Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31546 del 06/12/2018

Cassazione civile sez. III, 06/12/2018, (ud. 16/10/2018, dep. 06/12/2018), n.31546

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21461-2014 proposto da:

MINISTERO DIFESA, in persona del Ministro pro tempore, MINISTERO

DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI, in persona del Ministro pro

tempore, domiciliati ex lege in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, da cui sono rappresentati e

difesi per legge;

– ricorrenti –

contro

AEROLINEE ITAVIA S.P.A. IN AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA;

– intimata –

Nonchè da:

AEROLINEE ITAVIA S.P.A. IN AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA, in persona

dei Commissari Liquidatori Ing. C.A., Dott. G.A.

e Prof. Dott. S.R., elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA OSLAVIA 6, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE ALESSI, che

la rappresenta e difende unitamente agli avvocati FABRIZIO

CRISCUOLO, ANDREA MARIA AZZARO giusta procura speciale in calce al

controricorso e ricorso incidentale;

– ricorrente incidentale –

contro

MINISTERO DIFESA, MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI;

– intimati –

avverso la sentenza non definitiva n. 4726/2012 della CORTE D’APPELLO

di ROMA, depositata il 27/09/2012, e avverso la sentenza definitiva

n. 5247/2013 della CORTE D’APPELLO DI ROMA, depositata il 4/10/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/10/2018 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale; accoglimento parziale del terzo motivo dell’incidentale;

udito l’Avvocato dello Stato MASSIMO GIANNUZZO;

udito l’Avvocato GIUSEPPE ALESSI;

udito l’Avvocato FABRIZIO CRISCUOLO;

udito l’Avvocato ANDREA AZZARO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – La Aerolinee Itavia S.p.A. (di seguito anche Itavia) convenne in giudizio il Ministero della difesa, il Ministero dei trasporti e il Ministero dell’interno, per sentirli condannare al risarcimento dei danni patiti a seguito della sciagura area verificatisi nel cielo di (OMISSIS) il (OMISSIS), in occasione della quale era andato distrutto il (OMISSIS) di proprietà di essa attrice ed erano decedute 81 persone.

A tal fine, la società attrice: dedusse che detto evento, determinato dall’abbattimento del velivolo da parte di un missile lanciato da altro aereo o dalla presenza a bordo di un ordigno, doveva ascriversi alla responsabilità delle Amministrazioni convenute per l’omesso controllo e vigilanza sul traffico aereo o per l’omessa prevenzione di atti terroristici; sostenne che la anzidetta sciagura aerea era stata anche la “causa scatenante” della crisi economica e finanziaria dell’Itavia, con danni ricollegabili alla perdita del traffico aereo, al costo di noleggio di altro aeromobile armato, al fermo imposto dal Registro Aereonautico italiano alla flotta per l’effettuazione di ispezioni straordinarie, alla mancata effettuazione o cessione a terzi di voli e/o contratti charter, al deterioramento dell’immagine commerciale.

Le Amministrazioni convenute costituendosi in giudizio contestarono la fondatezza delle domande.

Si costituì successivamente la Aerolinee Itavia S.p.A. in amministrazione straordinaria, facendo proprie le domande avanzate dall’attrice.

Con sentenza del novembre 2003, l’adito Tribunale di Roma ritenuto che il (OMISSIS) dell’Itavia fosse stato abbattuto da un missile e che le Amministrazioni convenute non avessero garantito la regolare circolazione del volo e la sua sicurezza – accolse la pretesa risarcitoria e condannò i Ministeri dell’interno, della difesa e dei trasporti, in solido tra loro, al pagamento della complessiva somma di Euro 108.071.773,64, oltre accessori, nonchè alle spese di lite.

2. – L’impugnazione di tale decisione da parte delle Amministrazioni soccombenti venne accolta dalla Corte di appello di Roma con sentenza dell’aprile 2007, la quale, a sua volta, fu oggetto di ricorso per cassazione da parte della Aerolinee Itavia S.p.A., in amministrazione straordinaria, sulla base di nove motivi.

