Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31537 del 06/12/2018

Cassazione civile sez. III, 06/12/2018, (ud. 07/06/2018, dep. 06/12/2018), n.31537

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. OLIVIERI Stefano – Presidente –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21475-2016 proposto da:

CONDOMINIO (OMISSIS), in persona dell’Amministratore pro tempore

M.F., domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati

SERENITA’ GIUSEPPE, CRISPINO IPPOLITO giusta procura speciale a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

F.V., FR.LE., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA PIETRO DA CORTONA N 8 SC.B, presso lo studio dell’avvocato

MAURILIO D’ANGELO, che li rappresenta e difende giusta procura

speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1098/2015 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 08/07/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

07/06/2018 dal Consigliere Dott. MARCO ROSSETTI;

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Nel 2006 F.V. e Fr.Le. convennero dinanzi al Tribunale di Palermo la Banca Nazionale del Lavoro, il condominio del fabbricato sito in (OMISSIS) e S.G., esponendo che:

-) erano stati in passato condomini del fabbricato sopra indicato;

-) l’amministratore del condominio, S.G., nel 2005 aveva diffuso a tutti i condomini un “rendiconto di gestione”, nel quale era scritto che il condominio vantava un credito nei confronti di F.V. “per assegno insoluto”;

-) in effetti F.V. aveva, in passato, consegnato in pagamento all’amministratore del condominio un assegno tratto su un conto corrente esistente presso la Banca Nazionale del Lavoro (BNL) al nome di Fr.Le., il quale però venne presentato all’incasso 15 mesi dopo la consegna, e quindi dopo che era ampiamente spirato il termine di presentazione e comunque dopo che il conto era stato legittimamente chiuso; di conseguenza, quell’assegno non si sarebbe dovuto protestare, ma soltanto respingere;

-) S.G., al quale F.V. aveva richiesto per iscritto informazioni su tale vicenda, aveva risposto con una lettera del 17 luglio 2006, nella quale si ribadiva che il suddetto assegno era stato protestato; tale lettera inoltre, era stata spedita per conoscenza anche a terzi;

-) i suddetti fatti avevano leso l’onore e la reputazione degli attori.

Gli attori conclusero pertanto chiedendo la condanna dei convenuti in solido al risarcimento dei danni rispettivamente patiti in conseguenza dei fatti sopra descritti.

2. Con sentenza 5 febbraio 2010 n. 582 il Tribunale di Palermo accolse la domanda.

In punto di fatto, il Tribunale ritenne che:

-) l’assegno fosse stato effettivamente protestato, ma in assenza dei presupposti di legge;

-) l’indicazione da parte dell’amministratore condominiale, nel rendiconto di gestione, dell’esistenza di un credito del condominio verso F.V. per “assegno insoluto”, “concretizzava un attacco denigratorio nei confronti dell’attore”;

-) il condominio era tenuto a rispondere, ai sensi dell’articolo 2049 c.c., dell’operato del suo amministratore.

Sulla base di tali rilievi, il Tribunale condannò la Banca Nazionale del Lavoro al pagamento in favore di Fr.Le. della somma di 4.000 Euro; ed il condominio, in solido con S.G., al pagamento in favore di Fr.Le. della somma di 3.000 Euro, ed in favore di F.V. della somma di 8.000 Euro.

3. La sentenza venne appellata da S.G. e dal condominio di (OMISSIS).

La Corte d’appello di Palermo, con sentenza 8 luglio 2015 n. 1098, rigettò il gravame.

