Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31514 del 03/12/2019

Cassazione civile sez. II, 03/12/2019, (ud. 25/06/2019, dep. 03/12/2019), n.31514

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORICCHIO Antonio – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13940/2015 proposto da:

G.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI PORTA

PINCIANA 4, presso lo studio dell’avvocato FABRIZIO IMBARDELLI, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ALESSANDRO

PASQUINI;

– ricorrente –

contro

ETRURIA IN SRL, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DONATELLO 23,

presso lo studio dell’avvocato PIERGIORGIO VILLA, rappresentato e

difeso dagli avvocati FABRIZIO FENCI, MASSIMILIANO GIORGI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 576/2014 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 04/04/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

25/06/2019 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

L’avvocato G.G. propone ricorso articolato in quattro motivi avverso la sentenza n. 576/2014 della Corte d’Appello di Firenze, depositata il 4 aprile 2014.

Resiste con controricorso la Etruria IN s.r.l., che ha anche depositata memorie ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c..

Con citazione del 17 gennaio 2005, l’avvocato G.G. domandò la condanna della convenuta Etruria IN s.r.l. al pagamento della somma di Euro 18.269,78, oltre accessori, a titolo di compenso per attività professionali in sede civile e penale svolte per conto della società. L’adito Tribunale di Pistoia, sezione distaccata di Pescia, con sentenza del 27 marzo 2009, rigettò la domanda per nullità della stessa in relazione all’art. 163 c.p.c., comma 3, nn. 3 e 4. La Corte d’Appello di Firenze, con sentenza del 4 aprile 2014, dopo avere escluso la nullità della domanda (avendo l’attore precisato di aver agito “per conto” ed “a favore” della Etruria IN s.r.l.), osservò che la documentazione prodotta attestasse attività svolte tutte intorno al 1980, e che, a fronte della citazione del 17 maggio 2005, risultava unicamente un’intimazione di pagamento contenuta in raccomandata del 10 agosto 1998. Tale raccomandata consisteva, peraltro, in un sollecito di pagamento di “notule a suo tempo rimesse (che) non sono state ad oggi saldate, senza alcuna specificazione del contenuto di dette notule e della relativa attività professionale”. Della lettera del 30 luglio 1986 la Corte d’Appello evidenziò come si trattasse di una mera velina priva delle date di spedizione e di ricevimento, peraltro generica nella sua intimazione di pagamento. Quanto, infine, alla missiva del 30 ottobre 1990 (proveniente dalla Cartiera Etruria s.r.l. ed indirizzata all’avvocato G.), i giudici di secondo grado affermarono che la stessa era stata prodotta in copia con la prima memoria ex art. 184 c.p.c., copia immediatamente disconosciuta ex art. 2719 c.c., dalla convenuta, mentre l’originale era poi stato esibito tardivamente soltanto alla scadenza del termine per il deposito della comparsa conclusionale in appello.

I. Il primo motivo del ricorso dell’avvocato G.G. deduce la nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1219,1335 c.c. e art. 2943 c.c., comma 4, in relazione alla diffida ad adempiere datata 30 luglio 1986, nonchè per contraddittorietà della motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5.

La censura assume che il fatto che sia stata prodotta soltanto una velina non ha alcun rilievo ai fini della prova della spedizione e della ricezione, potendosi quest’ultima anche presumere, ove sia stata provata la spedizione.

Il motivo è privo di fondamento.

Nel vigore del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), introdotto dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modifiche nella L. 7 agosto 2012, n. 134, non è più configurabile il vizio di contraddittoria motivazione della sentenza, atteso che la norma suddetta attribuisce rilievo solo all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, non potendo neppure ritenersi che il vizio di contraddittoria motivazione sopravviva come ipotesi di nullità della sentenza ai sensi del n. 4) del medesimo art. 360 c.p.c. (Cass. Sez. 6-3, 06/07/2015, n. 13928).

