Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31522 del 05/12/2018

Cassazione civile sez. VI, 05/12/2018, (ud. 25/09/2018, dep. 05/12/2018), n.31522

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15820-2017 proposto da:

CONSORZIO DI BONIFICA N.8 DI RAGUSA, in persona del Commissario

Straordinario pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

GIOVANNI AURISPA 10, presso lo studio dell’avvocato ANDREA CORVO,

rappresentato e difeso dall’avvocato GUGLIELMO RUSTICO;

– ricorrente –

contro

C.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GARIGLIANO

11, presso lo studio dell’avvocato SIMONA SERAFINI, rappresentato e

difeso dall’avvocato GIUSEPPE DIMARTINO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1379/2016 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 27/12/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 25/09/2018 dal Consigliere Dott. FRANCESCA SPENA.

Fatto

RILEVATO

che con sentenza del 15 – 27 dicembre 2016 n. 1379 la Corte d’Appello di Catania, per quanto ancora in discussione, confermava la sentenza del Tribunale di Trapani nella parte in cui aveva dichiarato la nullità del termine apposto al contratto di lavoro intercorso dal 3 novembre 1999 tra C.S. ed il CONSORZIO DI BONIFICA NUMERO 8 DI RAGUSA (in prosieguo: CONSORZIO DI BONIFICA); riformava la sentenza nella parte in cui aveva escluso la natura a tempo indeterminato del rapporto di lavoro alla luce della normativa regionale e, per l’effetto, dichiarava il rapporto a tempo indeterminato dal 3 novembre 1999 e condannava il consorzio al risarcimento del danno, nella misura di tre mensilità della retribuzione globale di fatto;

che a fondamento della decisione la Corte territoriale osservava che correttamente il Tribunale aveva ritenuto applicabile ai rapporti di lavoro costituiti dagli enti consortili di bonifica siciliani, enti pubblici economici, la disciplina prevista per i rapporti di lavoro di diritto privato, non essendo applicabile, invece, la previsione del D.L. n. 165 del 2001, art. 36, in quanto gli enti pubblici economici non rientravano tra le amministrazioni pubbliche individuate dal predetto D.L., art. 1, comma 2.

La conversione del contratto avrebbe potuto essere preclusa da una specifica disciplina legislativa che avesse imposto per le assunzioni a tempo indeterminato l’espletamento di un concorso o dì una prova selettiva pubblica. La normativa regionale, tuttavia, come ricostruita dalle Sezioni unite della Corte di Cassazione nell’arresto del 9 marzo 2015 n. (OMISSIS), per i contratti stipulati nel periodo di vigenza della L.R. 19 agosto 1999 n. 18 (e fino all’entrata in vigore della successiva L.R. 5 novembre 2004 n. 15) non prevedeva l’obbligo del concorso in relazione agli enti pubblici economici dipendenti o vigilati dalla Regione e dagli enti locali.

La nullità del termine andava dichiarata già rispetto al primo dei contratti successivi intercorsi tra le parti, relativo al periodo 3 novembre 1999 – 25 gennaio 2000, concluso per una qualifica di operaio comune e per lo svolgimento di lavori di manutenzione ordinaria alle opere pubbliche di bonifica.

Tale contratto, regolato ratione temporis dalla L. n. 232 del 1962, faceva riferimento genericamente a lavori di manutenzione ordinaria. Il Consorzio non aveva prodotto la delibera (nr. 343 del 1999) dalla quale ricavare le ragioni della assunzione, neanche specificate in giudizio.

La manutenzione delle opere di bonifica rappresentava la normale attività del consorzio e quest’ultimo non aveva chiarito nè dimostrato incrementi dell’attività produttiva in dipendenza di esigenze particolari, dovendo anche considerarsi che i successivi contratti intercorsi tra le parti coprivano pressochè tutti i periodi dell’anno solare, oltre gli stessi limiti concettuali di stagione. Nessun elemento di prova era stato offerto dal consorzio circa l’esistenza effettiva al tempo dell’assunzione di esigenze eccezionali e/o stagionali, solo genericamente dedotte;

che avverso la sentenza ha proposto ricorso il CONSORZIO DI BONIFICA, articolato in quattro motivi, cui ha opposto difese con controricorso C.S.;

che la proposta del relatore è stata comunicata alle parti- unitamente al decreto di fissazione dell’udienza – ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.;

che le parti hanno depositato memoria

Diritto

CONSIDERATO

che il CONSORZIO DI BONIFICA ricorrente ha dedotto:

– con il primo motivo: violazione dell’art. 434 c.p.c., comma1, per non avere il giudice dell’appello accolto la eccezione di inammissibilità dell’appello del C.. Con il motivo si assume che nell’atto di impugnazione non si indicavano: le parti del provvedimento oggetto di appello, le modifiche da apportare alla ricostruzione del fatto, il rapporto tra la violazione di legge ed il pregiudizio lamentato;