Per quanto in questa sede ancora rileva, la Corte d’appello ritenne che:

-) il rendiconto di gestione e la lettera del 17 luglio 2006, redatti da S.G., avevano leso l’onore e la reputazione di ambedue gli attori; in particolare il rendiconto di gestione “integrava discredito”, perchè:

-) conteneva l’espressione “assegno insoluto”;

-) indicava, tra tutti i debitori morosi del condominio, il nome del solo F.V., sebbene il condominio vantasse anche altri crediti nei confronti di altri condomini;

-) solo per F.V., fra tutti i condomini morosi, accanto all’entità del debito verso il condominio era stata indicata anche la fonte del credito, cioè l'”assegno insoluto”;

-) la lettera del 17.7.2006 spedita da S.G. invece “ledeva l’onore e la reputazione” degli attori perchè rivolta a terzi; perchè vi si affermava falsamente che l’assegno era stato protestato; perchè non vi si dava conto che il debito era stato pagato già otto mesi prima;

-) era irrilevante la circostanza che la menzione del protesto fosse già contenuta nei precedenti rendiconti, diffusi tra i condomini dal precedente amministratore, dal momento che “l’eventuale diffamazione commessa in precedenza da altro soggetto non vale ad escludere la reiterazione da parte di ( S.G.)”;

-) nel caso di lesione dell’onore e della reputazione “il danno è in re ipsa, in quanto costituito dalla diminuzione o privazione di un valore inerente la persona umana di rilevanza costituzionale”;

-) S.G. aveva agito con dolo, sia pure generico, consistito nell’indicare nel rendiconto di gestione un credito che non avrebbe dovuto comparire ivi, e nell’affermare falsamente, nella lettera del 17 luglio 2006, che l’assegno trasmesso da F.V. era stato protestato;

-) la responsabilità di S.G. non era esclusa dal fatto che nel successivo rendiconto di gestione, relativo all’anno 2005, fosse stata eliminata l’indicazione di “credito insoluto” a carico di F.V., dal momento che ciò non bastava ad eliminare la convinzione nei condomini che F.V. avesse inteso pagare i propri debiti con un assegno rimasto insoluto;

-) il condominio doveva rispondere dell’operato di S.G., perchè tanto i rendiconti di gestione quanto la lettera del 17 luglio 2006 erano stati redatti da S.G. non in proprio, ma nella qualità di amministratore condominiale.

4. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione, con un ricorso unitario, da S.G. e dal condominio di (OMISSIS), sulla base di sette motivi illustrati da memoria (la deduzione di cui a p. 21 del ricorso, p. 8, inerente le spese di lite, non costituisce un motivo di impugnazione, sebbene così qualificata dai ricorrenti).

Hanno resistito con controricorso F.V. e Fr.Le..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso.

1.1. Col primo motivo i ricorrenti lamentano, ai sensi dell’art. 360, nn. 3 e 5, sia il vizio di violazione di legge, sia “l’omessa pronuncia su fatti decisivi”.

Sostengono che la Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto sussistenti i delitti di cui all’art. 495 c.p. (false attestazioni a pubblico ufficiale) e art. 652 c.p. (rifiuto di prestare assistenza in occasione di tumulto), mentre per contro avrebbe erroneamente escluso la sussistenza dell’esimente di cui all’art. 51 c.p.. Nell’illustrazione del motivo (pp. 6-12 del ricorso) si sostiene che: -) non esisteva l’elemento oggettivo della diffamazione in danno di F.V.: sia perchè S.G. non affermò mai in alcuno scritto che l’assegno insoluto fu emesso da F.V., ma solo che fu da questi dato in pagamento (con la conseguenza che poteva trattarsi teoricamente anche d’un assegno a lui pervenuto per girata); sia perchè l’espressione “assegno insoluto” non consentiva di stabilire se il mancato pagamento avvenne per mancanza di provvista, o per motivi formali;

-) non esisteva nemmeno l’elemento soggettivo, sia perchè già prima che S.G. divenisse amministratore condominiale, il precedente amministratore aveva indicato nei rendiconti condominiali l’esistenza d’un credito condominiale per “assegno protestato” (sicchè era a quegli scritti che, semmai, doveva ricondursi l’eventuale diffamazione in danno di F.V.); sia perchè S.G. nel proprio rendiconto aveva mutato l’espressione “assegno protestato”, che compariva nei precedenti rendiconti, in “assegno insoluto”, così dimostrando di non avere alcuna intenzione di offendere la reputazione di F.V.;

-) vi era stata violazione dell’art. 51 c.p., perchè costituisce obbligo dell’amministratore rendere noto ai condomini la situazione patrimoniale e finanziaria del condominio; nè il rendiconto di gestione era stato trasmesso a terzi estranei al condominio.

