Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3151 del 11/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 11/02/2020, (ud. 03/10/2019, dep. 11/02/2020), n.3151

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1794-2018 proposto da:

L.R., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA FRANCESCO

MOROSINI 12, presso lo studio dell’avvocato IVAN CARPIGO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato DANIELE RAMONDINO;

– ricorrente –

contro

GENERALI ITALIA SPA, in persona del Procuratore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CAVALIER D’ARPINO 31, presso

lo studio dell’avvocato ENRRICA FERRARI, rappresentata e difesa

dall’avvocato RENATO MAGALDI;

– controricorrente –

contro

I.D., R.A.;

– intimate –

avverso la sentenza n. 6591/2017 del TRIBUNALE di NAPOLI, depositata

il 07/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 03/10/2019 dal Consigliere Relatore Dott. GABRIELE

POSITANO.

Fatto

RILEVATO

che:

con atto di citazione depositato il 19 febbraio 2010 L.R. deduceva che il giorno 28 gennaio 2004, in Napoli mentre era alla guida del proprio veicolo, era entrato in collisione con quello di J.D. privo di assicurazione, il cui conducente, C.G., nel compiere un’incauta manovra, aveva invaso la corsia di marcia opposta, collidendo con la parte anteriore della vettura condotta dall’attore, determinando danni al veicolo e lesioni permanenti all’attore. Per tali motivi evocava in giudizio davanti al Giudice di pace di Napoli il proprietario, il conducente del veicolo e la compagnia Generali Italia, quale impresa designata per la regione Campania. Si costituiva la compagnia, deducendo il mancato superamento della presunzione di pari responsabilità ex art. 2054 c.c., e aggiungendo che l’attore aveva ricevuto dall’Inail un’indennità. Si costituiva successivamente I. che eccepiva il difetto di legittimazione passiva, per avere alienato il veicolo a R.A. in data precedente al sinistro, trascrivendo l’atto in data successiva. Chiamata in causa quest’ultima, il Giudice di pace con sentenza del 21 giugno 2013 rigettava la domanda per carenza di prova circa la legittimazione passiva di Generali Ass.ni S.p.A.;

avverso tale decisione proponeva appello L.R. con atto depositato il 7 febbraio 2014, rilevando che il primo giudice non aveva esaminato le domande ulteriori rispetto alla legittimazione passiva della compagnia che, comunque, risulterebbe acclarata dalle risultanze processuali. Si costituiva Generali Italia S.p.A. contestando la fondatezza del gravame e spiegando appello incidentale;

con sentenza del 7 giugno 2017 il Tribunale accoglieva l’appello principale e dichiarava la responsabilità di I.D., che condannava, in solido con Generali Italia S.p.A., al pagamento la somma di Euro 700 a titolo di risarcimento del danno patrimoniale, oltre interessi e rivalutazione e ad Euro 1127 per danno non patrimoniale, oltre interessi e rivalutazione. Rigettava l’appello incidentale e compensava le spese di lite;

avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione L.R. affidandosi a tre motivi. Resiste Generali Italia S.p.A, con controricorso, che illustra con memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo si lamenta la violazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 2054 c.c., comma 2, e degli artt. 115 e 116 c.p.c. e l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, e motivazione apparente. In particolare, il giudice di appello avrebbe posto alla base della decisione una serie di valutazioni soggettive ponendo in dubbio l’attendibilità del teste, il quale non avrebbe, in realtà, riferito le circostanze riportate in sentenza, con conseguente arbitrarietà delle conclusioni. Al contrario, le risultanze processuali, correttamente valutate, consentirebbero di superare la presunzione di pari responsabilità prevista dall’art. 2054 c.c.;

La decisione sarebbe, altresì viziata, per violazione dell’art. 115 c.p.c. e non potendosi qualificare i fatti affermati in sentenza come “fatto notorio”, ma quali semplici opinioni del giudicante. Pertanto, la decisione sarebbe fondata su prove non dedotte dalle parti, censurabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5. Si tratterebbe di una motivazione solo apparente e, in quanto tale, errata;