Perchè possa poi presumersi che il destinatario di un atto stragiudiziale di costituzione in mora abbia conosciuto lo stesso, occorre che il mittente dia quanto meno prova della effettiva spedizione di tale atto al corretto indirizzo e che il plico sia effettivamente pervenuto a destinazione, in quanto il principio di presunzione di conoscenza, posto dall’art. 1335 c.c., rimane integrato solo in conseguenza del fatto oggettivo dell’arrivo dell’atto nel luogo di destinazione (arg. da Cass. Sez. 6-3, 19/03/2018, n. 6725; Cass. Sez. 1, 19/10/2017, n. 24703). Il ricorrente, con le considerazioni svolte nel primo motivo, intende inammissibilmente attivare la presunzione dell’arrivo dell’atto al destinatario e della sua conoscenza ai sensi dell’art. 1335 c.c., sulla presunzione semplice dell’avvenuta spedizione della diffida del 30 luglio 1986, prodotta in velina, invitando questa Corte ad un’operazione di inferenza logica contrapposta al ragionamento seguito dai giudici del merito e comunque del tutto estranea all’ambito del giudizio di legittimità.

II. Il secondo motivo del ricorso dell’avvocato G.G. deduce la nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1219 c.c. e art. 2943 c.c., comma 4, in relazione alle diffide ad adempiere datate 30 luglio 1986 e 10 agosto 1998.

Sul punto, la controricorrente invoca l’inosservanza dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6.

Effettivamente, il secondo motivo di ricorso intende dolersi dell’erronea valutazione delle diffide ad adempiere del 1986 e del 1998, ma non rispetta l’onere – imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) – di indicare in quale fase processuale ed in quale fascicolo di parte si trovino i documenti in questione, e (soprattutto quanto al secondo) di specificarne il contenuto (trascrivendoli nei passi salienti o riassumendoli nella censura).

Peraltro, la Corte d’Appello ha negato efficacia interruttiva della prescrizione alle diffide ad adempiere datate 30 luglio 1986 e 10 agosto 1998, in quanto prive dell’esplicito riferimento alle attività professionali documentate dalle notule richiamate. La Corte d’Appello di Firenze, smentendo la natura di costituzione in mora di tali missive, si è uniformata al consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui l’atto di costituzione in mora di cui all’art. 1219 c.c., rientrante fra gli atti interruttivi della prescrizione, a norma dell’art. 2943 c.c., comma 4, non è soggetto a rigore di forme, all’infuori della scrittura, e quindi non richiede l’uso di formule solenni nè l’osservanza di particolari adempimenti, occorrendo, però, che il creditore manifesti chiaramente, con un qualsiasi scritto diretto al debitore e portato comunque a sua conoscenza, la volontà di ottenere il soddisfacimento del proprio diritto. L’accertamento compiuto al riguardo dal giudice del merito costituisce, in ogni caso, indagine di fatto ed è, perciò, incensurabile in sede di legittimità, se immune da vizi logici (Cass. Sez. 2, 05/02/2007, n. 2481; Cass. Sez. 2, 04/05/2006, n. 10270).

Sulla base dei richiamati principi, allora, un atto, per valere come costituzione in mora – interruttivo, aì sensi dell’art. 2943 c.c., comma 4, della prescrizione -, deve contenere, oltre alla chiara indicazione del soggetto obbligato (elemento soggettivo), altresì l’esplicitazione di una pretesa e l’intimazione o la richiesta scritta di adempimento, idonea a manifestare l’inequivocabile volontà del titolare del credito di ottenere il soddisfacimento del proprio diritto nei confronti del soggetto indicato, mediante chiara indicazione del titolo dell’obbligazione, ovvero del fatto costitutivo del diritto azionato (elemento oggettivo). Ne consegue che coerentemente il giudice di merito nega la ravvisabilità della costituzione in mora in presenza, come nella specie, di semplici sollecitazioni prive di carattere di intimazione e di espressa richiesta di adempimento al debitore, non corredate dall’ammontare delle somme dovute o dal titolo di esse, con cui si fa generico rinvio a “notule a suo tempo rimesse” o “in sospeso” (cfr. Cass. Sez. 3, 12/02/2010, n. 3371; Cass. Sez. 6-1, 14/06/2018, n. 15714).

III. Il terzo motivo del ricorso dell’avvocato G.G. deduce la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 2719 c.c. e artt. 214 e 215 c.p.c., nonchè per insufficiente e contraddittoria motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5. Il ricorrente assume che l’eccezione di non conformità all’originale della copia della lettera del 30 ottobre 1990, formulata dalla controparte, non valesse come utile disconoscimento, ferma peraltro l’efficacia probatoria del documento disconosciuto, da intendere quale atto interruttivo della prescrizione.

Il quarto motivo denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1998 c.c. e art. 2943 c.c., comma 4, in relazione al riconoscimento di debito contenuto nella stessa lettera del 30 ottobre 1990.