3. – Questa Corte, con la sentenza n. 10285 del 2009, dichiarò inammissibile il ricorso nei confronti del Ministero dell’interno (con compensazione delle spese tra le parti), ne accolse i primi sette motivi nei confronti dei Ministeri della difesa e dei trasporti, dichiarò inammissibili i restanti ed enunciò i principi di diritto ai quali il giudice di rinvio doveva attenersi (p.p. 4.3. e 5.4. della sentenza, rispettivamente concernenti: l’accertamento del nesso causale in base alla regola probatoria “del più probabile che non” e l’accertamento dell’imputazione colposa nell’illecito omissivo in base al giudizio “controfattuale”, previa individuazione dell’obbligo specifico o generico, in capo al soggetto, di tenere la condotta omessa).

4. – A seguito di riassunzione da parte della Aerolinee Itavia S.p.A., in amministrazione straordinaria, la Corte di appello di Roma, nel contraddittorio con il Ministero dell’interno, il Ministero della difesa ed il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, con sentenza resa pubblica il 27 settembre 2012, pronunciava in via definitiva sulla domanda proposta dall’attrice nei confronti del Ministero dell’interno, rigettandola con compensazione delle spese processuali dei gradi di merito; pronunciava in via non definitiva sulla domanda proposta dalla stessa società in amministrazione straordinaria nei confronti degli altri due Ministeri convenuti, dei quali accertava la responsabilità nella verificazione del disastro occorso in data (OMISSIS) nel quale andò distrutto il (OMISSIS) di proprietà dell’Itavia, rimettendo la causa sul ruolo, con separata ordinanza, per la determinazione dell’ammontare del danno.

4.1. – La Corte territoriale riteneva che la causa “più probabile della sciagura di (OMISSIS)” andasse individuata “nel lancio di un missile” e che, come già rilevato dalla sentenza rescindente del 2009, “sulla base di specifiche normative gravava sul Ministero della Difesa l’obbligo di assicurare la sicurezza nei cieli e di impedire l’accesso di aerei non autorizzati o nemici” (D.P.R. n. 1477 del 1965, art. 12, D.P.R. n. 1478 del 1965, art. 23,L. n. 38 del 1977) e “sul Ministero dei Trasporti, attraverso l’apposito Commissariato, l’assistenza e la sicurezza del volo” (D.L. n. 511 del 1979). Sicchè, posto che al momento del disastro il (OMISSIS) procedeva stabilizzato sulla rotta assegnata e sussisteva la contemporanea circolazione di altri aerei lungo la stessa rotta, i Ministeri della difesa e dei trasporti avrebbero dovuto adottare “le condotte loro imposte dagli specifici obblighi di legge sopra indicati”, che avrebbero evitato l’evento, la cui verificazione in forza di un fattore straordinario ed imprevedibile, tale da interrompere il nesso causale, non era stata dimostrata dagli stessi Ministeri convenuti.

4.2. – Il giudice di appello, quindi, rimetteva la causa sul ruolo per la determinazione del danno, ritenendo necessario a tal fine disporre apposita c.t.u. per non essere condivisibile il metodo di liquidazione adottato dal Tribunale, ancorato all’importo dei debiti dell’Itavia al 31 dicembre 2000 (data di certificazione dell’ammissione al passivo da parte del commissario straordinario), là dove, in assenza di scritture contabili e dei bilanci societari in base ai quali riscontrare la situazione patrimoniale antecedente al sinistro, non vi erano “elementi per poter affermare che il totale ammontare del passivo fallimentare fosse stato determinato dai fatti per cui è causa”.

5. – Con sentenza definitiva resa pubblica il 4 ottobre 2013, la Corte di appello di Roma condannava il Ministero della difesa ed il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, in solido tra loro, al pagamento, in favore della Aerolinee Itavia S.p.A., in amministrazione straordinaria, della somma di Euro 265.154.431,44 (di cui Euro 27.492.278,56 a titolo di risarcimento del danno, Euro 105.185.457,77 per rivalutazione ed Euro 132.476.695,11 per interessi), oltre interessi legali dalla sentenza al saldo, oltre al pagamento dei 3/4 delle spese processuali di tutti i giudizi, con compensazione del restante 1/4.