-) la lettera del 17.7.2006, infine, non era diffamatoria perchè vi si diceva che l’assegno era stato tratto da ” Fr.Le.”, e non da ” Fr.Le.”, nè vi si affermava che questa fosse moglie di F.V..

1.2. Prima di esaminare il motivo nel merito, deve rilevarsi come appaia frutto di un evidente lapsus calami il riferimento, contenuto nell’epigrafe del motivo in esame, agli artt. 495 e 652 c.p.. Tale errore è irrilevante sia perchè agevolmente percepibile, sia perchè in ogni caso la censura come prospettata dai ricorrenti nell’illustrazione del motivo è sufficientemente chiara, al di là dell’erroneo riferimento normativo di cui sopra.

1.3. Nella parte in cui lamenta che la Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto sussistente la prova del dolo da parte di S.G., il motivo è inammissibile sia perchè censura un apprezzamento di fatto; sia per difetto di rilevanza.

E’ inammissibile sotto il primo profilo, perchè lo stabilire quale sia stato l’atteggiamento soggettivo di colui che ha commesso un fatto illecito è un accertamento di fatto, non una valutazione di diritto, e come tale è riservata al giudice di merito e non è sindacabile in questa sede (ex multis, in tal senso, Sez. 3, Sentenza n. 19359 del 18/09/2007, Rv. 599395 – 01, in motivazione; Sez. 3, Sentenza n. 15809 del 11/11/2002, Rv. 558397 – 01; e soprattutto Sez. 3, Sentenza n. 1863 del 18/02/2000, Rv. 534085 – 01, ove si affermò che “il convincimento del giudice del merito in ordine alla sussistenza della colpa di un soggetto nella produzione di un evento dannoso si sottrae al sindacato di legittimità, a condizione che la motivazione che lo sorregge sia congrua ed immune da vizi logici ed errori giuridici”; ed ovviamente va da sè che tale principio vale sia per l’accertamento della colpa, sia per l’accertamento del dolo).

Il motivo è poi inammissibile perchè irrilevante: infatti il danno da lesione dell’onore e della reputazione può scaturire sia da fatti dolosi, sia da fatti colposi. Sicchè, anche ad ammettere che la Corte d’appello avrebbe erroneamente ravvisato il dolo in assenza di prove, ciò non basterebbe a caducare la decisione impugnata, dal momento che la condotta ascritta a S.G. da parte della Corte d’appello rileverebbe anche se meramente colposa.

1.4. Nella parte in cui lamenta che la Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto sussistente la prova dell’elemento oggettivo del reato di diffamazione il motivo è inammissibile.

Ed infatti anche lo stabilire se una espressione, uno scritto, un documento, siano o non siano lesivi dell’onore e della reputazione altrui, costituisce un accertamento di fatto non sindacabile in questa sede (ex multis, in tal senso, Sez. 3 -, Ordinanza n. 6133 del 14/03/2018, Rv. 648418 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 80 del 10/01/2012, Rv. 621133 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 17395 del 08/08/2007, Rv. 598662 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 15510 del 07/07/2006, Rv. 593558 – 01).

1.5. Il motivo, infine, è infondato nella parte in cui sostiene che la Corte d’appello avrebbe erroneamente escluso la sussistenza dell’esimente dell’esercizio del diritto, di cui all’art. 51 c.p..

La Corte d’appello, infatti, non ha affatto affermato che l’amministratore non potesse informare i condomini della morosità d’alcuno tra essi, ma ha ritenuto che le modalità di tale informazione (e segnatamente la circostanza che d’uno solo dei condomini morosi venne indicato il nome e la causale della mora) fossero lesive dell’onore dell’odierno intimato.

Per un verso, dunque, lesione dell’art. 51 c.p. non vi fu; per altro verso lo stabilire se le modalità di diffusione di una informazione siano o non siano diffamatorie è, come detto, valutazione di fatto riservata al giudice di merito.

