in assenza di difesa tecnica, e ciò al fine di facilitarne l’accesso (v. anche Sez. U, Sentenza n. 27310 del 17/11/2008, in materia di poteri officiosi del giudice con riguardo all’accertamento dello status di rifugiato).

2.8. Alla luce di quanto sopra, pertanto, la prova che grava sul ricorrente che deduce una o più violazioni di legge in astratto idonee a determinare il diritto all’indennizzo, riguarda la misura del danno subito – indicato come equivalente ai giorni di detenzione scontati – per il quale, peraltro, deve indicare elementi di riscontro in ordine al nesso causale sussistente tra l’inadempimento asserito e il danno, anche attivando i poteri d’ufficio del giudice di “assumere informazioni”, conferiti dall’art. 738 c.p.c. che regola il rito camerale, ove la parte onerata deduca di non essere nella materiale possibilità di allegare prontamente la documentazione attestante il periodo di pena scontata o di fornire più precise indicazioni sui luoghi effettivamente occupati durante la detenzione, sul numero dei detenuti con cui ha condiviso gli spazi e sul regime di detenzione applicato nel corso della pena detentiva.

3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la nullità del decreto per vizio di motivazione per omessa ammissione della prova testimoniale e omesso esame documentale, ex art. 360 c.p.c., n. 4, deducendo che il Giudice di prime cure non ha fornito alcuna giustificazione circa la non idoneità della documentazione prodotta dal ricorrente, attestante gli spostamenti tra le carceri, e non fornisce chiara motivazione circa il rigetto della prova testimoniale richiesta.

4. Con il quarto motivo, il ricorrente deduce la nullità del decreto per vizio di motivazione per violazione dell’art. 135 e dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e dell’art. 111 Cost., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, non essendo delineato e spiegato l’iter logico giuridico seguito dal Giudice e non sussistendo alcuna argomentazione sugli elementi di diritto che hanno condotto lo stesso alla decisione adottata.

4.1. I motivi restano assorbiti da quanto sopra detto in riferimento al primo e secondo motivo.

5 Conclusivamente il ricorso è fondato, cassa e rinvia anche per le spese.

P.Q.M.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 25 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 6 dicembre 2018

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