5.1. – La Corte territoriale escludeva che potesse essere risarcito il danno per la perdita dell’aeromobile (OMISSIS), giacchè la società attrice aveva incassato nell’anno 1980, per tale evento, un indennizzo assicurativo da parte dell’Assitalia di lire 3.800.000.000, mentre il valore del velivolo al momento del sinistro, come accertato dal c.t.u., era di lire 1.586.510.540; sicchè, “in assenza di prova della insufficienza di esso rispetto al danno effettivo”, era venuto meno il pregiudizio patito e non sussisteva il diritto al risarcimento, non potendosi questo cumulare con il maggiore indennizzo assicurativo, “pervenendosi altrimenti ad un’indebita locupletazione”.

5.2. – Quanto alla voce di danno relativa al valore dell’avviamento commerciale dell’Itavia, il giudice di appello, sulla scorta delle risultanze della c.t.u. e confutando le contestazioni mosse dai Ministeri convenuti (pp. 6/7 della sentenza, sub A, B e C), lo determinava in Euro 14.287.480,69, al dicembre 1980.

5.4. – In riferimento al danno per il fermo della flotta, la Corte di merito (pp. 7/8 della sentenza, punto 3), in base alla c.t.u., riteneva che la riduzione di attività fosse causalmente collegata al disastro per il 70% e liquidava a tal fine l’importo di Euro 13.204.797,87; escludeva, invece, ogni ulteriore posta risarcitoria per la voce di danno correlata alla revoca delle concessioni di volo (p. 9 della sentenza, punto 4), ritenendolo sostanzialmente assorbito nel riconoscimento del danno per il fermo della flotta.

6. – Per la cassazione delle sentenze, non definitiva e definitiva, della Corte di appello di Roma ricorrono il Ministero della difesa ed il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, affidando le sorti dell’impugnazione a quattro motivi, illustrati da memoria.

Resiste con controricorso la Aerolinee Itavia S.p.A., in amministrazione straordinaria, proponendo, altresì, ricorso incidentale sulla base di quattro motivi, illustrati da più memorie.

La causa è pervenuta all’udienza odierna dopo un duplice rinvio disposto (dapprima con ordinanza interlocutoria n. 19555 del 2015 e, quindi, con ordinanza interlocutoria n. 15534 del 2017) al fine di attendere l’esito del giudizio (un primo non decisivo e, quindi, un secondo) dinanzi alle Sezioni Unite civile sulla questione della portata del principio della cd. compensatio lucri cum damno nell’ambito delle conseguenze risarcitorie da fatto illecito.

Tale giudizio è stato definito con la sentenza n. 12565 del 22 maggio 2018 delle Sezioni Unite, che ha dichiarato inammissibile il primo motivo del ricorso principale e rigettato il primo motivo del ricorso incidentale (sulla anzidetta questione della cd. compensatio lucri cum damno), rimettendo a questa Sezione Io scrutinio dei restanti motivi di entrambi i ricorsi.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

La declaratoria di inammissibilità del primo motivo del ricorso principale del Ministero della difesa e del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, nonchè il rigetto del primo motivo del ricorso incidentale della Aerolinee Itavia S.p.A., in amministrazione straordinaria, recata dalla citata sentenza n. 12565 del 2018 delle Sezioni Unite civili di questa Corte, impongono di concentrare l’esame e la decisione unicamente sui restanti motivi di detti ricorsi.

Ricorso principale del Ministero della difesa e del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti secondo, terzo e quarto motivo).

1. – Con il secondo mezzo è dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 2056 e 1223 cod. civ..

La Corte di appello, con entrambe le sentenze (non definitiva e definitiva), avrebbe riconosciuto i danni per diminuito valore dell’avviamento commerciale e per il deprezzamento del parco aereo causati dal fermo imposto dal Registro Aeronautico italiano (in data 16 dicembre 1980) e dalla revoca delle concessioni da parte del Ministero dei trasporti (in data 23 gennaio 1981) senza alcun elemento di prova a sostegno e in mancanza di un nesso di consequenzialità immediata e diretta con l’evento, avendo l’Itavia sospeso le attività di volo il (OMISSIS) e, quindi, prima di detti fermo e revoche, in ragione della “forte diffidenza ingenerata nell’opinione pubblica dall’originaria formulazione dell’ipotesi che l’incidente in questione fosse stato causato da un cedimento strutturale”.

