Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31511 del 03/12/2019

Cassazione civile sez. II, 03/12/2019, (ud. 17/04/2019, dep. 03/12/2019), n.31511

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14145-2015 proposto da:

A.M. e AR.EM. quali eredi legittimi di

A.A., elettivamente domiciliati in Roma, Via Buccari 3, presso lo

studio dell’avvocato Maria Teresa Acone, rappresentati e difesi

dagli avvocati Pasquale Acone e Modestino Acone;

– ricorrenti –

contro

BANCO DI NAPOLI SPA, elettivamente domiciliato in Roma, Via Di Villa

Grazioli 15, presso lo studio dell’avvocato Benedetto Gargani, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Neri Francesco

Papa;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 1840/2014 della Corte d’appello di Napoli,

depositata il 24/04/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/04/2019 dal Consigliere Annamaria Casadonte;

udito il P.M. in persona del Sostituto procuratore generale Patrone

Ignazio che ha concluso per il rigetto del ricorso principale,

assorbito il ricorso incidentale, in quanto sostanzialmente

condizionato;

udito l’Avvocato Pasquale Acone per i ricorrenti che ha concluso come

in atti e l’Avvocato Roberto Catalano per delega dell’Avvocato

Gargano Benedetto per la parte controricorrente.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.Il presente giudizio trae origine dal ricorso notificato il 4/6/2015 da Ar.Em. e da A.M. quali eredi di A.A. nei confronti del Banco di Napoli s.p.a. (d’ora in poi solo Banco) avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli emessa il 24 aprile 2014 con la quale era stato respinto l’appello.

2. Il contenzioso fra le parti riguarda la vendita di alcune unità immobiliari effettuata nel 1983 dalla Casa nel Parco s.p.a. al Banco e per il cui acquisto il Banco aveva versato quasi integralmente il prezzo convenuto (pari a Lire 1.465.731.660) salva la somma di Lire 30.000.000, trattenuta a garanzia della cancellazione dagli immobili dell’iscrizioni ipotecaria per i mutui contratti con il Credito fondiario, e la somma di lire 50.000.000 trattenuta dal Banco fino al rilascio dei certificati di abitabilità da parte del sindaco di Avellino.

3.Verificatesi le due condizioni (cancellazione dell’ipoteca e rilascio dei certificati di abitabilità) il Banco aveva rifiutato il pagamento assumendo la pendenza di una causa introdotta nel 1985 dal medesimo Banco per pretesi danni da infiltrazioni verificatesi sugli immobili acquistati e nell’ambito della quale la convenuta Casa del Parco aveva eccepito la compensazione con il proprio credito di Lire 80.000.000. Successivamente la società Casa nel Parco aveva ceduto il credito pro soluto ad A.A. il quale aveva sollecitato il relativo pagamento.

4. Stante l’esito infruttuoso della richiesta di pagamento, l’ A. con citazione notificata nel 1992 aveva convenuto in giudizio il Banco al fine di conseguirne il pagamento.

5.Il convenuto costituitosi controdeduceva che la Casa nel Parco non aveva consegnato i documenti attestanti il verificarsi delle condizioni cui era subordinato il pagamento di lire 80.000.000 ed eccepiva la prescrizione del credito dell’attore per non aver inoltrato la richiesta alla banca nei dieci anni dalla cessione. In subordine chiedeva la sospensione del giudizio per essere il credito oggetto di eccezione di compensazione nel precedente giudizio introdotto con citazione notificata nel 1985 dal Banco nei confronti de La Casa nel Parco per le infiltrazioni. 5.1. In via riconvenzionale il Banco proponeva domanda di riduzione del prezzo di vendita, come già chiesto nel giudizio pendente.

6.All’esito dell’istruttoria il Tribunale di Avellino con sentenza del 30 novembre 2007 respingeva le domande e compensava le spese di lite.