2. Il secondo motivo di ricorso.

2.1. Col secondo motivo i ricorrenti sostengono, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza.

Deducono che la sentenza d’appello sarebbe nulla perchè non ha esaminato il motivo d’appello col quale il condominio e S.G. avevano lamentato che l’espressione, contenuta nel rendiconto condominiale, “assegno insoluto”, non dimostrava di per sè che l’assegno fosse stato tratto da F.V., e di conseguenza non poteva avere valenza diffamatoria.

2.2. Il motivo è infondato.

La Corte d’appello ha preso in esame l’eventualità che il fatto fosse stato commesso nell’esercizio d’un diritto, e l’ha esclusa (p. 10, secondo capoverso, della sentenza impugnata).

Omessa pronuncia, dunque, non vi fu.

3. Il terzo motivo di ricorso.

3.1. Col terzo motivo i ricorrenti lamentano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli artt. 2043 e 2059 c.c..

Deducono che erroneamente la Corte d’appello avrebbe ritenuto sussistente un danno non patrimoniale in re ipsa, senza concretamente accertare l’effettivo pregiudizio patito dagli attori.

3.2. Il motivo è fondato.

Il Tribunale, ritenuta la natura offensiva del rendiconto e della lettera redatti da S.G., ritenne che il danno non patrimoniale patito da ambedue gli attori fosse “in re ipsa”, e lo liquidò nella misura sopra indicata.

Gli odierni ricorrenti impugnarono tale statuizione, deducendo questo il nucleo della censura – che gli attori non avevano subito alcun pregiudizio concreto in conseguenza dei fatti oggetto del contendere.

3.3. La Corte d’appello ha rigettato tale motivo di gravame così motivando: “la gravità e la serietà del pregiudizio non possono negarsi per quanto sopra già specificato” (così la sentenza d’appello, p. 14, quarto capoverso).

Non è del tutto chiaro a cosa intendesse riferirsi la Corte d’appello, rinviando a “quanto sopra già specificato”. Nelle pagine precedenti, infatti, vanamente si cercherebbe una anche sommaria descrizione del pregiudizio non patrimoniale in tesi sofferto dagli attori, della sua durata e della intensità.

Nelle pp. 10-12 della motivazione si legge unicamente che:

(a) “l’illegittima levata del protesto offrendo pubblicità dell’insolvenza debitoris, integra gli estremi del discredito personale e professionale idoneo a provocare l’insorgenza di un danno non patrimoniale per lesione dell’onore e della reputazione” (così la sentenza impugnata, p. 10, secondo capoverso);

(b) nel caso di lesione dell’onore, il danno è “in re ipsa” (ivi, terzo capoverso);

(c) F.V., “ragionevolmente ritenuto come soggetto onesto, corretto, integro e affidabile è stato invece accusato di pagare con assegni protestati, così da essere verosimilmente privato della stima e fiducia goduti fino a tale momento” (ivi, p. 11, primo capoverso);

(d) “considerazioni analoghe vanno fatte per Fr.Le., dipendente pubblica” (ivi, terzo capoverso).

3.4. Con le espressioni sopra trascritte, tuttavia, la Corte d’appello non ha affatto accertato e descritto le conseguenze concrete derivate dall’illecito ascritto ai convenuti. Si è limitata ad affermare in astratto che quell’illecito “poteva verosimilmente” pregiudicare la stima e la reputazione di cui gli attori godevano.

La Corte d’appello tuttavia non ha ritenuto di precisare quale fosse tale stima, in quali ambienti fosse goduta, se tali ambienti fossero stati o meno raggiunti dalla notizia della querelle tra gli attori e il condominio. Aggiungasi che sono gli stessi controricorrenti a dedurre (p. 16, secondo capoverso del controricorso) che il protesto dell’assegno più volte ricordato, tratto da Fr.Le. e girato (parrebbe: nessuna delle parti, nè la sentenza, chiariscono questo punto) da F.V. non fu pubblicato sul bollettino dei protestati, sicchè è arduo comprendere attraverso quali canali la notizia possa essersi propagata all’esterno della cerchia dei condomini. In conclusione, la Corte d’appello ha adottato una decisione che, per i suoi effettivi contenuti, aderisce all’opinione secondo cui la semplice lesione d’un diritto della persona fa sorgere ipso iure il diritto al risarcimento del danno in capo al titolare del diritto leso.

