Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31553 del 03/12/2019

Cassazione civile sez. VI, 03/12/2019, (ud. 12/09/2019, dep. 03/12/2019), n.31553

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8337-2018 proposto da:

S.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI GRACCHI

123, presso lo studio dell’avvocato RAIMONDO DETTORI, rappresentato

e difeso dall’avvocato FRANCESCO ANGIONI;

– ricorrente –

contro

T.M.R., nella qualità di procuratore generale di

M.R., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso

la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato

GILBERTO DEIDDA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2/2018 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI,

depositata il 09/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 12/09/2019 dal Consigliere Relatore Dott. CIRILLO

FRANCESCO MARIA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. T.M.R., quale procuratore generale di M.R., e M.G. (quest’ultima poi deceduta lasciando la sorella R. unica erede) stipularono con S.A. due distinti contratti in deroga, della durata ciascuno di sei annate agrarie, aventi ad oggetto alcuni fondi rustici siti in (OMISSIS). Resosi moroso l’affittuario ed intimata la disdetta per entrambi i contratti, le parti addivennero a stipulare un ulteriore contratto in deroga, in data 7 maggio 2013, con il quale la M. affittò al S. una serie di terreni per la durata di anni due, con scadenza al 31 dicembre 2014.

Assumendo che il S. fosse inadempiente al pagamento dei canoni anche in relazione a questo secondo contratto e che fosse rimasto nel possesso dei terreni dopo la scadenza suindicata, la T. lo convenne in giudizio, con ricorso al Tribunale di Cagliari, Sezione specializzata agraria, chiedendo che fosse dichiarata la cessazione del contratto di affitto del 7 maggio 2013, con condanna del convenuto al rilascio dei terreni; ovvero, in subordine, che fosse pronunciata la risoluzione del contratto per grave inadempimento del conduttore, con obbligo di pagamento di un’indennità per tutto il periodo successivo alla condanna e fino al rilascio.

Si costituì in giudizio il convenuto, eccependo l’improcedibilità del ricorso per irrituale svolgimento del tentativo di conciliazione e la sua nullità per asserita indeterminatezza dell’oggetto della domanda, della quale chiese il rigetto.

Il Tribunale accolse la domanda, dichiarò il contratto scaduto alla data del 31 dicembre 2014, condannò il S. al rilascio dei fondi per la data del 10 novembre 2017, nonchè al pagamento di una somma a titolo di canoni non versati e di un’altra somma a titolo di indennità risarcitoria fino al rilascio, il tutto con il carico delle spese di lite.

2. La pronuncia è stata integralmente confermata dalla Corte d’appello di Cagliari, Sezione specializzata agraria, con sentenza del 9 febbraio 2018, con condanna dell’appellante al pagamento delle ulteriori spese del grado.

Ha osservato la Corte sarda che, in considerazione del motivo di appello col quale il S. aveva contestato l’irregolarità della sua convocazione per il tentativo di conciliazione, doveva essere autorizzata la produzione, da parte della proprietaria appellata, della copia del relativo avviso di ricevimento; avviso dal quale risultava che l’Argea aveva regolarmente convocato l’affittuario con lettera del 24 marzo 2017 per l’audizione fissata il successivo 27 marzo. Quanto alla pretesa nullità del ricorso introduttivo, la Corte di merito ha rilevato che la domanda avanzata in primo grado conteneva con chiarezza un’analitica ricostruzione dei fatti e la specifica delle ragioni di morosità del conduttore, per cui nessuna nullità era ravvisabile.

3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Cagliari ricorre S.A. con atto affidato a due motivi.

Resiste T.M.R., quale procuratore generale di M.R., con controricorso.

Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio, sussistendo le condizioni di cui agli artt. 375,376 e 380-bis c.p.c., e non sono state depositate memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 4), violazione e falsa applicazione dell’art. 421 c.p.c., comma 2, e dell’art. 437 c.p.c., comma 2, nonchè violazione della L. 3 maggio 1982, n. 203, art. 46.

Secondo il ricorrente la Corte di merito, nell’ammettere la produzione del documento suindicato nel giudizio di appello, avrebbe del tutto omesso ogni valutazione sulla colpevole inerzia della parte nel giudizio di primo grado; accertata tale colpevole inerzia, la produzione non doveva essere autorizzata, con conseguente improcedibilità della domanda.

1.1. Il motivo non è fondato.

Occorre innanzitutto rilevare che il richiamo all’art. 421 cit. è improprio, posto che l’unica norma correttamente invocabile in relazione alla produzione di documentazione indispensabile in grado di appello è l’art. 437 c.p.c. (v. Sezioni Unite, sentenza 4 maggio 2017, n. 10790).

Ciò premesso, il Collegio osserva che la giurisprudenza di questa Corte, chiamata più volte a pronunciarsi sull’esatta portata dell’art. 437 c.p.c., ha affermato che nel rito del lavoro occorre contemperare il principio dispositivo con quello di verità, per cui il deposito di documenti non prodotti in primo grado non è totalmente precluso in appello, qualora il giudice li ritenga indispensabili ai fini della decisione in quanto idonei a superare l’incertezza sui fatti costitutivi del diritto in contestazione, purchè si tratti di atti allegati anche per implicito e sussistano idonee “piste probatorie” emergenti dai mezzi istruttori (v. le ordinanze 15 maggio 2018, n. 11845, e 16 maggio 2018, n. 11994, nonchè la sentenza 28 marzo 2018, n. 7694).

Nella specie, la Corte di merito ha richiamato la motivazione del Tribunale il quale aveva rilevato che nel verbale relativo al tentativo di conciliazione era stato dato atto della regolare convocazione del S. per quell’incombente. Consegue da ciò che la facoltà data dalla Corte d’appello alla parte appellata di produrre l’avviso di ricevimento della raccomandata contenente la convocazione del S. per il tentativo di conciliazione non costituisce una sorta di arbitrario tentativo del giudice di rimettere la parte nei termini ai fini di tale produzione, bensì una valutazione di merito relativa alla necessità della stessa al fine di chiarire in modo certo quanto già risultava dal verbale richiamato dal Tribunale. E’ evidente, perciò, che la Corte d’appello non era tenuta a valutare la colpevole inerzia della proprietaria, per cui l’invocata violazione di legge non sussiste.

2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), violazione e falsa applicazione dell’art. 421 c.p.c., comma 2, e dell’art. 420 c.p.c., comma 6, con conseguente nullità della sentenza o del procedimento.

Osserva il ricorrente che, allorquando il giudice faccia uso dei poteri istruttori d’ufficio, egli è sempre tenuto ad osservare il principio del contraddittorio, assegnando alle parti un termine per il deposito di memorie; il che nella specie non era avvenuto, con conseguente nullità della sentenza impugnata.

2.1. Il motivo, quando non inammissibile, è comunque privo di fondamento.

invero, osserva il Collegio che nel testo del ricorso non viene allegato che l’odierno ricorrente si attivò per richiedere tale termine nel momento in cui fu autorizzata la produzione del documento nel giudizio di appello; nè il ricorrente si preoccupa di specificare, in relazione alla produzione di un documento attestante soltanto la data della ricezione di una lettera raccomandata, quale sarebbe stata la specifica esigenza difensiva lesa dalla mancata concessione del termine per il deposito della memoria.

3. Il ricorso, pertanto, è rigettato.

A tale esito segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55.

Non si fa luogo al versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, trattandosi di causa esente per legge.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 4.200, di cui Euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione Civile – 3 della Corte di cassazione, il 12 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 dicembre 2019

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