7.Avverso detta statuizione A.A. proponeva appello principale ed il Banco appello incidentale subordinato. 8.L’appellante deduceva l’erroneità della conclusione del giudice di prime cure laddove aveva ritenuto essersi formato il giudicato in conseguenza del rigetto dell’eccezione di compensazione proposta dalla cedente Casa nel Parco in relazione al credito lamentato dal Banco per il risarcimento dei pretesi danni da infiltrazioni idriche in alcuni degli appartamenti compravenduti, formulata nella causa instaurata nel 1985 e conclusa con la sentenza n. 118/2003 del medesimo Tribunale di Avellino.

8.1. La corte territoriale, diversamente opinando rispetto al giudice di prime cure, riteneva che l’accertamento sulla cui base era stata, con la sentenza 118/2003, rigettata l’eccezione di compensazione riguardava esclusivamente il mancato avveramento delle condizioni sospensive (cancellazione dell’ipoteca e rilascio certificato di abitabilità) alla data della sentenza medesima, restando impregiudicata la possibilità che il diritto alla restituzione a seguito dell’avveramento delle suddette condizioni potesse sorgere successivamente.

8.2.Tanto premesso la corte distrettuale aveva proceduto all’esame del prospettato avveramento delle condizioni cui era subordinato il pagamento e, quindi, la fondatezza della domanda di pagamento proposta dall’attore A. ed era pervenuta alla conclusione che la prova raggiunta in ordine al loro avveramento e alla conoscenza in capo all’acquirente Banco dell’acquirente, fossero sufficienti, alla stregua dell’interpretazione del contratto di vendita secondo il canone di correttezza e buona fede, sufficienti a far sorgere il diritto alla ricezione delle somme suindicate.

8.4. La corte napoletana ha poi ritenuto ammissibile e rilevante l’eccezione di compensazione, sollevata dal Banco sin dalla comparsa di costituzione innanzi al tribunale, con il credito risarcitorio per i vizi di alcuni degli immobili venduti.

8.5 Il giudice d’appello aveva in proposito argomentato che poichè la cessione era stata notificata al Banco l’11/8/1987 la compensazione con il credito risarcitorio del debitore ceduto e sorto precedentemente alla notifica della cessione, poteva essere efficacemente opposta in relazione al momento in cui il credito risarcitorio del Banco era divenuto liquido e cioè al passaggio in giudicato della sentenza n. 118/2003 che l’aveva accertato.

8.6. In definitiva la corte territoriale concludeva ritenendo estinto il credito dell’appellante A. a seguito di compensazione con il maggior importo del credito del Banco e, dunque, infondato l’appello principale, con conseguente assorbimento di quello incidentale del Banco proposto in via subordinata.

9. La cassazione della sentenza gravata è chiesta dagli eredi di A.A. sulla base di quattro motivi, cui resiste il Banco di Napoli con controricorso e ricorso incidentale affidato a due motivi, cui resistono i ricorrenti principali.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

10.Con il primo motivo del ricorso principale si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione degli artt. 99,101,114,116 e 345 c.p.c., per avere la corte ritenuto erroneamente ammissibile l’eccezione di compensazione con il credito risarcitorio per i fenomeni di umidità e condensa proposta in primo grado dal Banco solo con la comparsa conclusionale a fronte della domanda riconvenzionale tempestivamente articolata per conseguire la riduzione del prezzo della vendita (actio quanti minoris).

10.1.La censura è infondata.

10.2.Come eccepito dal Banco controricorrente, l’eccezione di compensazione fu formulata fin dalla comparsa di costituzione e risposta nell’ambito della domanda riconvenzionale (come peraltro risulta dallo stesso tenore del ricorso); nè essa richiede forme sacramentali (cfr. Cass. 10335/2014; id. 23948/2018).

11.Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione degli artt. 99,115 e 116 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c. per avere la corte territoriale considerato il giudicato formatosi con la sentenza n. 118/2003 sebbene abbia argomentato di non poterne tenere conto in quanto il relativo documento non era stato prodotto tempestivamente (cfr. pag. 4 e 5 della sentenza).

11.1.La doglianza è infondata.