– con il secondo motivo: violazione della L. n. 230 del 1962, della L.n. 56 del 1987, art. 23, del C.C.N.L., degli artt. 2 e 121, nonchè omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio ed oggetto di discussione tra le parti. Con il motivo si censura la statuizione di nullità del termine assumendosi che il contratto rispettava i requisiti di forma e di sostanza previsti dalla L. n. 230 del 1962 e che era stato stipulato per l’assunzione di un operaio avventizio, fattispecie, quest’ultima, di legittima apposizione del termine, in quanto contemplata dalla contrattazione di settore, ai sensi della L. n. 56 del 1987, art. 23.

In particolare, il C.C.N.L. per i dipendenti dei consorzi di bonifica e di miglioramento fondiario, artt. 2 e 121 – tanto nella formulazione vigente dall’ 1 gennaio 2000 31 dicembre 2003 che nella formulazione anteriore, di cui al C.C.N.L. 6 marzo 1996 – prevedevano che i dipendenti dei consorzi di bonifica, degli enti consortili similari di diritto pubblico e dei consorzi di miglioramento fondiario erano assunti con rapporti di lavoro a tempo indeterminato, con esclusione degli operai avventizi, questi ultimi assunti con rapporto a tempo determinato, secondo la disciplina contenuta nel medesimo contratto collettivo. Tale ipotesi di legittima apposizione del termine era ribadita dall’art. 121 del contratto, a tenore del quale rientravano nella categoria degli operai avventizi i lavoratori “addetti ai lavori stagionali di manutenzione ed esercizio delle opere e degli impianti consorziali (taglio delle erbe, sia acquatiche che di sponda, diserbo e spurgo dei canali, irrigazione, riordino delle scoline) nonchè gli operai avventizi addetti alle opere eseguite in amministrazione diretta”. Il C. aveva svolto la propria attività lavorativa come operaio avventizio ed aveva espletato le mansioni tipiche di tali operai, come pacifico tra le parti di causa. Il fatto che il C. fosse un operaio avventizio, del tutto ignorato dalla Corte di merito, costituiva una circostanza decisiva del giudizio.

– con il terzo motivo: violazione della L.R. SICILIA n. 49 del 1981, art. 3, della L.R. SICILIA n. 14 del 1958, artt. 6, 7 e 9, della L.R. SICILIA n. 12 del 1991, art. 3 nonchè dell’art. 97 Cost.. Con il motivo si contesta l’accertamento in sentenza della natura a tempo indeterminato del rapporto di lavoro, assumendosi la contrarietà del decisum alla normativa regionale ed all’art. 97 Cost..

– con il quarto motivo si chiede la cassazione della statuizione sul risarcimento del danno per effetto della cassazione della pronuncia di accertamento della nullità del termine;

che ritiene il Collegio si debba respingere il ricorso;

che invero:

– quanto alla dedotta violazione dell’art. 434 c.p.c., le Sezioni Unite di questa Corte, con l’arresto del 16/11/2017 n. (OMISSIS), hanno chiarito che gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal D.L. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla L. n. 134 del 2012, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativi che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di “revisio prioris instantiae” del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata. Dalla esposizione dei motivi di appello svolta nella sentenza impugnata risulta che nel proprio gravame il lavoratore aveva individuato tanto i punti della sentenza di primo grado impugnati (il diniego di conversione del contratto a termine nullo) che le ragioni di contestazione (opponendo alla necessità del pubblico concorso affermata dal Tribunale la deduzione che tale obbligo era escluso per le qualifiche richiedenti, come nella fattispecie di causa, un titolo di studio non superiore alla scuola dell’obbligo); il Collegio d’appello nell’esaminare il merito delle censure non è dunque incorso nel denunziato vizio processuale;

– il secondo motivo, con il quale si impugna la statuizione di nullità del termine, è parimenti infondato. Il Consorzio ha dedotto, anche in memoria, che la assunzione era stata operata ai sensi della L. n. 56 del 1987, art. 23, applicabile ratione temporis, in combinazione con il C.C.N.L., gennaio 2000/dicembre 2003, art. 121 – (che conteneva le medesime disposizioni del precedente C.C.N.L. 6 marzo 1996) – a tenore dei quali era consentita la assunzione a termine degli operai avventizi. Ha esposto che il lavoratore era stato assunto come “operaio avventizio”, secondo la definizione dell’art. 121 del C.C.N.L.: ” addetti ai lavori stagionali di manutenzione ed esercizio delle opere e degli impianti consorziali (taglio delle erbe, sia acquatiche che di sponda, diserbo e spurgo dei canali, irrigazione, riordino delle scoline, ecc.) nonchè gli operai avventizi addetti alla esecuzione delle opere eseguite in amministrazione diretta”. Il fatto era pacifico – giacchè nel ricorso introduttivo il lavoratore allegava che il primo contratto aveva ad oggetto “la pulizia di canali di scolo, sfalciatura di erba ed, in generale, lavori idraulico forestali”- e, comunque, risultava dal rinvio contenuto nel contratto individuale alle norme del CCNL sugli operai avventizi