Il terzo e quarto motivo di ricorso sono da esaminare congiuntamente, giacchè connessi, rivelandosi il primo infondato ed il secondo inammissibile.

Lo stesso ricorrente espone che nella seconda memoria ex art. 184 c.p.c., la convenuta Etruria IN s.r.l., con riguardo alla copia della lettera del 30 ottobre 1990 (proveniente dalla Cartiera Etruria s.r.l. ed indirizzata all’avvocato G.), avesse chiesto “l’esibizione dell’originale disconoscendolo ai sensi dell’art. 2719 c.c. e art. 214 c.p.c.”.

Il terzo motivo di ricorso rivela, allora, innanzitutto carenza di specificità, ai fini dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 6, limitandosi a censurare una serie di profili che comunque risultano inidonei a determinare la cassazione della sentenza impugnata. Si parla genericamente nel terzo motivo di “lettera” del 30 ottobre 1990, il cui invio deve cioè intendersi avvenuto per posta semplice, non facendosi ricevimento ad una raccomandata, sicchè non opera alcuna presunzione di conformità fra copia nella disponibilità del mittente e missiva ricevuta dal destinatario.

Deve, comunque, considerarsi che, secondo costante orientamento di questa Corte, a norma dell’art. 2719 c.c., qualora venga prodotta in giudizio la copia fotostatica di una scrittura privata, la cui conformità all’originale non sia attestata dal pubblico ufficiale competente, l’efficacia probatoria dell’atto, sia quanto alla fedeltà della riproduzione che quanto alla scrittura ed alla sottoscrizione, e dunque al suo complessivo contenuto, rimane subordinata alla mancanza di uno specifico ed inequivoco disconoscimento operato, a norma degli artt. 214 e 215 c.p.c., nella prima udienza o nella prima risposta successiva alla sua produzione (cfr. le più recenti Cass. Sez. 2, 16/01/2018, n. 882; Cass. Sez. 2, 20/02/2018, n. 4053; Cass. Sez. 6-1, 13/06/2014, n. 13425). A seguito del disconoscimento della fotocopia della scrittura privata, la parte che intende avvalersene è tenuta, quindi, a produrre l’originale (o ad indicare la ragioni per cui non ne sia in possesso) (Cass. Sez. 1, 06/08/2015, n. 16551; Cass. Sez. 3, 30/09/2011, n. 19987). D’altro canto, quando sia espressamente negata la conformità di una copia all’originale, nei tempi e con le modalità disciplinati dagli artt. 214 e 215 c.p.c., pur non avendosi gli stessi effetti del disconoscimento della scrittura privata, rimane comunque impedita l’utilizzazione della copia come immediato mezzo di prova (Cass. Sez. 3, 21/11/2011, n. 24456; Cass. Sez. 3, 21/04/2010, n. 9439; Cass. Sez. 2, 15/05/1987, n. 4479).

Per come interpretato dalla Corte d’Appello di Firenze (in forza di giudizio di fatto sulla deduzione difensiva, insindacabile in sede di legittimità), la convenuta Etruria IN s.r.l., dopo aver lamentato la mancanza in atti della lettera del 30 ottobre 1990, con la memoria di replica ex art. 184 c.p.c., aveva tempestivamente disconosciuto la conformità della copia della stessa scrittura prodotta dall’attore con la prima memoria istruttoria. Neppure con l’atto di appello, ma solo inammisibilmente alla scadenza del termine per il deposito delle conclusionali nel giudizio di secondo grado (e quindi indipendentemente pure dai limiti consentiti dall’art. 345 c.p.c., comma 3, nella formulazione ratione temporis applicabile), il G. produsse poi l’originale del documento.

Rimane inammissibile la censura di insufficiente e contraddittoria motivazione, stante l’applicabilità del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

Del pari inammissibile – per assoluta carenza di riferibilità alla ratio decidendi dell’impugnata sentenza – è la censura contenuta nel quarto motivo, ove si lamenta l’erronea valutazione che la Corte d’Appello abbia espresso con riguardo al riconoscimento di debito contenuto nella lettera del 30 ottobre 1990, laddove, come visto, i giudici di secondo grado hanno in radice negato efficacia probatoria alla copia della scrittura, in quanto disconosciuta, e ritenuto poi tardiva l’esibizione dell’originale.

IV. Conseguono il rigetto del ricorso e la regolazione secondo soccombenza delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo, in favore della controricorrente.

Sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1-quater all’art. 13 del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 3.100,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 25 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 dicembre 2019

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