Ma questa affermazione è erronea in diritto.

3.5. La lesione d’un interesse protetto dalle legge è l’ovvio ed ineliminabile presupposto del danno, ma non è essa il danno.

Il danno infatti consiste non nella lesione d’un diritto, ma nelle conseguenze pregiudizievoli che ne sono derivate. Una lesione di diritto od interesse, dalle quali non siano derivate perdite patrimoniali o sofferenze morali, non fa sorgere alcun diritto al risarcimento, perchè non esiste alcuna perdita da risarcire.

Tanto si desume dalla lettera dell’art. 1223 c.c.; tanto è proclamato da una tradizione giuridica millenaria; tanto è stato affermato e ribadito giurisprudenza di questa Corte.

3.6. Sotto il primo profilo, basterà ricordare come già l’imperatore Giustiniano, nell’epistola al prefetto del pretorio Giovanni (Codex Iustiniani, VII, XLVII, De sententiis), qualificò il danno risarcibile come l’id quod interest, ovvero l’utilità perduta, non certo il diritto leso (quel che un noto economista definì “ofelimità”).

Sotto il secondo profilo, basterà ricordare che l’art. 1223 c.c., stabilendo che il risarcimento deve comprendere la perdita e il mancato guadagno, svela che quello di danno è un concetto materiale, non giuridico (ed infatti il codice non ne dà la definizione, ma lo presuppone).

Sotto il terzo profilo, infine, basterà ricordare come sin dal 2003 questa Corte stabilì che non esistono nel nostro ordinamento “danni-evento”; che la lesione del diritto o dell’interesse è solo il presupposto del diritto al risarcimento del danno; che non esistono danni in re ipsa; che l’accertata esistenza della condotta illecita e della lesione del diritto non fa sorgere, da sola, il diritto al risarcimento del danno, se il danneggiato non dimostra il tipo di perdita subita, l’intensità e la durata della stessa. Questi princìpi vennero affermati dapprima dalla Corte costituzionale, la quale in tema di danno non patrimoniale stabilì che la prova della lesione d’un diritto “non è sufficiente ai fini del risarcimento. E’ sempre necessaria la prova ulteriore dell’entità del danno, ossia la dimostrazione che la lesione ha prodotto una perdita di tipo analogo a quello indicato dall’art. 1223 c.c.” (Corte cost., 2710-1994, n. 372, nella cui motivazione (al p. 2.1 del “Considerato in diritto”).

In seguito essi vennero ripresi da questa Corte.

Dapprima furono le sezioni semplici ad affermare che “non vale (…) l’assunto secondo cui il danno sarebbe in re ipsa, nel senso che sarebbe coincidente con la lesione dell’interesse. Deve affermarsi invece che dalla lesione dell’interesse scaturiscono, o meglio possono scaturire, le (…) conseguenze, che, in relazione alle varie fattispecie, potranno avere diversa ampiezza e consistenza, in termini di intensità e protrazione nel tempo” (Sez. 3, Sentenza n. 8828 del 31/05/2003, p. 3.1.10 dei “Motivi della decisione”; nello stesso senso, Sez. 3, Sentenza n. 8827 del 31/05/2003).

