Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31526 del 05/12/2018

Cassazione civile sez. VI, 05/12/2018, (ud. 11/10/2018, dep. 05/12/2018), n.31526

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – rel. Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18633-2017 proposto da:

F.L., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato ALESSANDRO ROMBOLA’;

– ricorrente –

contro

INAIL – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI

SUL LAVORO (OMISSIS), in persona del legale rappresentante,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE 144, presso lo

studio dell’avvocato TERESA OTTOLINI, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato LUCIANA ROMEO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 83/2017 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, del

24/01/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata dell’11/10/2018 dal Consigliere Relatore Dott. GIULIO

FERNANDES.

Fatto

RILEVATO

che, con sentenza del 24 gennaio 2017, la Corte di appello di Firenze confermava la decisione del Tribunale in sede di rigetto della domanda proposta da F.L. nei confronti dell’INAIL intesa al riconoscimento della rendita da inabilità permanente derivata da malattia professionale nella misura del 70% con decorrenza dal gennaio 2004;

che, ad avviso della Corte territoriale: correttamente il primo giudice aveva accolto l’eccezione di prescrizione triennale del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, ex art. 112, termine questo decorrente dalla domanda amministrativa proposta il 3 maggio 2006 ed ormai spirato alla data di instaurazione del giudizio (17 ottobre 2012) in quanto la sospensione della prescrizione di cui al D.P.R. n. 1124 del /1965, art. 111, operava limitatamente al decorso dei centocinquanta giorni previsti per la liquidazione amministrativa delle indennità, contrariamente a quanto sostenuto nel gravame dal F. secondo cui detta sospensione perdurava fino al provvedimento di definitivo rigetto della domanda amministrativa da parte dell’istituto (il 15 settembre 2011); comunque, neppure era stato provato il nesso di causalità tra la malattia denunciata (sclerosi multipla) e l’attività lavorativa di collaboratore tecnico svolta dal F. dal 1987 al 2002 alle dipendenze della (OMISSIS);

che per la cassazione di tale decisione propone ricorso il F. affidato a due motivi cui resiste con controricorso l’istituto;

che è stata depositata la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;

Diritto

CONSIDERATO

che: con il primo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, artt. 111 e 112 (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3,) per avere la Corte d’appello erroneamente ritenuto che il termine triennale di prescrizione rimanesse sospeso solo per i centocinquanta giorni previsti per la liquidazione amministrativa dell’indennità e non fino al provvedimento con il quale l’istituto aveva rigettato l’istanza; con il secondo motivo viene dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 41 c.p. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n.3,) avendo la Corte territoriale escluso il nesso di causalità tra la comprovata esposizione del F. a solventi chimici nel corso dell’attività lavorativa e la sclerosi multipla da cui egli era affetto senza tenere conto che, in materia di infortuni sul lavoro e malattie professionali, il rapporto causale tra evento e danno è governato dal principio di equivalenza delle condizioni in forza del quale va riconosciuta efficienza a causale ad ogni antecedente che abbia contribuito, anche in maniera indiretta e remota, alla produzione dell’evento;

che il primo motivo è inammissibile in considerazione del principio secondo cui nel caso in cui venga impugnata con ricorso per cassazione una sentenza (o un capo di questa) che si fondi su più ragioni, tutte autonomamente idonee a sorreggerla, è necessario, per giungere alla cassazione della pronuncia, non solo che ciascuna di esse abbia formato oggetto di specifica censura, ma anche che il ricorso abbia esito positivo nella sua interezza con l’accoglimento di tutte le censure, affinchè si realizzi lo scopo proprio di tale mezzo di impugnazione, il quale deve mirare alla cassazione della sentenza, “in toto” o nel suo singolo capo, per tutte le ragioni che autonomamente l’una o l’altro sorreggano sicchè è sufficiente che anche una sola delle dette ragioni non abbia formato oggetto di censura, ovvero, pur essendo stata impugnata, sia respinta, perchè il ricorso o il motivo di impugnazione avverso il singolo capo di essa, debba essere respinto nella sua interezza, divenendo inammissibili, per difetto di interesse, le censure avverso le altre ragioni poste a base della sentenza o del capo impugnato (Cass. Sez. U, n. 16602 del 08/08/2005; successive conformi, ex multis: Cass. n. 21431 del 12/10/2007; Cass. Sez. U, n. 10374 del 08/05/2007); ed infatti, il rigetto della domanda del F. è stato fondato anche sulla mancanza del nesso di causalità tra la malattia denunciata e l’attività lavorativa espletata e tale seconda “ratio decidendi”, per quanto appresso si dirà, non risulta incisa dai motivi di ricorso e, dunque, vale da sola a sorreggere la impugnata sentenza;

che il secondo motivo è inammissibile in quanto non conferente con la motivazione dell’impugnata sentenza che ha del tutto escluso un nesso di causalità o concausalità ” allo stato attuale delle ricerche mediche” tra la malattia da cui il F. è affetto e l’attività lavorativa dallo stesso svolta;

che, pertanto, in adesione alla proposta del relatore, il ricorso va rigettato;

che le spese del presente giudizio, per il principio della soccombenza, sono poste a carico del ricorrente e vengono liquidate come da dispositivo;

che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013), art. 1, comma 17, trovando tale disposizione applicazione ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, quale quello in esame (Cass. n. 22035 del 17/10/2014; Cass. n. 10306 del 13 maggio 2014 e numerose successive conformi).

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 2.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese forfetario nella misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 11 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 5 dicembre 2018

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