11.2.Per consolidata giurisprudenza l’esistenza del giudicato esterno è, a prescindere dalla posizione assunta in giudizio dalle parti, rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo anche nell’ipotesi in cui il giudicato si sia formato successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata, trattandosi di un elemento che può essere assimilato agli elementi normativi astratti, essendo destinato a fissare la regola del caso concreto; sicchè, il suo accertamento non costituisce patrimonio esclusivo delle parti, ma, mirando ad evitare la formazione di giudicati contrastanti, conformemente al principio del “ne bis in idem”, corrisponde ad un preciso Interesse pubblico, sotteso alla funzione primaria del processo e consistente nell’eliminazione dell’incertezza delle situazioni giuridiche, attraverso la stabilità della decisione (cfr. Cass. 16847/2018; id.8607/2017; id.11754/2018).

11.3. La corte ha deciso, conformemente a detto principio tenendo conto del giudicato, individuandone la specifica rilevanza ai fini della decisione.

12. Con il terzo motivo la medesima suddetta censura viene formulata come vizio motivazionale in riferimento alla dedotta inammissibilità dell’eccezione di compensazione sollevata nella comparsa conclusionale.

12.1.L’esame della censura è assorbito in quello sopra svolto con riguardo la primo motivo, attesa la ritenuta tempestività dell’eccezione di compensazione.

13. Con il quarto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1241,1243 e 1248 c.c. per avere la corte d’appello erroneamente ritenuto applicabile la compensazione ai rispettivi credito e controcredito.

13.1 Così statuendo la corte avrebbe erroneamente ravvisato la mancanza degli elementi ostativi alla compensazione indicati nell’art. 1248 c.c., in realtà trascurando la previsione generale degli artt. 1241 e 1243 c.c. secondo la quale, posta la distinzione fra compensazione legale e giudiziale, la compensazione può operare solo se il controcredito è liquido ed esigibile ovvero di pronta e facile liquidazione al momento della notificazione della cessione del credito e/o a quello della proposizione della domanda giudiziale.

13.2 Nè vi era stata nel giudizio promosso dal cessionario A. domanda riconvenzionale da parte del Banco tesa ad ottenere, in contraddittorio con il titolare del credito ceduto, l’accertamento del controcredito nei confronti del cessionario.

13.3. La censura è infondata.

13.4. La corte nel delibare l’eccezione di compensazione tempestivamente proposta fin dalla comparsa di costituzione ha verificato l’opponibilità dell’eccezione al cessionario secondo quanto stabilito dall’art. 1248 c.c. e cioè avuto riguardo alle modalità della cessione ed all’epoca del controcredito dedotto dal debitore ceduto.

13.5.Con riguardo al primo ha riscontrato che la cessione era stata notificata al debitore ceduto in data 11/8/1987 e che il controcredito era stato fatto valere nei confronti del cedente con atto di citazione del 1985 e quindi in epoca anteriore.

13.6.L’assunto secondo il quale all’epoca della cessione il controcredito deve essere liquido ovvero di pronta e facile liquidazione, sostenuto dal Banco è privo di riscontro legale ed anzi è smentito dalla giurisprudenza che ha precisato che il dato temporale cui fare riferimento per stabilire se ricorra un’ipotesi di estinzione per compensazione, anche in caso di compensazione giudiziale, è quello dell’insorgenza e non quello dell’accertamento del credito, che se è anteriore alla cessione è opponibile al cessionario (cfr. Cass. 2096/2007).

13.7.Appare priva di riscontro ed addirittura contraria ai principi generali quali quello del ne bis in idem la tesi dei ricorrenti secondo cui sarebbe stata necessaria la domanda riconvenzionale del Banco per l’accertamento del controcredito per il risarcimento dei danni, come se il giudicato contenuto nella sentenza n. 118/2003 formatosi nei confronti del cedente non avesse alcun rilievo nei confronti del cessionario avente causa, nonostante l’unicità del rapporto.

13.8.In definitiva, la doglianza va integralmente disattesa, non inficiando la correttezza delle valutazioni operate nella sentenza gravata.

14. Con il quinto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omessa motivazione sulla questione decisiva dell’inammissibilità dell’eccezione di compensazione di compensazione proposta dal Banco.