Tali difese sono, tuttavia, in contrasto con l’accertamento compiuto nella sentenza impugnata, dalla quale risulta: che il contratto in contestazione veniva concluso “per lo svolgimento di lavori di manutenzione ordinaria alle OO.PP. di bonifica esercizio 1999- stralcio 2 (sfalcio erbe, pulitura pozzetti e sifoni, pulitura grate, ecc)…”; che il Consorzio non aveva specificato in giudizio le concrete ragioni della assunzione nè le aveva provate; che neppure aveva prodotto la delibera (n. 343 del 1999) a base della assunzione (pagina 7 della sentenza); che nessun elemento di prova era stato offerto circa la esistenza al tempo della assunzione di esigenze eccezionali e/o stagionali, genericamente dedotte (pagina 8, secondo capoverso)

Il Collegio ha dunque escluso che ricorresse la prova del carattere “stagionale” dei lavori di manutenzione ed esercizio delle opere consortili, stagionalità richiesta dal C.C.N.L., art. 121, per la definizione dell’operaio avventizio; tale accertamento di fatto non è sindacabile in questa sede con la deduzione di un vizio di motivazione, stante la applicabilità nella fattispecie di causa dell’art. 348 ter c.p.c., comma 4 e 5, e la pronuncia conforme su tale punto di fatto resa nei due gradi di merito.

Ne deriva la infondatezza della questione di diritto posta con il motivo, avendo la sentenza escluso in fatto la sussistenza della fattispecie di assunzione a termine contemplata nel contratto collettivo.

– quanto al terzo motivo, il giudice dell’appello ha correttamente applicato il principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite di questa Corte nell’arresto del 9 marzo 2015 nr. (OMISSIS), secondo cui nelle fattispecie disciplinate ratione temporis dalla L.R. SICILIA 19 agosto 1999, n. 18 (e fino alla entrata in vigore della L.R. 5 novembre 2004, n. 15) nel caso di declaratoria di nullità del termine apposto al contratto di lavoro di un dipendente di un ente pubblico economico regionale, anche se sottoposto a tutela o vigilanza della Regione, l’instaurazione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato non è condizionata dall’obbligo di espletamento di un pubblico concorso o di una procedura selettiva.

Nel citato arresto le Sezioni Unite, esaminata la normativa sul reclutamento del personale della amministrazione regionale siciliana e di tutti gli altri enti, territoriali e non, economici e non, previsti dalla L. 30 aprile 1991, n. 12, art. 1, ha affermato che dalla entrata in vigore della L.R. 19 agosto 1999, n. 18 (che aggiungeva nel corpo del suddetto art. 1 il comma 1 bIs) era venuto meno ogni requisito di concorsualità per la assunzione da parte degli enti pubblici economici- dipendenti o sottoposti al controllo, tutela e vigilanza della Regione o degli enti locali territoriale ed istituzionali- del personale da inquadrare in qualifiche o profili professionali richiedenti il possesso del titolo di studio non superiore a quello della scuola dell’obbligo. Lo strumento concorsuale veniva poi reintrodotto dalla L.R. 5 novembre 2004, n. 15, art. 49.

Tale principio è stato correttamente applicato nella sentenza impugnata, in quanto il contratto di assunzione a termine veniva stipulato in vigenza della L.R. n. 18 del 1999 e prima della entrata in vigore della L.R. n. 15 del 2004. Il ricorso contesta tale interpretazione della normativa regionale senza offrire elementi meritevoli di un nuovo esame delle Sezioni Unite (la salvezza, nel testo del citato comma 1 bis, dell’obbligo concorsuale di cui alla L. n. 12 del 1991, art. 3, si riferiva, come già chiarito dalle Sezioni Unite nell’arresto di cui trattasi, ai posti per i quali l’accesso prevedeva un titolo di studio superiore a quello della scuola dell’obbligo);

– il quarto motivo è inammissibile, in quanto non contiene autonome ragioni di censura;

che, pertanto, il ricorso deve essere definito con ordinanza in camera di consiglio ex art. 375 c.p.c., in conformità alla proposta del relatore;

che le spese di causa, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;

che, trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012 art. 1, comma 17 (che ha aggiunto al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, il comma 1 quater), – della sussistenza dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 200 per spese ed Euro 3.500 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 25 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 5 dicembre 2018

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