Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3152 del 11/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 11/02/2020, (ud. 03/10/2019, dep. 11/02/2020), n.3152

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4167-2018 proposto da:

P.F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FLAMINIA

362, presso lo studio dell’avvocato FABIO ROCCO, che la rappresenta

e difende;

– ricorrente –

contro

BANCO DI NAPOLI SPA, in persona del Procuratore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE BRUNO BUOZZI 82, presso lo

studio dell’avvocato ANTONELLA IANNOTTA, che la rappresenta e

difende;

– controricorrente –

contro

FALLIMENTO (OMISSIS) SRL;

– intimata –

avverso la sentenza n. 7257/2017 della CORTE. D’APPELLO di ROMA,

depositata il 17/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 03/10/2019 dal Consigliere Relatore

Dott.44/(GABRIELE POSITANO.

Fatto

RILEVATO

che:

P.F. evocava in giudizio il Banco di Napoli S.p.A. ed il fallimento (OMISSIS) per sentir accertare l’esatta consistenza del credito vantato dalla banca e l’inesistenza della garanzia ipotecaria del credito ceduto, con condanna dei convenuti in solido al pagamento della somma di Euro 130.000 a titolo di danno, oltre interessi. Deduceva di avere effettuato, il 18 maggio 2005, un bonifico bancario per tale importo in favore del presidio recupero crediti del Banco di Napoli e che la banca aveva incassato la somma, così accettando la designazione effettuata da parte dell’Immobiliare, originaria cessionaria del credito vantato dalla banca nei confronti del debitore D.C.S.. In precedenza la banca aveva aderito all’offerta di acquisto del credito derivante da un decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Bari, in danno del predetto D.C.. La cessione prevedeva anche il trasferimento delle garanzie che assistevano il credito costituite da una iscrizione ipotecaria su un immobile sito in Roma e dal pignoramento avviato dalla banca e pendente davanti al Tribunale di Roma. La prima garanzia, quelle ipotecaria, era successivamente venuta meno perchè, con sentenza del Tribunale di Roma del 2006, in accoglimento dell’opposizione di terzo, era stato dichiarato illegittimo il pignoramento, con la conseguente cancellazione dell’iscrizione. Tale ultima circostanza non era stata evidenziata dall’istituto di credito in occasione delle trattative per la cessione. Di tale inadempimento della banca era responsabile anche l’Immobiliare, quale cessionaria che, a sua volta aveva ceduto il credito all’attrice, per poi essere dichiarata fallita nel 2007;

si costituiva il Banco di Napoli, chiedendo il rigetto della domanda e sostenendo che non sussisteva un obbligo dell’istituto di credito di comunicare al soggetto designato dal cessionario del credito l’avvenuta contestazione della garanzia ipotecaria. La curatela del fallimento non si costituiva;

il Tribunale con sentenza del 28 giugno 2016 dichiarava improponibili le domande avanzate dall’attrice nei confronti della curatela, rigettava quella proposta nei confronti del Banco di Napoli e compensava le spese;

con atto del 16 settembre 2016 P.F. presentava appello, riproponendo le domande, eccezione e conclusioni formulate in primo grado, ritenendo errata la decisione nella parte in cui il Tribunale aveva escluso la responsabilità contrattuale della banca per mancanza di un titolo sottostante tra le parti. Non si tratterebbe, infatti, di pagamento, qualificabile come adempimento di un obbligo altrui, ma di inadempimento contrattuale con conseguente pregiudizio. Infatti, la banca nell’accettare le somme aveva implicitamente aderito alla designazione effettuata, in favore della P., da parte dell’immobiliare nello stesso modo risultava documentalmente che la banca non aveva comunicato alla P., nè all’immobiliare, l’esistenza di contestazioni da parte di un terzo relativamente al bene ipotecato. Secondo la appellante vi sarebbe stato un arricchimento ingiusto da parte della banca, poichè la garanzia dell’iscrizione ipotecaria sarebbe venuta meno a seguito dell’accoglimento dell’opposizione di terzo. Il rapporto contrattuale sarebbe rinvenibile nella causale del versamento della somma di Euro 130.000 riferita alla “posizione a sofferenza D.C.S.”. Nello stesso modo la decisione sarebbe errata anche sotto i0 profilo dell’esclusione di una responsabilità anche extra contrattuale del Banco di Napoli;

con sentenza del 17 novembre 2017 la Corte d’Appello di Roma rigettava l’impugnazione;

avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione P.F. affidandosi a due motivi. Resiste con controricorso il Banco di Napoli S.p.A. che illustra con memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo si deduce la violazione dell’art. 2043 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, rilevando che, con motivazione sintetica, la Corte d’Appello avrebbe omesso di considerare che l’istituto di credito aveva volontariamente sottaciuto la circostanza fondamentale che un terzo, rivendicando la proprietà del bene ipotecato, aveva proposto opposizione all’esecuzione. Al contrario, la banca avrebbe agito con colpa, incamerando le somme e accettando tacitamente il subentro nella cessione del credito di P.F., in luogo dell’originaria (OMISSIS). Tale circostanza non sarebbe stata comunicata nemmeno a quest’ultima società, col conseguente pregiudizio rappresentato dalla perdita di garanzia rispetto alla cessione;

