Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31533 del 05/12/2018

Cassazione civile sez. VI, 05/12/2018, (ud. 08/11/2018, dep. 05/12/2018), n.31533

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13801/2017 proposto da:

AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI, (OMISSIS), in persona del

Direttore in carica pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

la rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

DSV SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CRESCENZIO 91, presso lo

studio dell’avvocato CLAUDIO LUCISANO, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato GIOVANNI SCARPA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2614/18/2017 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di NAPOLI, depositata il 21/03/2017; udita la relazione

della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata

dell’08/11/2018 dal Consigliere Relatore Dott. ROBERTO GIOVANNI

CONTI.

Fatto

FATTI E RAGIONI DELLA DECISIONE

L’Agenzia delle dogane ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, contro la DSV già Saima Avandero spa, impugnando la sentenza della CTR Campania indicata in epigrafe che, in sede di giudizio di rinvio per effetto della cassazione pronunziata da questa Corte con ordinanza n.15981/2015, ha parzialmente accolto l’appello proposto dalla società contribuente, dichiarando non dovuta la pretesa IVA in dogana per operazioni di importazione relative all’anno 2006. La CTR, rilevando che nel caso di specie si era accertata un’ipotesi di immissione solo virtuale della merce nei depositi IVA, ha ritenuto nondimeno che tale operazione, pur integrando una frode fiscale, non avesse determinato il mancato assolvimento dell’IVA, essendo stato tale tributo versato con il meccanismo dell’autofatturazione, risultando così dovuti i soli interessi e le relative sanzioni, ma non il doppio del tributo.

La società intimata si è costituita con controricorso, pure depositando memoria.

Con il primo motivo si deduce la violazione dell’art.384 c.p.c. La CTR non avrebbe assolto l’onere di applicare il principio di diritto fissato da Cass. n. 15981/2015, avendo omesso di indicare i documenti visionati e il percorso fattuale e logico giuridico attraverso il quale giungere alla conclusione espressa in sentenza.

Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione dell’art. 2697 c.c., e del D.L. n. 331 del 1992, art. 50 bis, comma 4, del D.P.R. n.633 del 1972, art. 17, commi 2 e 3. La CTR non avrebbe verificato i presupposti per il corretto assolvimento dell’IVA, non risultando il meccanismo di autofatturazione un’operazione imponibile, mancando agli atti i registri contabili degli acquisiti e delle vendite del cessionario nonchè la prova degli Altri requisiti idonei a dimostrare l’assolvimento del detto tributo.

Il primo motivo di ricorso è infondato.

La CTR, con motivazione intelligibile, ha evidenziato la parziale fondatezza del ricorso del contribuente che, pur avendo illegittimamente utilizzato il sistema di sospensione del pagamento dell’IVA all’importazione in relazione all’inserimento solo virtuale della merce in deposito, aveva comunque diritto a non vedersi addebitato il doppio del tributo anzidetto in relazione all’assolvimento dell’IVA all’atto dell’estrazione della merce dal deposito con il meccanismo del reverse charge. In tal modo non vi è stata nè violazione del principio di diritto espresso da Cass. n. 15981/2015, nè vulnus ai principi espressi da Cass. S.U. n. 8053/2014 in tema di motivazione apparente. Anche il secondo motivo di ricorso è infondato.

Occorre premettere che questa Corte, nel cassare la precedente sentenza di appello resa da altra CTR e nell’accoglierei il ricorso dell’Agenzia, aveva espressamente affermato, per quel che qui ancora rileva, che “…In quella sede, il giudice di merito verificherà altresì se, sia stato, o no, comunque, eseguito il meccanismo dell’inversione contabile ai fini dell’assolvimento dell’imposta; circostanza, questa, che, contrariamente a quanto dedotto in controricorso, non si può ritenere come acquisita perchè non contestata, giacchè la sentenza impugnata non ne fa parola, nè logicamente la postula.”