14.1. L’esame del motivo è assorbito dalle osservazioni già svolte in merito al primo motivo.

15. Con il sesto motivo si censura, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 99,112,115 e 116 c.p.c. e degli artt. 1224, 1263, 1282, 2697 e 2727 e ss., per avere la corte territoriale escluso il maggior danno da svalutazione monetaria sulla somma riconosciuta all’ A. ed oggetto di compensazione, ritenendo che non si trattasse di un danno in re ipsa e che non fosse stato dedotto e provato che la ritardata riscossione aveva cagionato un pregiudizio.

15.1.La doglianza è infondata.

15.2.E’ ormai consolidato, dopo la pronuncia a Sezioni Unite di questa Corte n. 19499 del 16 luglio 2008, il principio secondo il quale il maggior danno da svalutazione monetaria nelle obbligazioni pecuniarie non può essere riconosciuto sulla base della semplice qualità di imprenditore commerciale del creditore e sulla mera presunzione dell’impiego antinflazionistico delle somme di denaro dovute, poichè il maggior danno ai sensi dell’art. 1224 c.c., comma 2, può ritenersi esistente in via presuntiva soltanto nei casi in cui, durante la mora, il saggio medio di rendimento netto dei titoli di Stato con scadenza non superiore a dodici mesi sia stato superiore al saggio degli interessi legali, indipendentemente dalla qualità soggettiva o dall’attività svolta dal creditore, fermo restando che, qualora quest’ultimo domandi per il titolo indicato una somma superiore a quella risultante dal suddetto saggio, sarà suo onere provare, anche in via presuntiva, l’esistenza e l’ammontare di tale pregiudizio e, in particolare, ove il creditore abbia la qualità di imprenditore, avrà l’onere di dimostrare di avere fatto ricorso al credito bancario, sostenendone i relativi interessi passivi, ovvero quale fosse la produttività della propria impresa per le somme in essa investite, attraverso la produzione dei relativi bilanci, restando a carico del debitore la prova contraria (vedi anche Cass.3029/2015; id.11943/2016).

15.3.Pertanto non appare decisivo il richiamo fatto dai ricorrenti alla giurisprudenza precedente alla pronuncia delle Sezioni Unite, così come il citato precedente del 2013 che nel motivare in senso favorevole alla tesi dei ricorrenti non si confronta con il principio di diritto espresso dalle Sezioni Unite.

16.Passando all’esame del ricorso incidentale con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione degli artt. 184 e 184-bis cod. proc. civ. e dell’art. 2967 c.c. per avere erroneamente la corte ritenuto inammissibile la allegazione della sentenza n. 118/2003 del Tribunale di Avellino perchè avvenuta in violazione dei termini di cui all’art. 184 c.p.c., scaduti nel 2000 e nel 2001 mentre la sentenza è stata emessa nel 2003.

16.1.La doglianza è inammissibile, dal momento che il giudicato formatosi con la sentenza n. 118/2003 è stato considerato dalla pronuncia gravata.

17. Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione degli artt. 112 e 324 c.p.c. e dell’art. 2909 c.c., per non avere la corte territoriale rilevato d’ufficio il giudicato formatosi con la sentenza n. 118/2003 in relazione al rigetto dell’eccezione di compensazione per difetto di prova, giudicato che non consentiva la riproposizione dell’azione al cessionario.

17.1. L’esame della doglianza è inammissibile, per avere ad oggetto la conclusione del giudice del merito nell’esame ed interpretazione del giudicato formatosi sull’eccezione di compensazione, che diversamente da quanto denunciato dai ricorrente l’ha considerato ritenendolo, però, limitato all’accertamento del mancato avveramento delle condizioni sospensive alla data della sentenza (cfr. pag. 5 della sentenza, in fondo).

17.2.Ciò posto, nessuna specifica violazione di principi normativi accompagna la censura.

18.Atteso l’esito dei motivi sin qui esaminati, il ricorso principale va rigettato mentre va dichiarato inammissibile quello incidentale.

19. La reciproca soccombenza giustifica la compensazione delle spese di lite.

20.Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti principali e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

P.Q.M.

La corte rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile il ricorso incidentale e compensa le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti principali e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile, il 17 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 dicembre 2019

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