Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31522 del 03/12/2019

Cassazione civile sez. lav., 03/12/2019, (ud. 26/09/2019, dep. 03/12/2019), n.31522

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – rel. Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 592/2018 proposto da:

G.S. S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA DEL POPOLO 18, presso lo

studio degli Avvocati NUNZIO RIZZO e PIERLUIGI RIZZO che la

rappresentano e difendono, anche separatamente, in virtù di delega

in atti.

– ricorrente –

contro

C.T., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BUCCARI 3,

presso MARIA TERESA ACONE, rappresentato e difeso dagli Avvocati

DANIELA PETITTO e MODESTINO ACONE in virtù di delega in atti.

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2386/2017 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 30/08/2017 R.G.N. 883/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/09/2019 dal Consigliere Dott. GUGLIELMO CINQUE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per inammissibilità, in

subordine rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato NUNZIO RIZZO;

udito l’Avvocato DANIELA PETITTO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Avellino, con la pronuncia del 5.3.2015, in parziale accoglimento della domanda proposta da C.T. nei confronti della GS spa, ha dichiarato illegittimo il licenziamento a questi intimato con lettera del 20.9.2011 e, per l’effetto, ha ordinato alla società di reintegrare il dipendente nel posto di lavoro precedentemente occupato, con condanna al pagamento di una indennità pari alle retribuzioni di fatto non godute dalla data del licenziamento fino alla reintegra.

2. Il provvedimento di recesso era stato adottato in quanto per il C., rappresentante sindacale, non era intervenuto il nulla-osta del sindacato UIL TUCS – UIL per il trasferimento disposto presso la sede di Salerno e nella impossibilità di assegnargli una sede lavorativa equivalente come Responsabile di Supermercato.

3. Con altra pronuncia del 26.9.2014 lo stesso Tribunale ha dichiarato la illegittimità dell’assegnazione a mansioni inferiori disposta dalla GS spa nei confronti di C. con decorrenza 1.10.2008 e ha condannato la società a risarcire il danno patrimoniale liquidato in Euro 85.000,00 nonchè quello biologico quantificato in Euro 14.429,00, oltre accessori.

4. Il demansionamento era ravvisabile, secondo il giudice di prime cure, nel fatto che il C., Quadro e già Responsabile della Sicurezza nella “Macro Regione Sud” con competenza su Supermercati ed Ipermercati, era stato, poi, trasferito al punto vendita di Avellino in affiancamento ad un responsabile di supermercato e dall’ottobre 2008 con la qualifica di “allievo per responsabile mercato”, di talchè era stata ritenuta l’eterogeneità delle mansioni assegnate e la perdita della pregressa professionalità.

5. Impugnate entrambe le sentenze sia dalla società che dal lavoratore e riuniti i giudizi, la Corte di appello di Napoli, con la pronuncia n. 2386/2017, ha rigettato tutti i gravami, condannando la società al pagamento di due terzi delle spese del grado, compensando la residua parte.

6. Avverso la decisione di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione la GS spa affidato a cinque motivi, cui ha resistito con controricorso C.T..

7. Le parti hanno depositato memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I motivi possono essere così sintetizzati.

2. Con il primo motivo la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1219, 1324, 1326 e 2943, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Si sostiene che erroneamente la Corte territoriale aveva ritenuto necessaria la produzione in giudizio delle ricevute attestanti la ricezione, da parte del C., delle missive con le quali si chiedeva al sindacato (e inviate per conoscenza al C. stesso) di cui il lavoratore era dipendente, il nulla-osta per il trasferimento alla Direzione del Supermercato di Salerno, quando invece per gli atti stragiudiziali di messa in mora (quali quelli in esame) era sufficiente dimostrare l’inoltro mentre spettava al destinatario l’onere di provare che il plico non contenesse alcuna lettera al suo interno.

3. Con il secondo motivo la società censura la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per omessa motivazione sul fatto, prospettato e discusso in primo grado, afferente la conoscenza da parte del C. della richiesta di nullaosta, anche per la pacifica ricezione della nota del 28.7.2011 in data 29.7.2011 e di quella del 25.8.2011 in data 31.8.2011, per non avere la Corte di merito considerato e, conseguentemente, motivato sul fatto che, con il ricorso in appello era stato allegato ed anche dimostrato, mediante il richiamo della produzione documentale di 1 grado, che le ricevute di ritorno delle missive, con cui si chiedeva al sindacato il rilascio del nullaosta – inviate, altresì per conoscenza al C. – erano state da questo conosciute unitamente al successivo diniego del nulla-osta stesso.