In seguito tale principio fu definitivamente ribadito dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, Sentenza n. 26972 del 11/11/2008), e poi confermato da innumerevoli decisioni tutte conformi (Sez. 3 -, Sentenza n. 13071 del 25/05/2018, Rv. 648709 – 01; (Sez. 3 -, Sentenza n. 11269 del 10/05/2018, Rv. 648606 – 01, secondo cui “la lesione di un diritto inviolabile non determina, neanche quando il fatto illecito integri gli estremi di un reato, la sussistenza di un danno non patrimoniale “in re ipsa”, essendo comunque necessario che la vittima abbia effettivamente patito un pregiudizio, il quale va allegato e provato”; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 7594 del 28/03/2018, Rv. 648443 – 01, con specifico riferimento al danno all’onore ed alla reputazione; Sez. 3 -, Ordinanza n. 2056 del 29/01/2018, Rv. 647905 – 01; Sez. 3 -, Ordinanza n. 907 del 17/01/2018, Rv. 647127 – 03; Sez. 3 -, Ordinanza n. 25420 del 26/10/2017, Rv. 646634 – 04, solo per citare le più recenti).

3.8. La sentenza va dunque cassata con rinvio alla Corte d’appello di Palermo in diversa composizione, la quale nel tornare ad esaminare il settimo motivo dell’appello proposto da S.G. e dal condominio, applicherà i seguenti principi di diritto:

(a) il danno non patrimoniale derivato da una lesione dell’onore e della reputazione non è mai in re ipsa, e non può essere liquidato per il solo fatto che sia stata accertata la suddetta lesione;

(b) nella liquidazione del danno non patrimoniale da lesione dell’onore e della reputazione il giudice deve tenere conto non di valutazioni astratte, ma del concreto pregiudizio presumibilmente patito dalla vittima, per come da questa dedotto e provato.

4. Il quarto motivo di ricorso.

4.1. Col quarto motivo i ricorrenti lamentano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, che la sentenza d’appello da un lato avrebbe violato l’art. 2043 c.c., nella parte in cui ha ritenuto sussistere il nesso di causa tra la condotta loro ascritta ed il danno; dall’altro è comunque nulla per mancanza della motivazione sul terzo motivo di gravame da essi proposto.

Deducono i ricorrenti che la dizione “assegno protestato” era già stata inserita, dal precedente amministratore, nei rendiconti di gestione diffusi ben prima dell’avvento di S.G. alla carica di amministratore, e di conseguenza la condotta di questi non ha potuto causare alcun danno.

4.2. Il motivo è infondato nella parte in cui lamenta l’omessa motivazione, che invece sussiste (v. p. 11, terzultimo capoverso, della sentenza d’appello), ed inammissibile nella parte restante, perchè censura un accertamento di fatto.

5. Il quinto motivo di ricorso.

5.1. Col quinto motivo i ricorrenti lamentano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, che la Corte d’appello avrebbe violato l’art. 2059 c.c., perchè ha ritenuto irrilevante, al fine di escludere la responsabilità dei convenuti, che la dizione “assegno insoluto” era stata eliminata dall’ultimo rendiconto di gestione.

5.2. Il motivo è inammissibile, perchè – ad onta del richiamo puramente formale all’art. 2059 c.c. – nella sostanza esso censura la valutazione delle prove, e la ritenuta natura offensiva del rendiconto di gestione.

6. Il sesto motivo di ricorso.

6.1. Col sesto motivo i ricorrenti lamentano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, che la Corte d’appello avrebbe violato l’art. 2049 c.c., perchè ha addossato al condominio la responsabilità per fatti commessi dall’amministratore “in proprio”.

6.2. Il motivo è infondato.

Tra la redazione dei rendiconti di gestione e la carica di amministratore esisteva il c.d. nesso di “occasionalità necessaria”, e tanto bastava per imputare al condominio il fatto dell’amministratore.

7. Il settimo motivo di ricorso.

7.1. Col settimo motivo i ricorrenti lamentano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, che la Corte d’appello ha accolto la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale in un caso in cui la lesione non era grave, nè aveva prodotto conseguenze non futili.

7.2. Il motivo resta assorbito dall’accoglimento del terzo motivo di ricorso.

8. Le spese.

Le spese del presente grado di giudizio saranno liquidate dal giudice del rinvio.

P.Q.M.

la Corte di cassazione:

(-) accoglie il terzo motivo di ricorso, dichiara assorbito il settimo, rigetta gli altri;

(-) cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Palermo, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione civile della Corte di cassazione, il 7 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 6 dicembre 2018

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