1.1. – Il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.

1.1.1. – E’ infondato là dove censura il difetto di prova a sostegno della ritenuta esistenza del danno e la sua correlazione con l’evento lesivo ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 2056 e 1223 cod. civ., giacchè la sentenza definitiva – saldandosi con quella non definitiva, relativa soltanto all’accertamento di responsabilità dei Ministeri convenuti per la verificazione del disastro aereo, e prendendo espressamente in esame le difese dei Ministeri stessi sulla dedotta insussistenza delle voci di danno pretese da Itavia – dà conto (pp. 5/8; punti 2 e 3) degli elementi dimostrativi del pregiudizio, quale danno-conseguenza, rappresentati dai dati materiali emergenti dalla c.t.u. espletata in corso di giudizio e dal ragionamento presuntivo utilizzato dalla stessa Corte territoriale, così da ascrivere i danni patiti come conseguenze del disastro aereo, essendo la decisione di sospendere i voli stata adottata, nell’immediatezza del sinistro (ossia nel breve volgere di sei mesi dal disastro aereo, dopo una riduzione dell’attività di aerolinea del 70% nel medesimo periodo), in stretta ragione di quest’ultimo e non frutto di libera scelta.

Il ragionamento della Corte territoriale è, quindi, giuridicamente corretto, in quanto operato proprio in funzione della verifica, con esito positivo, del nesso di “causalità giuridica” di cui all’art. 1223 cod. civ. (richiamato dall’art. 2056 cod. civ.in riferimento all’illecito aquiliano) tra evento lesivo (o danno-evento-ingiusto, ossia la lesione dell’interesse tutelato dall’ordinamento, in relazione eziologica con la condotta dell’agente) e sue conseguenze pregiudizievoli: nesso che è da intendersi in modo da ricomprendere nel risarcimento anche i danni indiretti e mediati che si presentino come effetto normale, secondo la teoria della cd. regolarità causale (tra le tante, Cass., 17 dicembre 1963, n. 3184; Cass., sez. un., 26 gennaio 1998, n. 762; Cass., 4 luglio 2006, n. 15274; Cass., 22 novembre 2016, n. 23719; da ultimo anche Cass., sez. un., 22 maggio 2018, da n. 12564 a n. 12567).

Ed è proprio in tale prospettiva che l’affermazione per cui la norma dell’art. 1223 c.c. è da ascrivere al piano della “selezione” dei danni risarcibili, ossia dei danni-conseguenza (la cui esistenza soltanto fa sorgere l’obbligazione risarcitoria, altrimenti non ravvisabile in ragione del solo danno-evento-ingiusto), non può essere letta nel senso che la disciplina recata dalla medesima disposizione rimanga estranea all’ambito del rapporto di causalità, giacchè, come evidenziato, la regola operazionale accreditata dalla giurisprudenza per detta selezione è quella sostanziata dalla c.d. “regolarità causale”, che, pertanto, trova svolgimento secondo l’id quod plerumque accidit, con ciò consentendo di ammettere nell’area del risarcibile tutte quelle conseguenze – come detto, anche indirette e mediate – che si trovino in una correlazione probabilistica di effetti propri ed ordinari dell’evento dannoso, con esclusione, quindi, delle conseguenze del tutto atipiche.

Sicchè, occorre ribadire che il concetto di selezione del danno risarcibile è comunque governato, al pari della c.d. causalità materiale, ossia del nesso tra condotta e danno-evento-ingiusto, da un rapporto di “causa ed effetto”, il quale, come detto, dovrà intercettare, secondo un principio di “regolarità causale” (che, peraltro, nella responsabilità civile, sostanzia, unitamente ad ulteriori criteri che si palesino rilevanti (“aumento del rischio tipico”, “scopo della norma violata” e, infine, quello residuale della “allocazione razionale del danno”) la verifica, a monte, anche della stessa causalità materiale, in guisa di temperamento alla teoria condizionalistica) tutte le conseguenze pregiudizievoli che ordinariamente l’evento lesivo è tale da produrre.

