Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31554 del 03/12/2019

Cassazione civile sez. VI, 03/12/2019, (ud. 12/09/2019, dep. 03/12/2019), n.31554

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8377-2018 proposto da:

T.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G.B. MORGAGNI

2/A, presso lo studio dell’avvocato UMBERTO SEGARELLI, rappresentato

e difeso dall’avvocato ENRICO GAVEGLIO;

– ricorrente –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente del

Consiglio dei ministri pro tempore, MINISTERO DELL’ISTRUZIONE

DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA, in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso PAVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1879/2017 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 16/08/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 12/09/2019 dal Consigliere Relatore Dott. CIRILLO

FRANCESCO MARIA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Dott. T.M. convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Torino, la Presidenza del Consiglio dei ministri e il Ministero dell’istruzione, università e ricerca, chiedendo che fosse dichiarato il suo diritto a percepire un’adeguata remunerazione in relazione al periodo di specializzazione svolto presso l’Università degli studi di Torino.

A sostegno della domanda espose, tra l’altro, di aver svolto il corso di specializzazione in pediatria dall’anno accademico 1989-1990 all’anno accademico 1992-1993, conseguendo il relativo diploma in data 6 novembre 1993, senza percepire alcuna borsa di studio.

Aggiunse che il legislatore nazionale aveva stabilito, con il D.Lgs. 17 agosto 1999, n. 368 – di recepimento, tra l’altro, della direttiva 93/16/CE – un incremento del compenso in favore dei medici specializzandi, incremento che aveva avuto effettiva attuazione, però, solo con la L. 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 300, con decorrenza dall’anno accademico 2006-2007. Concluse, pertanto, nel senso che le somme previste da tale normativa dovevano essergli riconosciute.

Si costituirono in giudizio i convenuti, eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva e la prescrizione del diritto e chiedendo nel merito il rigetto della domanda.

Il Tribunale rigettò la domanda e condannò l’attore al pagamento delle spese di lite.

2. La sentenza è stata impugnata dall’attore soccombente e la Corte d’appello di Torino, con sentenza del 16 agosto 2017, in parziale accoglimento dell’appello, ha compensato le spese del giudizio di primo grado, ha confermato nel resto la sentenza del Tribunale ed ha integralmente compensato le ulteriori spese del grado.

La Corte territoriale ha osservato che il recepimento delle Direttive dell’Unione Europea in materia di medici specializzandi doveva ritenersi compiuto già con l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 257 del 1991, per cui l’aumento dei compensi stabilito col D.Lgs. n. 368 del 1999 e attuato effettivamente solo a decorrere dall’anno accademico 20062007 non poteva costituire inadempimento della direttiva 93/16/CE, posto che essa nulla aveva innovato rispetto all’obbligo di corresponsione di un’adeguata retribuzione ai medici specializzandi.

Ha poi anche precisato la Corte che l’appellante aveva concluso il suo periodo di specializzazione prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 368 del 1999, per cui egli avrebbe avuto diritto a percepire le somme previste dal D.Lgs. n. 257 del 1991; rispetto ad esse, però, poichè la prescrizione del relativo diritto aveva cominciato a decorrere dal 27 ottobre 1999, in base a consolidata giurisprudenza, il diritto era comunque prescritto, posto che la domanda giudiziale era stata introdotta il 20 giugno 2014; nè l’appellante aveva contestato l’affermazione del Tribunale secondo cui non poteva avere effetto interruttivo una lettera inviata dal Ministero del lavoro in data 6 febbraio 2009.

3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Torino propone ricorso il Dott. T.M. con atto affidato ad un unico articolato motivo. Resistono la Presidenza del Consiglio dei ministri e il Ministero dell’istruzione e università con unico controricorso.

Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio, sussistendo le condizioni di cui agli artt. 375,376 e 380-bis c.p.c., e non sono state depositate memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione degli artt. 5, 10 e 249 del Trattato CEE, delle direttive nn. 82/76, 75/363, 75/362 e 93/16, del D.Lgs.n. 257 del 1991, art. 6; del D.Lgs. n. 368 del 1999, artt. da 37 a 42 e 46 e del D.P.C.M. 7 marzo 2007. La complessa doglianza sostiene che la sentenza impugnata sarebbe errata perchè la Corte d’appello ha ritenuto che lo Stato italiano abbia adempiuto alle direttive Europee suindicate già con l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 257 del 1991; vero sarebbe, invece, che solo con il D.Lgs. n. 368 del 1999 e poi con la L. n. 266 del 2005 lo Stato italiano avrebbe dato compiuta attuazione alla normativa comunitaria, per cui andava riconosciuto il diritto del ricorrente alla percezione della retribuzione ritenuta adeguata secondo i parametri Europei. Nè potrebbe considerarsi validamente decorso il termine di prescrizione, perchè solo con l’entrata in vigore del D.P.C.M. cit. i medici sarebbero venuti a conoscenza di guanto a loro spettante, per cui prima di quella data la prescrizione non poteva decorrere.

2. Il ricorso non è fondato, pur dovendosi correggere in parte la motivazione resa dalla Corte d’appello.

La sentenza impugnata, infatti, ha osservato, tra l’altro, che il ricorrente avrebbe avuto diritto, ove non si fosse maturata la prescrizione, a percepire gli emolumenti di cui al D.Lgs. n. 257 del 1991.

La costante e ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte, invece, ha affermato che la previsione della L. 19 ottobre 1999, n. 370, art. 11 – che ha riconosciuto il diritto al risarcimento del danno da inadempimento della direttiva 26 gennaio 1982, n. 82/76/CEE, riassuntiva delle direttive 16 giugno 1975, n. 75/362/CEE e n. 76/362/CEE, diritto insorto in favore dei soggetti che avevano seguito corsi di specializzazione medica iniziati negli anni dal 1 gennaio 1983 all’anno accademico 1990-1991, in condizioni tali che, se detta direttiva fosse stata attuata, avrebbero acquisito i diritti da essa previsti – è applicabile anche agli specializzandi che, avendo iniziato il corso anteriormente all’anno accademico 1990-1991, lo abbiano proseguito in epoca successiva, non applicandosi nei loro confronti la disciplina di cui al D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6, in forza dell’esclusione stabilita dal medesimo D.Lgs., art. 8, comma 2 (così la sentenza 10 luglio 2013, n. 17068, ribadita di recente dall’ordinanza 31 maggio 2018, n. 13759).

Come rilevato correttamente dalla Corte torinese, poi, il diritto alla percezione di tale remunerazione è soggetto a prescrizione decennale decorrente dal 27 ottobre 1999, data di entrata in vigore della citata L. n. 370 del 1999, il cui art. 11 aveva manifestato la volontà dello Stato di riconoscere il diritto agli emolumenti suindicati solo per coloro i quali avessero ottenuto pronunce giudiziarie favorevoli (sentenza 17 maggio 2011, n. 10813). Ne consegue che la prescrizione nel caso in esame era pacificamente decorsa, essendo l’odierno giudizio cominciato solo nel 2014, ben oltre il termine decennale, e non essendo stato contestato, da parte dell’odierno ricorrente, che la lettera del 6 febbraio 2009 inviata al Ministero del lavoro non aveva avuto efficacia interruttiva.

La tesi del ricorrente, secondo cui la prescrizione non poteva decorrere perchè solo con l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 368 del 1999 era stato dato adempimento alle direttive comunitarie sopra citate, è errata, come questa Corte ha ribadito in plurime pronunce nelle quali ha affermato che lo Stato italiano era da considerare adempiente già con l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 257 del 1991.

3. Il ricorso, pertanto, è rigettato.

In considerazione della complessità della materia e delle oscillazioni della giurisprudenza, la Corte ritiene equo compensare integralmente le spese del giudizio di cassazione.

Sussistono, tuttavia, le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e compensa integralmente le spese del giudizio di cassazione.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione Civile – 3 della Corte di cassazione, il 12 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 dicembre 2019

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