Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31526 del 03/12/2019

Cassazione civile sez. lav., 03/12/2019, (ud. 10/10/2019, dep. 03/12/2019), n.31526

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14922-2018 proposto da:

UNICREDIT S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI RIPETTA 70, presso lo

studio dell’avvocato MASSIMO LOTTI, che la rappresenta e difende

unitamente agli avvocati FABRIZIO DAVERIO,

SALVATORE FLORIO;

– ricorrente –

contro

P.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CELIMONTANA

38, presso lo studio dell’avvocato PAOLO PANARITI, che lo

rappresenta e difende unitamente agli avvocati MASSIMO COMPAGNINO,

MASSIMO LUPI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 537/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 16/03/2018 R.G.N. 1648/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/10/2019 dal Consigliere Dott. DANIELA BLASUTTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELENTANO CARMELO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato SALVATORE FLORIO;

udito l’Avvocato MASSIMO COMPAGNINO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Milano, con sentenza n. 537 del 16 marzo 2018, rigettava il reclamo della soc. Unicredit s.p.a. avverso la sentenza che aveva ritenuto ritorsivo il licenziamento intimato al dirigente P.R. il 21 settembre 2016 e aveva ordinato la reintegra del ricorrente nel posto di lavoro.

2. La tesi difensiva della Banca si fondava, in sintesi, sui seguenti argomenti. L’intenzione di sopprimere una posizione dirigenziale con l’offerta di riassumere il ricorrente nel livello di quadro direttivo costituiva una condizione di miglior favore, coerente con quanto previsto nell’Accordo Sindacale dell’8 marzo 2016, e non poteva integrare un’ipotesi di motivo illecito. Il predetto Accordo non era inserito in una procedura di licenziamento collettivo, ma aveva il fine dichiarato di prevenire licenziamenti individuali e collettivi; nè sussisteva il presupposto del requisito numerico di cui alla L. n. 223 del 1991, trattandosi della riduzione delle posizioni dirigenziali da quindici a quattordici unità. La circostanza, valorizzata dal giudice di primo grado, relativa all’avvenuto raggiungimento, alla data di intimazione del recesso, del numero programmato per la chiusura di posizioni dirigenziali previsto dall’Accordo sindacale, pari a n. 470 unità, avrebbe, al più, potuto comportare il riconoscimento al reclamato del diritto all’indennità supplementare, ma non poteva consentire di qualificare come ritorsivo il recesso. Era erroneo desumere l’intento ritorsivo dal rifiuto del dipendente di acconsentire alla novazione del rapporto nel rispetto del predetto Accordo Sindacale.

3. La Corte di appello rigettava il reclamo, osservando che contrastava con la causale del licenziamento addotta dall’azienda l’offerta, rivolta al P., di svolgere il “medesimo lavoro, ovvero le medesime mansioni nella medesima città – (OMISSIS) – in cui lavorava con l’inquadramento come quadro QD4”. Il recesso era stato intimato cinque giorni dopo che il reclamato aveva rifiutato la predetta offerta chiedendo, in replica alla proposta la società, che gli fosse assicurato il regime di tutela reale. Da tale successione degli eventi poteva evincersi che il recesso era stato intimato per rappresaglia al comportamento del P. che, a differenza di altri dirigenti, non aveva accettato la degradazione della categoria. Inoltre, al momento del licenziamento, il numero dei dirigenti eccedenti, indicato nell’accordo sindacale richiamato dall’appellante, era stato già raggiunto, circostanza allegata dal lavoratore e mai contestata in giudizio dalla società. Infine, a differenza di quanto sostenuto nell’atto di gravame, il declassamento con riassunzione di n. 175 dirigenti non era previsto tra le clausole dell’Accordo sindacale sopra citato.

4. Alla stregua di tali elementi la Corte d’appello riteneva di confermare il carattere ritorsivo del licenziamento, con conseguente nullità dello stesso e applicazione della tutela reintegratoria.

5. Per la cassazione di tale sentenza Unicredit s.p.a. ha proposto ricorso affidato a quattro motivi, cui ha resistito il P. con controricorso.

6. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 1, e dell’art. 1345 c.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), nonchè violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) per non avere la sentenza ritenuto legittimo il licenziamento a fronte della circostanza, pacifica in giudizio, della soppressione della posizione lavorativa occupata dal ricorrente, in quanto gli addetti all’Unit ITFS passarono da quindici a quattordici unità e nessuno fu collocato al posto del P., e per avere omesso di considerare che la proposta formulata al ricorrente non avrebbe sottratto alcuna tutela rispetto al precedente regime, poichè il P., quale dirigente, era privo di stabilità reale.

2. Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 1, nonchè violazione e falsa applicazione dell’art. 2118 c.c. e dell’art. 1345c.c. nonchè dell’art. 28 c.c.n.l. Dirigenti Aziende di Credito.

Si sostiene che il rifiuto di una soluzione conciliativa non può comportare, in sè, la nullità del provvedimento aziendale, poichè nulla impediva alla Banca di sopprimere la posizione dirigenziale in forza del legittimo interesse di non sostenere costi eccessivi e questo non costituiva una ritorsione rispetto alla mancata accettazione della proposta medesima.

Con tale motivo si ribadisce la legittimità del licenziamento con preavviso e si rileva che, stante l’assenza del motivo ritorsivo, ove il recesso fosse stato ritenuto non giustificato, lo stesso avrebbe potuto al più comportare il riconoscimento dell’indennità supplementare prevista dall’art. 28 c.c.n.l. dirigenti del settore del credito.

3. Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 1 e dell’art. 1345 c.c. per avere la Corte di appello ritenuto che, in base al solo elemento della sequenza temporale tra trattativa conciliativa e licenziamento, potesse ritenersi sussistente l’unico e illecito motivo del negozio ovvero una ritorsione rilevante L. n. 300 del 1970, ex art. 18, comma 1, come novellato dalla L. n. 92 del 2012.

Si sostiene l’illogicità di ritenere che il rifiuto del lavoratore possa rendere ritorsivo un recesso intimato dopo la proposta conciliativa, coerente con quanto previsto dall’Accordo sindacale. La medesima proposta era stata offerta anche a numerosi altri dirigenti che, diversamente dal P., l’avevano accettata; essa doveva considerarsi di maggior favore rispetto alla soppressione pura e semplice della posizione dirigenziale in atto.

4. Con il quarto motivo di ricorso, denunciando violazione e falsa applicazione del combinato disposto di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 1 e degli artt. 1345 e 2729 c.c. e dell’art. 116 c.p.c., si ribadisce che nessuna delle circostanze valorizzate dal giudice di appello, da sola o in concorso con le altre, era idonea a fondare un valido ragionamento presuntivo, atto a dimostrare il presunto carattere ritorsivo.

5. I motivi di ricorso sono tra loro connessi e possono quindi essere esaminati congiuntamente. Il ricorso merita accoglimento per le ragioni che seguono.

6. Va premesso che la L. n. 92 del 2012, nel riformulare l’art. 18 Stat. lav., ha espressamente esteso ai dirigenti la tutela reintegratoria in caso di licenziamento nullo per le ipotesi ivi previste, tra le quali anche quella del motivo ritorsivo.

Secondo l’orientamento interpretativo di questa Corte, in caso di licenziamento nullo perchè ritorsivo, il motivo illecito addotto ex art. 1345 c.c. deve essere determinante, cioè costituire l’unica effettiva ragione di recesso, ed esclusivo, nel senso che il motivo lecito formalmente addotto risulti insussistente nel riscontro giudiziale.

Questa Corte ha avuto modo di chiarire che, per accordare la tutela prevista per il licenziamento nullo di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 1 come novellato dalla L. n. 92 del 2012, perchè adottato per motivo illecito determinante ex art. 1345 c.c., occorre che il provvedimento espulsivo sia stato determinato esclusivamente da esso, per cui la nullità deve essere esclusa se con lo stesso concorra un motivo lecito. Il motivo illecito può ritenersi esclusivo e determinante quando il licenziamento non sarebbe stato intimato se esso non ci fosse stato, e quindi deve costituire l’unica effettiva ragione del recesso, indipendentemente dal motivo formalmente addotto.

L’onere della prova del carattere ritorsivo nel provvedimento adottato dal datore di lavoro grava sul lavoratore e può essere assolto con la dimostrazione di elementi specifici tali da far ritenere con sufficiente certezza l’intento di rappresaglia, dovendo tale intento aver avuto efficacia determinativa esclusiva della volontà del datore di lavoro (cfr. Cass. nn. 10047 del 2004, 18283 del 2010).