Valutazione, questa, che la Corte territoriale ha, per l’appunto, correttamente compiuto.

1.1.2. – E’ inammissibile, invece, là dove si duole dell’accertamento in fatto che sostanzia il convincimento del giudice del merito, non censurabile come error in iudicando, nè, peraltro, per eventuali insufficienze o aporie motivazionali, ma soltanto in guisa di omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti, quale vizio, di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione vigente (e secondo l’interpretazione di cui alla sentenza delle Sezioni Unite del 7 aprile 2014, n. 8053), non denunciato con il motivo in esame.

2. – Con il terzo mezzo è prospettata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, e art. 116 Cost., comma 6.

Il giudice di secondo grado, nella sentenza definitiva, “ha del tutto immotivamente riconosciuto la sussistenza del danno da perdita dell’avviamento commerciale dell’Itavia, essendosi limitata a richiamare le considerazioni svolte dal c.t.u. sia in ordine alla sussistenza di un avviamento positivo, sia in ordine alle metodiche di valorizzazione dell’avviamento”; la carenza motivazionale – tale da impedire di riconoscere la giustificazione del decisum – riguarderebbe anche la liquidazione del danno per il fermo della flotta, in base alla “apodittica affermazione della correttezza del metodo seguito dal c.t.u., senza dar conto delle ragioni per le quali sarebbero convincenti le considerazioni del c.t.u. a fronte delle opposte argomentazioni svolte dai tecnici di parte delle Amministrazioni”.

3. – Con il quarto mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza impugnata per le stesse ragioni illustrate nel terzo motivo.

3.1. – Il terzo e quarto motivo, da scrutinarsi congiuntamente, sono manifestamente infondati.

Affinchè sia integrato il vizio di “mancanza della motivazione” agli effetti di cui all’art. 132 c.p.c., n. 4 – denunciabile in cassazione in quanto anomalia che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, giacchè attinente all’esistenza della motivazione in sè, quale vizio risultante dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali occorre che tale anomalia integri la “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, la “motivazione apparente” (che può ravvisarsi ove la motivazione per relationem, anche ad una c.t.u., sia del tutto priva delle ragioni del convincimento raggiunto dal giudice del merito: cfr. Cass., 25 febbraio 2014, n. 4448), il “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e la “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (tra le altre, Cass., 18 settembre 2009, n. 20112; Cass., sez. un., 7 aprile 2014, n. 8053).

Nel caso di specie, è del tutto evidente – in base a quanto chiaramente emerge dalla motivazione resa dalla Corte territoriale alle pp. 5/9 della sentenza impugnata, non solo graficamente presente, ma particolarmente argomentata, e priva di insanabili aporie, anche tramite la confutazione delle difese tecniche sviluppate dalle Amministrazioni convenute nel giudizio di merito – che i vizi denunciati non sono affatto riscontrabili, risolvendosi le dedotte censure nella prospettazione di critiche alla sentenza impugnata che, in sostanza, vengono declinate secondo la ormai superata ottica del vizio motivazionale di cui alla formulazione non più vigente dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

Ricorso incidentale della Aerolinee Itavia S.p.A., in amministrazione straordinaria (secondo, terzo e quarto motivo).

4. – Con il secondo mezzo è dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e n. 5, violazione e falsa applicazione degli artt. 1223,1226 e 2056 cod. civ. “in relazione al danno per revoca delle concessioni di volo”.

La Corte territoriale avrebbe, anzitutto, omesso di esaminare il fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti, rappresentato dalla commisurazione del danno per la revoca delle concessioni di volo, pari ad Euro 87.804.538,20, presente nella c.t.u. (pp. 61 e 62 della relazione), fermandosi unicamente a considerare le argomentazioni del c.t.u. (pp. 52 e 53 della relazione) sull’assenza di “parametri certi” per la liquidazione della anzidetta voce di danno.

