Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31530 del 03/12/2019

Cassazione civile sez. lav., 03/12/2019, (ud. 22/10/2019, dep. 03/12/2019), n.31530

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. RAIMONDI Guido – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16411-2017 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

GIUSEPPE MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO,

che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

D.V.L., D.V.G., D.V.M.L.,

nella qualità di eredi di C.A., elettivamente domiciliati

in ROMA, VIA ANTONIO BERTOLONI 1/E PAL. G, presso lo studio

dell’avvocato CLAUDIO RIZZO, che li rappresenta e difende;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 6138/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 24/12/2016, R. G. N. 4861/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/10/2019 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE ALBERTO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;

udito l’Avvocato LUIGI FIORILLO;

udito l’Avvocato CLAUDIO RIZZO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Roma condannava la società Poste Italiane a pagare, in favore di D.V.L., D.V.M.L. e D.V.G., quali eredi di C.A., la somma di Euro 81.738,01, oltre contributi nell’importo specificato e TFR, a titolo di retribuzioni non percepite dalla dante causa dalla data del licenziamento del 31.12.2001, efficace dal 30.10.2002, epoca della fine della malattia – licenziamento la cui illegittimità era stata sancita da sentenza n. 4036/2007 della Corte di appello di Roma, definitiva a seguito di sentenza di legittimità n. 1235/2011 di inammissibilità del ricorso per cassazione – sino al 2.3.2006, quando alla lavoratrice era stato intimato, nelle more del giudizio di gravame, un nuovo licenziamento per sopraggiunti limiti di età, non impugnato.

2. Con sentenza non definitiva del 12.10.2016, la Corte capitolina, in parziale riforma della decisione impugnata – confermata nel resto -, dichiarava che il risarcimento del danno conseguente alla illegittimità del licenziamento era dovuto sino alla data del 14.4.2009, data di estinzione del rapporto di lavoro conseguente all’esercizio della opzione ai sensi dell’art. 18 St. Lav., e dichiarava spettante l’indennità sostitutiva della reintegrazione, aggiungendo nel computo della retribuzione globale di fatto il premio di produttività.

3. La Corte evidenziava come il licenziamento per superamento dell’età pensionabile era intervenuto in pendenza del giudizio di impugnazione del primo licenziamento e che, quale evento sopravvenuto, lo stesso non era stato opposto o enunciato nel corso di tale giudizio, con la conseguenza che la Corte territoriale aveva emesso la statuizione di reintegra e risarcitoria, poi passata in giudicato, prescindendo da esso. Ciò in virtù del principio del dedotto e deducibile, coperto dal giudicato, salva la sopravvenienza di fatti e situazioni nuovi verificatisi dopo la formazione dello stesso. In ordine alla tardività dell’esercizio dell’opzione in data 14.4.2009, che si assumeva intervenuta oltre il termine di legge di 30 giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza, ovvero dall’invito a riprendere servizio, la Corte rilevava che non vi erano elementi certi idonei a dare contezza del superamento del detto termine. Il risarcimento del danno conseguente alla illegittimità del licenziamento era dovuto, pertanto, sino al 14.4.2009, comportando la comunicazione dell’esercizio della opzione l’estinzione del rapporto.

4. Con sentenza definitiva del 24.12.2016, la Corte capitolina condannava la società appellata a pagare agli appellanti la somma di Euro 200.696,83, oltre interessi sulle somme annualmente rivalutate, e determinava i contributi dovuti in Euro 57.378,83.

5. Poste Italiane s.p.a. domanda la cassazione della sentenza definitiva del 24.12.2016, affidando l’impugnazione a sei motivi, cui resistono, con controricorso, gli eredi della C..

6. Entrambe le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, è denunziato omesso esame circa fatti decisivi del giudizio ex art. 360 c.p.c., n. 5, in particolare del secondo licenziamento e della sua efficacia, rilevandosi che la fattispecie verificatasi era diversa da quella esaminata da Cass. 2898/2007 e che, se la Corte avesse valutato detti fatti decisivi, avrebbe concluso per la conferma della sentenza di primo grado. Si sostiene che la reintegra disposta dalla prima pronuncia di appello e le connesse retribuzioni potevano essere riconosciute solo sino alla data del secondo provvedimento di recesso, divenuto efficace nel momento in cui, accertata l’invalidità del precedente, il successivo licenziamento poteva essere opposto dalla società.

2. Con il secondo motivo, si addebita alla decisione impugnata violazione dell’art. 2909 c.c., anche in relazione all’art. 112 c.p.c., per avere la Corte territoriale ritenuto non opponibile il secondo recesso in quanto non eccepito e coperto dal passaggio in giudicato di detta pronuncia nel giudizio conclusosi con sentenza 4036/2007.

3. Omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio, rappresentati dall’impossibilità di rendere la prestazione lavorativa per raggiunti limiti d’età, è dedotto col terzo motivo, osservandosi che l’impossibilità di reintegrare la lavoratrice per l’avvenuto raggiungimento dell’età pensionabile da parte della stessa costituisse un fatto pacifico, che doveva porsi come circostanza idonea a limitare il risarcimento del danno dalla data della pronuncia della Corte d’appello 4036/2008, che aveva disposto la reintegra alla data in cui, a seguito della risoluzione del rapporto per sopraggiunti limiti di età, detta reintegra si era resa impossibile.

4. Il quarto motivo attiene alla violazione dell’art. 18 Stat. Lav. in ordine ai criteri di determinazione dell’indennità dovuta alla lavoratrice a seguito dell’illegittimo recesso.

5. Il quinto rileva omesso esame (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5) in relazione all’eccezione di risoluzione del rapporto per mutuo consenso.

6. Con il sesto motivo, si lamenta ulteriormente violazione dell’art. 18 Stat. Lav. con riferimento alla nozione di retribuzione globale di fatto ed alla ricomprensione nella stessa del premio di produttività.

7. Il ricorso va dichiarato inammissibile, atteso che la sentenza impugnata è quella definitiva e non già quella non definitiva, che contiene le statuizioni censurate. L’inammissibilità consegue anche all’assenza di ogni riserva di impugnazione da parte della ricorrente società, ai sensi dell’art. 361 c.p.c., relativamente alla sentenza non definitiva, ed alla proposizione di ricorso per cassazione quando comunque erano già spirati i termini per l’impugnazione di cui all’art. 327 c.p.c. (sentenza non definitiva del 12.10.2016, richiesta di avvio alla notifica del ricorso del 16.9.2017, oltre il termine semestrale di legge).

7.1. La stessa difesa della ricorrente ha, d’altro canto, nel corso dell’odierna discussione, dato atto della tardività del ricorso.

8. Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza della ricorrente; tuttavia, la misura dei compensi professionali è determinata nel minimo come indicato in dispositivo, avuto riguardo al suindicato contegno processuale della società.

9. Sussistono le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 3645,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge, nonchè al rimborso delle spese forfetarie nella misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 30 maggio 2002 art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo previsto a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del citato D.P.R., art. 13, comma 1bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 22 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 dicembre 2019

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