4. Con il terzo motivo si eccepisce la violazione e falsa applicazione della L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e l’omessa motivazione su di un fatto, oggetto di discussione in sede di merito e decisivo ai fini di causa, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, per non avere considerato la Corte territoriale il rifiuto del C. all’assegnazione delle mansioni di responsabile di supermercato, ritenuto dequalificante, tanto è che aveva proposto un giudizio di demansionamento, nonchè il dato essenziale che il diniego di nulla-osta da parte del Sindacato era assoluto e non relativo al solo Supermercato di Salerno, che era quello più vicino all’abitazione del dipendente, sita nella stessa provincia. Si deduce, poi, che la Corte territoriale erroneamente aveva parificato il licenziamento individuale a quello collettivo, non tenendo conto che, nel trasferimento, le esigenze tecniche, organizzative e produttive andavano considerate in relazione alla sola unità produttiva di destinazione.

5. Con il quarto motivo la GS spa lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2103 c.c. e della L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 e l’omessa motivazione su di un fatto decisivo per la soluzione della controversia. Si rappresenta che la Corte di merito non aveva correttamente valutato che la nuova posizione lavorativa di Responsabile di Mercato avrebbe affidato al lavoratore, a seguito della soppressione del suo posto di lavoro, poteri direttivi congrui alla sua qualifica e formazione nè la Corte stessa aveva considerato che la suddetta posizione di Responsabile di Supermercato era stata attribuita ai fini della conservazione del posto di lavoro.

6. Con il quinto motivo si eccepisce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1223,1225,1226,2697 c.c. e art. 414 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, per avere i giudici di secondo grado confermato la pronuncia di prime cure in ordine alla liquidazione del danno come riconosciuto, pur in assenza di allegazione e prova dello stesso.

7. Il primo motivo non è fondato.

8. E’ vero che l’orientamento di questa Corte (cfr. Cass. n. 8830/2010; Cass. 24.3.2011), in materia di atti stragiudiziali, è nel senso che l’attestazione di spedizione, di un soggetto a ciò tenuto, risulta idonea a ritenere, presuntivamente, provato l’arrivo a destinazione, ma è stato anche precisato (Cass. 19.3.2018 n. 6725; Cass. 11.5.2006 n. 10849) che, in caso di contestazione del destinatario, sorge per il mittente l’onere di provare il ricevimento.

9. Nella fattispecie in esame, come si legge nella gravata sentenza, tale contestazione vi è stata tanto è che in primo grado è stato escusso come teste il segretario generale del sindacato che ha confermato che la richiesta di nulla-osta al trasferimento non era pervenuta al C..

10. In relazione a tale aspetto, quindi, non sono ravvisabili le dedotte violazioni di legge, in tema di presunzione di conoscenza degli atti stragiudiziali, a seguito della produzione in giudizio delle sole ricevute di spedizione e non anche di quelle di ritorno, perchè era stata effettuata una attività istruttoria resasi necessaria a seguito, evidentemente, della contestazione dell’interessato.

11. Diverso, invece, sarebbe stato il profilo della eventuale ammissibilità ed utilizzabilità della produzione delle ricevute di ritorno, avvenuta solo in grado di appello, di cui la Corte territoriale ha dato atto rilevandone in sostanza la tardività.

12. Tale questione, però, non è stata prospettata nè in secondo grado nè con l’odierno ricorso per cassazione e, pertanto, esula dal thema decidendum.

13. Il secondo motivo, collegato al primo, è inammissibile sia perchè il fatto ivi dedotto (conoscenza del C. della richiesta di nulla osta e del successivo diniego) è stato esaminato dalla Corte territoriale (e ciò esclude la ricorrenza del vizio ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – cfr. per tutte Cass. n. 8053 del 2014), sia perchè su tali questioni di fatto si è in presenza di una ipotesi di cd. “doppia conforme” che elimina, ex art. 348 ter c.p.c., u.c., la possibilità che su tale punto possa essere impugnata la sentenza di appello ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

14. Il terzo e quarto motivo, da trattarsi congiuntamente per connessione logico-giuridica, sono in parte inammissibili ed in parte infondati.