Inoltre, la Corte di appello avrebbe violato le norme codicistiche sulla liquidazione del danno, operando una indebita confusione tra il fatto della riduzione dell’attività dell’Itavia (o fermo della flotta, verificatosi dal (OMISSIS) e il (OMISSIS)) e quello della cessazione totale e definitiva di essa (o revoca delle concessioni, intervenuta dopo sei giorni dalla cessazione definitiva della attività); fatti, questi, che, sebbene determinati entrambi dal disastro aereo, devono essere considerati distintamente ed in sequenza tra loro, avendo il secondo (la revoca delle concessioni) determinato lo stato di insolvenza della società di trasporto aereo, facendo venire meno i ricavi in base ai quali erano stati in precedenza sempre onorati i debiti.

La ricorrente, poi, argomenta diffusamente sulla risarcibilità del danno da cessazione dell’attività, “certificata con la revoca delle concessioni di volo”, in quanto conseguenza del disastro aereo ai sensi degli artt. 1223,1225,1226 e 2056 cod. civ.; danno che sarebbe “pari ai debiti della Itavia accertati con la verifica dello stato passivo e tutti afferenti la gestione dell’attività aerea”

Infine, ci si duole della violazione degli artt. 1226 e 2056 cod. civ. per avere il giudice di appello, “pur avendo erroneamente equiparato il danno per revoca delle concessioni di volo (e cioè per cessazione dell’attività) al danno per fermo flotta (e cioè per riduzione dell’attività)”, mancato di liquidare in via equitativa la prima voce di danno, da commisurarsi al residuo 30% della riduzione dei ricavi nel periodo giugno/dicembre 1980.

4.1. – Il motivo è fondato per quanto di ragione.

4.1.1. – Non lo è nella parte in cui lamenta l’omesso esame di fatto decisivo in relazione alla mancata considerazione della c.t.u. là dove in questa si commisura il danno al “valore certificato dello stato passivo” (detratto l’attivo) e, quindi, ad Euro 87.804.538,20.

E ciò non perchè, come opinato nella memoria della difesa erariale, si sia formato sul punto il giudicato in base a quanto affermato nella sentenza non definitiva n. 4726/2012 della stessa Corte territoriale, giacchè in essa (cfr. anche quanto già rilevato inizialmente al p. 1.1.1.) non si statuisce sulla insussistenza del danno anzidetto, nè lo si esclude in rapporto alla consistenza dello stato passivo, ma si assume soltanto – e proprio in funzione della necessità di ulteriore istruzione della causa per la liquidazione dei danni, anche per la “revoca delle concessioni da parte del Ministero dei Trasporti” che il metodo utilizzato dal primo giudice (coincidenza dell’ammontare del danno con l’ammontare del passivo Itavia certificato al 31 dicembre 1980) non poteva essere condiviso per l’assenza di scritture contabili e di bilanci societari, così da non potersi affermare (ma neppure escludere) “che il totale ammontare del passivo fallimentare fosse stato determinato dai fatti per cui è causa, non potendosi utilmente operare alcun raffronto tra condizione economica in cui versava l’Itavia prima e dopo l’evento”.

L’infondatezza deriva, invece, dall’insussistenza del dedotto vizio di omesso esame di “fatto storico decisivo” (cfr., tra le altre, Cass., sez. un., 7 aprile 2014, n. 8053).

La Corte territoriale, nella sua valutazione in ordine alla risarcibilità del danno da revoca delle concessioni di volo, ha avuto – presente la relazione tecnica d’ufficio nella sua complessiva articolazione e ne ha tratto un proprio convincimento, che, seppure da essa divergente, non può essere inficiato in base una denuncia ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (che, peraltro, non può investire neppure il mancato esame delle risultanze probatorie come tali).

