Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31548 del 03/12/2019

Cassazione civile sez. VI, 03/12/2019, (ud. 08/10/2019, dep. 03/12/2019), n.31548

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19537-2018 proposto da:

M.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati

LUIGI AMBROSIO, FRANCESCO AMBROSIO;

– ricorrente –

contro

G.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VALADIER 44,

presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO MANGAZZO, rappresentata e

difesa dall’avvocato GIACOMO CAMPANILE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2325/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 21/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 08/10/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO

VALITUTTI.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Rilevato che: la Corte d’appello di Napoli, con sentenza n. 2325/2018, depositata il 21 maggio 2018, in parziale riforma della decisione di primo grado, ha disposto che M.A. debba versare alla moglie, G.G., un assegno di mantenimento dell’importo di Euro 350,00 mensili, a far data dal giorno della presentazione dei coniugi dinanzi al Presidente del Tribunale, nel giudizio di separazione personale instaurato dal M. con ricorso del 31 marzo 2010;

avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione M.A. nei confronti di G.G., affidato ad un solo motivo;

la resistente ha replicato con controricorso;

le parti hanno depositato memorie, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..

Considerato che:

con l’unico motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e art. 2697 c.c., nonchè del principio secondo cui la revisione dell’assegno di mantenimento non può decorrere da una data precedente a quella nella quale ne sia stata richiesta la modifica;

Ritenuto che: sotto il primo dei profili suesposti, concernente la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., il ricorso si palesi inammissibile;

in tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., operi, invero, interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicchè la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito configura un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito dalla L. n. 134 del 2012, e non sub specie del vizio di violazione di legge (Cass., 12/10/2017, n. 23940).

in tema di ricorso per cassazione, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., non possa, pertanto, porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorchè si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass., 27/12/2016, n. 27000; Cass., 17/01/2019, n. 1229);

che nel caso di specie – non avendo il ricorrente denunciato il difetto di motivazione, nei limiti suindicati – non ricorrano neppure i suddetti presupposti di ammissibilità del vizio di violazione di legge dedotto;

Rilevato che: il giudice di appello ha, difatti, fondato la decisione di riconoscere alla Giova un assegno di mantenimento sull’accertamento dell’Agenzia delle Entrate, prodotto dallo stesso M., dal quale risulta che il medesimo è titolare di un reddito annuo di Euro 23.000,00, laddove la Giova – come risulta dall’ammissione della medesima al patrocinio a spese dello Stato – è titolare di un reddito inferiore ad Euro 11.000,00 annui;

a fronte di tale accertamento in fatto, la censura si concreta, sostanzialmente, in una inammissibile richiesta di rivisitazione del merito, attraverso la rivalutazione dei fatti già operata dal giudice di appello, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (Cass., 04/04/2017, n. 8758).

Ritenuto che: anche il profilo di doglianza, relativo alla dedotta violazione dell’art. 2697 c.c., sia da reputarsi inammissibile;

la violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c., censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sia – per vero – configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata, secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni, e non invece laddove oggetto di censura sia – come nel caso concreto – non già il riparto dell’onere della prova, bensì la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (sindacabile, quest’ultima, in sede di legittimità, entro i ristretti limiti del “nuovo” art. 360 c.p.c., n. 5) (Cass., 29/05/2018, n. 13395; Cass., 23/10/2018, n. 26769);

Ritenuto che: il profilo di censura, concernente la decorrenza dell’assegno di mantenimento, sia manifestamente infondato;

l’assegno di mantenimento a favore del coniuge, fissato in sede di separazione personale, debba infatti decorrere dalla data della relativa domanda, in applicazione del principio per il quale un diritto non può restare pregiudicato dal tempo necessario per farlo valere in giudizio (Cass., 03/02/2017, n. 2960; Cass., 11/07/2013, n. 17199);

di conseguenza, nella specie, tale decorrenza non possa essere determinata con riferimento alla data di proposizione dell’appello da parte della Giova – al quale la medesima ha dovuto fare ricorso, non essendole stato l’assegno concesso dal Tribunale – dovendo la decorrenza essere, invece, fissata alla data della relativa domanda, proposta nel giudizio di primo grado;

Ritenuto che per le ragioni esposte il ricorso vada, pertanto, rigettato, con condanna del ricorrente alle spese del presente giudizio, disponendo che il pagamento sia eseguito a favore dello Stato, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 133, essendo stata la Giova ammessa al patrocinio a spese dello Stato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente, in favore della controricorrente, alle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge. Dispone che il pagamento sia eseguito a favore dello Stato. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis. Dispone, ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, che in caso di diffusione della presente sentenza/ordinanza si omettano le generalità e gli altri dati identificativi delle parti.

Così deciso in Roma, il 8 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 dicembre 2019

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