15. Invero, le questioni in fatto in essi formulate, relative alle circostanze se la nuova posizione lavorativa di “Responsabile di Mercato” fosse congrua rispetto alle mansioni precedentemente svolte, se detta nuova posizione fosse stata attribuita ai fini della conservazione del posto di lavoro nonchè sulla interpretazione del rifiuto del C., attengono nonostante il rubricato vizio di violazione e falsa interpretazione di legge – ad una contestazione e ad una negata congruità della ricostruzione fornita dalla Corte territoriale del contenuto rappresentativo degli elementi di prova complessivamente acquisiti, dei fatti di causa, dei rapporti tra le parti ritenuti rilevanti e, infine della esegesi del contenuto di documenti, concretanti tutti un accertamento in fatto di esclusiva spettanza del giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità (ex plurimis Cass. 16.12.2011 n. 27197; Cass. 14.11.2013 n. 25608) se condotto, come nel caso di specie, con esatti criteri e senza errori logico-giuridici.

16. Infatti, la Corte territoriale ha precisato che le nuove mansioni affidate al C. costituivano un demansionamento perchè in tutta la carriera lavorativa questi si era sempre occupato di “sicurezza”, avendo come referente il Direttore nazionale della Sicurezza (il quale rispondeva poi all’Amministratore Delegato), gestendo il personale ivi addetto, intrattenendo rapporti con istituti di credito ed interessandosi della progettazione, realizzazione e manutenzione degli impianti tecnologici di sicurezza. Inoltre la Corte di appello ha specificato che in alcun modo la società aveva prospettato al C., nelle note intercorse tra le parti, che la nuova posizione lavorativa fosse l’unica alternativa al licenziamento e che la questione dell’interpretazione doveva ritenersi assorbita dal fatto di non essere stato il lavoratore posto in condizione di assumere qualunque determinazione in ordine al trasferimento per il mancato nulla-osta del sindacato.

17. In ordine, invece, alle questioni di diritto, in particolare alla denunziata parificazione del licenziamento individuale a quello collettivo circa la possibilità di ricollocazione del C. che, secondo la tesi difensiva della società, andava limitata alla sola unità produttiva di destinazione, deve osservarsi che l’assunto della Corte territoriale, secondo cui, invece, era necessaria una prospettazione di collocazione logistica della posizione lavorativa sull’intero territorio nazionale in considerazione delle dimensioni dell’azienda datrice di lavoro, è conforme all’indirizzo di legittimità (Cass. 16.5.2003 n. 7717 e in motivazione Cass. 13.6.2016 n. 12101) secondo cui la dimostrazione di non potere utilizzare il lavoratore deve essere esteso a tutte le sedi della attività aziendale e che l’obbligo di repechage deve essere adempiuto anche con riferimento a posizioni inferiori, ove rientranti nel bagaglio professionale del lavoratore e compatibili con l’assetto organizzativo del datore di lavoro, previa acquisizione del consenso del prestatore (cfr. Cass. n. 22798 del 2016; Cass. n. 618 del 2017).

18. Il quinto motivo è, infine, inammissibile.

19. I giudici del merito hanno ritenuto allegata e provata l’esistenza di un danno al patrimonio professionale del lavoratore, di un danno biologico e di quello patrimoniale derivante dal mancato utilizzo di benefit in precedenza goduti.

20. Si tratta di valutazione, anche in questo caso, sia con riguardo al contenuto e all’ampiezza della domanda sia con riferimento alla idoneità degli elementi di prova, che è assoggettabile al controllo di legittimità limitatamente al sindacato di logicità e congruità della motivazione.

21. Nel caso in esame la Corte territoriale, considerando correttamente proposta la domanda del lavoratore e richiamando, facendole proprie, le argomentazioni del primo giudice, ha ritenuto dimostrate, sulla base delle risultanze istruttorie e della ctu espletata, le componenti del danno non patrimoniale e patrimoniale sopra citato, riconoscendo altresì congrua la liquidazione operata.

22. La richiesta del ricorrente si sostanzia, pertanto, in una istanza di rinnovato esame del materiale probatorio e della sua idoneità a fondare la pretesa, inammissibile in sede di legittimità così come è inammissibile il sindacato sull’esercizio conferito al giudice del merito di liquidare il danno in via equitativa (Cass. n. 5090 del 2016; Cass. n. 24070 del 2017) ove sia indicato il processo logico e valutativo seguito.

23. Alla stregua di quanto esposto il ricorso deve essere rigettato.

24. Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.

25. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie della misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 26 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 dicembre 2019

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