Nel ragionamento decisorio, infatti, traspare chiaramente come la consistenza dell’ammontare dello stato passivo rappresenti il parametro di riferimento all’interno del quale è stata operata la complessiva valutazione risarcitoria, in forza della quale è stata riconosciuta l’una voce di danno (da fermo della flotta) e non l’altra (da revoca delle concessioni), con la conseguenza che, nell’ambito del medesimo impianto motivazionale, quel parametro, siccome già soppesato, non poteva quindi costituire un metro di commisurazione “diverso” ed “ulteriore” ai fini della liquidazione del danno da revoca delle concessioni di volo.

In definitiva, con il profilo di doglianza in esame, non viene realmente aggredita un omesso esame del fatto storico, ma, in modo inammissibile, la coerenza del ragionamento del giudice di merito in punto di fatto.

4.1.2. – Cristallizzatosi, dunque, l’accertamento di fatto operato dalla Corte territoriale, è fondata, nei termini appresso precisati, la censura di error in iudicando, in guisa di vizio di sussunzione.

La Corte territoriale ha escluso la risarcibilità del danno per cessazione dell’attività di trasporto aereo dell’Itavia, certificata dalla revoca delle concessioni a seguito di dichiarazione della medesima società aerea “di non essere in grado di esercitare le linee già autorizzate ed attivate”, non già per insussistenza del nesso di derivazione causale del pregiudizio dall’evento lesivo (la cd. “causalità giuridica”, di cui all’art. 1223 cod. civ., nei termini innanzi precisati). Difatti, l’anzidetta cessazione dell’attività aziendale è stata ritenuta, dallo stesso giudice del merito (in forza, ma non solo, delle risultanze della c.t.u.), conseguenza risarcibile (alla stregua del principio, sopra rammentato, della regolarità causale) del disastro aereo (cfr. anche le considerazioni già svolte in sede di scrutinio del secondo motivo del ricorso principale: p. 1.1.1., che precede).

Il giudice di appello ha, invece, fondato la statuizione negativa sull’assenza di “parametri certi, diversi ed ulteriori rispetto a quanto già valutato nell’ambito della liquidazione del danno derivante dal fermo flotta”, ritenendo trattarsi, in definitiva, “dello stesso pregiudizio già liquidato” e non potendo pervenire, dunque, ad una “ingiustificata duplicazione del risarcimento”.

Tuttavia, la Corte territoriale ha errato a ritenere sussistente una duplicazione risarcitoria e, quindi, a sovrapporre due voci di danno invece distinte, che egli stesso ha inteso essere entrambe causalmente correlate all’evento lesivo, altresì ponendo in rilievo (tramite il richiamo adesivo alla c.t.u.) che il danno da fermo della flotta aveva determinato un danno non già da perdita totale dell’attività di trasporto aereo, bensì da riduzione dell’attività stessa per il 70%, tanto da rendere evidente, al contempo, l’esistenza di parametri per la quantificazione dell’ulteriore danno da cessazione definitiva dell’attività aziendale nel residuo 30% dell’attività stessa, venuta meno a seguito della revoca delle concessioni di volo.

In siffatta ottica, è quindi da apprezzare la violazione, anzitutto, dell’art. 1223 cod. civ., quale norma che richiede che il pregiudizio patrimoniale subito, nella sua declinazione di danno emergente e lucro cessante, sia interamente risarcito nella sua integralità e, quindi, come detto in precedenza (p. 1.1.1.) in tutte le conseguenze, anche mediate e indirette, da apprezzarsi causalisticamente in base al principio di “regolarità causale”. Ma rileva, anche, la violazione, in combinato disposto con la anzidetta disposizione, dell’art. 1226 cod. civ. (siccome richiamato in ambito di illecito extracontrattuale dall’art. 2056 cod. civ.), quale norma che, una volta accertata l’oggettiva esistenza del danno, ne impone la liquidazione equitativa, ove la prova dell’ammontare del pregiudizio medesimo si palesi, se non impossibile, quantomeno particolarmente difficoltosa (tra le altre, Cass., 30 aprile 2010, n. 10607; Cass., 12 ottobre 2011, n. 20990), pur dovendo il giudice del merito, nell’esercizio concreto di siffatto potere discrezionale, conferitogli dalle predette disposizioni, fornire contezza del processo logico e valutativo seguito (tra le altre, Cass., 15 marzo 2016, n. 5090), al fine di evitare che detto esercizio discrezionale si risolva in una quantificazione meramente arbitraria.