Dunque, in ipotesi di domanda proposta dal lavoratore che deduca la nullità del licenziamento per il suo carattere ritorsivo, la verifica di fatti allegati dal lavoratore richiede il previo accertamento della insussistenza della causale posta a fondamento del recesso, che risulti solo allegata dal datore, ma non provata in giudizio, poichè la nullità per motivo illecito ex art. 1345 c.c. richiede che questo abbia carattere determinante e che il motivo addotto a sostegno del licenziamento sia solo formale e apparente (Cass. n. 9468 del 2019).

7. Nel caso in esame, l’intero accertamento di merito muove da una premessa metodologica errata, ossia che nel contesto degli accertamenti demandati al giudice di merito, occorresse innanzitutto valutare il rifiuto della proposta di conciliazione. Alla luce di tale elemento di fatto, valutato con priorità logica, è stata sostanzialmente ritenuta recessiva la valutazione della sussistenza o meno della giustificatezza del licenziamento del dirigente. In tal modo, tuttavia, si è omessa la ricerca della effettività della ragione giustificativa del licenziamento, che costituisce un passaggio logico-giuridico prioritario, tanto più nel regime di tutela introdotto dalla c.d. riforma Fornero.

8. Va pure ricordato che nell’ipotesi di licenziamento individuale del dirigente d’azienda, cui, ai sensi della L. n. 604 del 1966, art. 10 non trova applicazione la disciplina limitativa dei licenziamenti, la nozione di giustificatezza del recesso si discosta da quella di giustificato motivo ed è ravvisabile ove sussista l’esigenza, economicamente apprezzabile in termini di risparmio, della soppressione della figura dirigenziale in attuazione di un riassetto societario e non emerga, in base ad elementi oggettivi, la natura discriminatoria o contraria a buona fede della riorganizzazione; il giudice deve limitarsi al controllo sull’effettività delle scelte imprenditoriali poste a base del licenziamento, non potendo sindacare il merito di tali scelte, garantite dal precetto di cui all’art. 41 Cost. (Cass. n. 9665 del 2019). E’ stato pure osservato che il licenziamento individuale del dirigente d’azienda può fondarsi su ragioni oggettive concernenti esigenze di riorganizzazione aziendale, che non debbono necessariamente coincidere con l’impossibilità della continuazione del rapporto o con una situazione di crisi tale da rendere particolarmente onerosa detta continuazione, dato che il principio di correttezza e buona fede, che costituisce il parametro su cui misurare la legittimità del licenziamento, deve essere coordinato con la libertà di iniziativa economica, garantita dall’art. 41 Cost. (Cass. n. 12668 del 2016).

9. In proposito, è stato omesso dal giudice di merito il riscontro di effettività delle ragioni addotte nell’atto di recesso, poichè solo ove risultasse “ingiustificato” il licenziamento in relazione alle ragioni addotte a suo fondamento, verrebbe in rilievo l’ulteriore accertamento della sussistenza del motivo illecito determinante, elemento costitutivo della domanda volta ad ottenere il riconoscimento della tutela reintegratoria in luogo di quella indennitaria di fonte contrattuale.

10. Il Giudice di merito è incorso nell’errore di omettere la prima imprescindibile fase di accertamento e di sovrapporre i piani della verifica giudiziale. Ha identificato la non effettività della soppressione della posizione organizzativa dirigenziale nel fatto che la proposta conciliativa avrebbe collocato il P. che la occupava in una posizione di quadro direttivo. Tuttavia, mantenere o istituire un posto organizzativo di quadro direttivo cui assegnare il dipendente non equivale, di per sè, a ritenere non effettiva la soppressione della posizione dirigenziale già occupata dal medesimo lavoratore.

11. La sentenza impugnata va dunque cassata per un nuovo esame del merito che, nel rivalutare gli elementi acquisiti al giudizio, compreso il contenuto dell’Accordo sindacale più volte citato, si attenga ai principi di diritto di cui alle sentenze di questa Corte sopra richiamate.

12. Si designa quale giudice di rinvio la Corte di appello di Milano, in diversa composizione, che provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Milano in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 10 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 dicembre 2019

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