con il secondo motivo si deduce la violazione dell’art. 1180 ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere i giudici di merito qualificato il versamento della somma in oggetto come pagamento di un debito altrui. Al contrario, poichè la banca aveva accettato il pagamento doveva “per forza di cose” riconoscere il subentro di P.F. nel rapporto di cessione di credito i anche in considerazione della consistenza dell’importo versato da quest’ultima;

preliminarmente, va rilevato che non è in atti la dichiarazione di asseverazione riferita alla notifica della sentenza di che si assume effettuata a mezzo PEC in data 23 novembre 2017. Tale profilo è rilevante perchè, rispetto alla data della pubblicazione della sentenza (17 novembre 2017), il ricorso è stato notificato il 21 gennaio 2018, non rispettando la cd prova di resistenza in quanto la data di notifica del ricorso è successiva al termine di 60 giorni dalla data della pubblicazione della sentenza impugnata. Al riguardo, è stato infatti condivisibilmente affermato che “pur in difetto di produzione di copia autentica della sentenza impugnata e della relata di notificazione della medesima (adempimento prescritto dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2), il ricorso per cassazione deve egualmente ritenersi procedibile ove risulti, dallo stesso, che la sua notificazione si è perfezionata, dal lato del ricorrente, entro il sessantesimo giorno dalla pubblicazione della sentenza, poichè il collegamento tra la data di pubblicazione della sentenza (indicata nel ricorso) e quella della notificazione del ricorso (emergente dalla relata di notificazione dello stesso) assicura comunque lo scopo, cui tende la prescrizione normativa, di consentire al giudice dell’impugnazione, sin dal momento del deposito del ricorso, di accertarne la tempestività in relazione al termine (Cass. n. 13479/2019);

inoltre, poichè una delle parti è rimasta intimata (Fallimento (OMISSIS)), non opera la sanatoria oggetto -da ultimo- della decisione a Sezioni Unite di questa Corte secondo cui il deposito in cancelleria, nel termine di venti giorni dall’ultima notificazione, di copia analogica della decisione impugnata – redatta in formato elettronico e sottoscritta digitalmente, e necessariamente inserita nel fascicolo informatico -, priva di attestazione di conformità del difensore D.L. n. 179 del 2012, ex art. 16 bis, comma 9 bis, convertito dalla L. n. 221 del 2012, oppure con attestazione priva di sottoscrizione autografa, non determina l’improcedibilità del ricorso per cassazione laddove il controricorrente (o uno dei controricorrenti), nel costituirsi (anche tardivamente), depositi a sua volta copia analogica della decisione ritualmente autenticata, ovvero non disconosca la conformità della copia informale all’originale;

al contrario, nell’ipotesi ricorrente nel caso di specie, in cui, una delle controparti sia rimasta soltanto intimata, per evitare di incorrere nella dichiarazione di improcedibilità il ricorrente ha l’onere di depositare l’asseverazione di conformità all’originale della copia analogica, entro l’udienza di discussione o l’adunanza in camera di consiglio (Cass. Sez. U n. 8312 del 25/03/2019, Rv. 653597 – 02). Il ricorso, pertanto, è improcedibile;

a prescindere da ciò, i motivi, strettamente connessi, sono inammissibili poichè non si confrontano con le argomentazioni poste a sostegno della decisione di primo grado e confermate dal giudice di appello, consistendo in una critica alle statuizioni della Corte territoriale non affiancate da una parte argomentativa diretta a contraddire le ragioni adottate dal giudice del merito, risolvendosi, quindi, in una inammissibile prospettazione di una tesi alternativa più favorevole alla posizione della ricorrente. Come già avvenuto in secondo grado (“l’appellante anzichè contrastare i passaggi motivazionali del primo giudice, in sostanza ribadisce la tesi secondo la quale la banca incassando la somma di cui al bonifico effettuato dall’attrice e non restituendo, avrebbe accettato automaticamente la destinazione effettuata a favore della P. da parte dell’Immobiliare”)) parte ricorrente si limita a ribadire la propria tesi, senza dimostrare in quale modo, le affermazioni in diritto, contenute nella pronuncia gravata, debbano ritenersi in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie (Cass., 12 febbraio 2013, n. 3285);

in particolare, la ratio decidendi della decisione impugnata riguardava l’insussistenza di un rapporto contrattuale diretto e di una responsabilità anche extracontrattuale verso il solvens;

al fine di configurare un danno ingiusto non è sufficiente dedurre l’incameramento di una somma che è stata, comunque, qualificata adempimento dell’obbligo del terzo;

quanto al secondo motivo, va aggiunto che la necessità di considerare un subentro, nonostante l’articolata motivazione adottata dalla Corte territoriale per escluderlo, resta una affermazione apodittica;

ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato improcedibile e tanto esime il rilievo dell’inammissibilità; le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza;

va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1- quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

dichiara improcedibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in Euro 7.800,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sesta Sezione Civile-3, il 3 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2020

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