Dunque, il giudice di appello non ha liquidato interamente il pregiudizio patito dall’Itavia e, segnatamente, quello, ulteriore, da cessazione dell’attività di trasporto aereo, pur disponendo, nella prospettiva di una liquidazione equitativa, del parametro del 30% di residua attività di aerolinea, mantenuta dopo la riduzione della stessa nel periodo giugno/dicembre 1980, poi definitivamente venuta a cessare con la sospensione dell’attività stessa e la revoca delle concessioni di volo.

In siffatti circoscritti termini va, pertanto, accolto il motivo di ricorso in esame.

5. – Con il terzo mezzo è prospettata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 2233 cod. civ.; L. n. 794 del 1942, art. 24; D.M. n. 585 del 1994, artt. 4,5,6 e 15; D.M. n. 127 del 2004, artt. 4,5 e 14; D.M. n. 140 del 2012, artt. 1,4,5 e 11.

La Corte territoriale avrebbe proceduto alla liquidazione (dei 3/4) delle spese processuali dei vari gradi del giudizio in violazione delle norme indicate nella rubrica del motivo, infrangendo il principio di inderogabilità dei minimi tariffari e, comunque, senza motivare quanto al sistema di liquidazione adottato ed alle tariffe professionali ritenute applicabili.

6. – Con il quarto mezzo è dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 92e 93 cod. proc. civ.; art. 2233 cod. civ.; D.M. n. 140 del 2012, artt. 1,4 e 11.

Nel caso di accoglimento del motivo di ricorso relativo al risarcimento del danno per la perdita del velivolo distrutto, non risulterebbe più giustificata la compensazione per 1/4 delle spese processuali, là dove l’ulteriore riferimento della Corte territoriale alla “oggettiva complessità dell’accertamento dei fatti” può operare soltanto quale parametro per aumentarne la liquidazione e giammai in funzione della relativa compensazione, determinandosi altrimenti violazione delle norme indicate nella rubrica del motivo.

6.1. – E’ prioritario l’esame del quarto motivo, il quale è inammissibile all’esito del rigetto del primo motivo del medesimo ricorso incidentale (da parte della sentenza delle Sezioni Unite n. 12565 del 2018), al cui accoglimento l’Itavia stessa ne ha subordinato espressamente la proposizione e il conseguente scrutinio da parte di questa Corte.

6.2. – L’esame del terzo motivo – che pone censure specifiche sul quantum liquidato dal giudice di secondo grado a titolo di spese di lite – è invece assorbito dall’accoglimento, per quanto di ragione, del secondo motivo dello stesso ricorso incidentale, giacchè la conseguente cassazione della sentenza comporta, ai sensi dell’art. 336 cod. proc. civ., anche il travolgimento della statuizione sulle spese processuali (tra le altre, Cass., 18 gennaio 2006, n. 827; Cass., 14 marzo 2016, n. 4887).

Conclusioni.

7. – Va, dunque, rigettato il ricorso principale, accolto, per quanto di ragione, il secondo motivo del ricorso incidentale, dichiarati inammissibile il quarto e assorbito il terzo motivo dello stesso ricorso.

La sentenza impugnata deve, pertanto, essere cassata in relazione al motivo accolto e la causa rinviata alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, affinchè provveda sulla pretesa risarcitoria dell’Itavia relativa alla cessazione dell’attività di aerolinea (con conseguente revoca delle concessioni di volo) alla luce dei principi enunciati al p. 4.1.2., che precede.

Il giudice del rinvio provvederà anche alla liquidazione delle spese processuali dell’intera lite, comprese quelle del presente giudizìo di legittimità.

PQM

rigetta il ricorso principale;

accoglie, nei termini di cui in motivazione, il secondo motivo del ricorso incidentale dichiara assorbito il terzo motivo e inammissibile il quarto motivo del medesimo ricorso incidentale;

cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte suprema di Cassazione, il 16 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 6 dicembre 2018

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