Orbene, giova ricordare che questa Corte ha di recente ribadito, in piena sintonia con quanto ritenuto da Cass. n. 15981/2015, che l’Amministrazione finanziaria non può pretendere il pagamento dell’imposta sul valore aggiunto all’importazione dal soggetto passivo che, non avendo materialmente immesso i beni nel deposito fiscale, si è illegittimamente avvalso del regime di sospensione di cui al D.L. n. 331 del 1993, art. 50-bis, comma 4, lett. b), conv., con modif., dalla L. n. 427 del 1993, qualora costui abbia già provveduto all’adempimento, sebbene tardivo, dell’obbligazione tributaria nell’ambito del meccanismo dell’inversione contabile mediante un’autofatturazione ed una registrazione nel registro degli acquisti e delle vendite, atteso che la violazione del sistema del versamento dell’IVA, realizzata dall’importatore per effetto dell’immissione solo virtuale della merce nel deposito, ha natura formale e non può mettere, pertanto, in discussione il suo diritto alla detrazione, come chiarito dalla Corte di Giustizia nella sentenza del 17 luglio 2014, in C-272/13, a tenore della quale detta violazione può essere punita, in relazione allo scarto temporale tra la dichiarazione e l’autofatturazione, con una specifica sanzione per il ritardo – non fissa e che può consistere anche nel computo degli interessi di mora, purchè sia rispettato il principio di proporzionalità – la cui adeguata determinazione, implicando un accertamento di fatto, compete al giudice di merito-cfr.Cass. n.12231/2017-.

E’ stato ancora aggiunto che in tema d’IVA, riguardo alle operazioni intracomunitarie ed al meccanismo del “reverse charge”, come chiarito dalla giurisprudenza comunitaria, il diritto alla detrazione, che assicura la neutralità fiscale dall’imposta, deve essere accordato ove ne siano rispettati i requisiti sostanziali, anche ove taluni obblighi formali siano stati violati, salvo che da ciò consegua l’effetto d’impedire la prova dell’adempimento dei requisiti sostanziali-Cass. n. 4612/2016-. Tale ultima pronunzia ha peraltro ribadito che secondo la giurisprudenza europea, a proposito del meccanismo del c.d. reverse charge, “…l’Amministrazione finanziaria, una volta che disponga delle informazioni necessarie per dimostrare che i requisiti sostanziali siano stati soddisfatti, non può imporre, riguardo al diritto del soggetto passivo di detrarre l’imposta, condizioni supplementari che possano produrre l’effetto di vanificare l’esercizio del diritto medesimo (p.40). Quindi, ai pp. 41 e 42, provvede a precisare quali siano i requisiti sostanziali e quali i requisiti formali nei termini che seguono. I requisiti sostanziali del diritto a detrazione sono quelli che stabiliscono il fondamento stesso e l’estensione di tale diritto, quali previsti all’articolo 17 della sesta direttiva, intitolato “Origine e portata del diritto a “detrazione” (v., in tal senso, sentenze Commissione/Paesi Bassi, C-338/98, EU:C:2001:596, punto 71; Dankowski, C-438/09, EU:C:2010:818, punti 26 e 33; Commissione/Ungheria, C-274/10, EU:C:2011:530, punto 44, nonchè Kopalnia Odkrywkowa Polski Trawertyn P. Granatowicz, M. Wasiewicz, C-280/10, EU:C:2012:107, punti 43 e 44). Per contro, i requisiti formali del diritto a detrazione disciplinano le modalità e il controllo dell’esercizio del diritto medesimo nonchè il corretto funzionamento del sistema dell’IVA, quali gli obblighi di contabilità, di fatturazione e di dichiarazione.”

Orbene, la ricorrente non ha considerato che, nel caso di specie, la CTR ha chiaramente riconosciuto l’esistenza dei requisiti di natura sostanziale connessi all’utilizzo del meccanismo del c.d. reverse charge, escludendo la natura di operazioni inesistenti – v.pag.7 1^ periodo sent. impugnata – ed in tal modo confermando l’esistenza dei presupposti per ricorrere al detto meccanismo. Quanto ai requisiti formali, è appena il caso di evidenziare che proprio dagli atti posti a base della verifica, riportati dalla controricorrente – pvc della Guardia di finanza riportato a pag.6 del controricorso – emergeva il rispetto degli stessi. Ne consegue il difetto di rilevanza della censura sul punto esposta dalla ricorrente.

Sulla base di tali considerazioni i due motivi di ricorso vanno entrambi disattesi.

Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che liquida in favore della contro ricorrente in Euro 4000,00 per compensi, oltre spese generali nella misura del 15% dei compensi, oltre accessori.

Così deciso in Roma, il 8 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 5 dicembre 2018

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