il motivo, con riferimento all’art. 2054 c.c. è dedotto in violazione all’art. 366, n. 6 c.p.c., poichè la censura si fonda in buona parte sulla tesi secondo cui le dichiarazioni rese dal teste escusso e utilizzate in sentenza sarebbero diverse rispetto a quelle riferite dal giudice di appello. Ma sotto tale profilo parte ricorrente omette di trascrivere, allegare o individuare nell’ambito del fascicolo di legittimità le dichiarazioni rese dal teste e ciò impedisce a questa Corte di operare una qualsiasi valutazione in ordine alla correttezza della motivazione. Quanto alle presunte “valutazioni soggettive” del giudice di appello, in realtà si tratta della doverosa valutazione dei mezzi istruttori. In particolare, il profilo dell’attendibilità e della precisione delle dichiarazioni testimoniali è di competenza esclusiva del giudice di merito e non è sindacabile in sede di legittimità. Quanto alla doglianza ai sensi degli artt. 115 e 116 c.p.c.;

la censura non coglie nel segno poichè nella sentenza non si fa riferimento al “fatto notorio”, poichè il giudice si limita ed operare una valutazione sulla prova costituenda. Quanto precede consente di superare anche l’ipotesi di motivazione apparente;

per il resto, sotto la formale indicazione di violazione di legge, si chiede a questa Corte di rivalutare interamente il materiale probatorio, prospettando una ricostruzione più appagante per il ricorrente rispetto a quella adottata dal giudice di appello;

questa Corte, da ultimo, con ordinanza n. 13672 del 21.05.2019, ha affermato che “nel caso di scontro tra veicoli, l’accertamento della colpa esclusiva di uno dei conducenti e della regolare condotta di guida dell’altro, libera quest’ultimo dalla presunzione di concorrente responsabilità fissata in via sussidiaria dall’art. 2054 c.c., comma 2, nonchè dall’onere di provare di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno (tra le tante, Cass. n. 4648/1999).

Con la precisazione che la prova che uno dei conducenti si è uniformato alle norme sulla circolazione dei veicoli ed a quelle di comune prudenza può essere acquisita anche indirettamente, tramite l’accertamento del collegamento eziologico esclusivo o assorbente dell’evento dannoso col comportamento dell’altro conducente” (Cass. n. 5226/2006, Cass. n. 9550/2009). Il giudice di appello, con una valutazione in fatto del materiale probatorio, non sindacabile in sede di legittimità, ha ritenuto non dimostrata la colpa esclusiva di uno dei conducenti neppure attraverso la prova che l’altro si sarebbe uniformato alle norme sulla circolazione dei veicoli e a quelle di comune prudenza;

con il secondo motivo si lamenta la violazione del D.Lgs. n. 38 del 2000, art. 13, e del D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 142, e del D.P.R. n. 1124 del 1965, artt. 68 e ss., con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3. Riguardo al profilo della determinazione del danno, il giudice di appello avrebbe erroneamente scorporato la quota percepita da L. per l’inabilità temporanea erogata dall’Inail. Al contrario, l’importo di Euro 1459 sarebbe riferibile ai giorni di inabilità temporanea e riguarderebbe solo il danno patrimoniale per l’assenza dal lavoro, mentre nulla sarebbe stato corrisposto dall’Inail per il danno biologico, in quanto l’entità delle lesioni non superava la soglia della franchigia del 6%. In ogni caso avrebbe dovuto scomputare non l’intera rendita, ma solo il valore capitale della quota destinata a ristorare il danno biologico;

il motivo è inammissibile, perchè dedotto in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, il ricorrente non trascrive o allega alcunchè con riferimento alla composizione dell’importo erogato dall’Inail, alla percentuale di invalidità riconosciuta in sentenza e alla circostanza che il danno sarebbe inferiore al 6%. Il ricorrente avrebbe dovuto precisare le poste indennitarie (separando il danno biologico temporaneo e quello patrimoniale) che compongono l’importo preso in esame dal giudice di appello (Euro 1.459), al fine di individuare quelle omogenee e specificare le ragioni per le quali quelle quote non avrebbero dovuto essere detratte. Il motivo è, altresì, inammissibile perchè il ricorrente non ha allegato di avere sottoposto la questione oggetto della censura trattata a pag. 23 del ricorso al giudice di appello;

con il terzo motivo si lamenta la violazione gli artt. 91 e 92 c.p.c., e del D.M. n. 55 del 20147 rilevando che, non avendo la compagnia provveduto al tempestivo risarcimento dei danni e avendo negato la propria legittimazione a provvedervi, sarebbe la parte soccombente nel giudizio;

il motivo è inammissibile poichè non è sindacabile in questa sede la decisione del giudice di merito di compensare le spese nel caso di parziale soccombenza reciproca fondata sul riconoscimento di una pari responsabilità tra le parti, con conseguente significativa decurtazione della somma oggetto dell’originaria richiesta: ed essendo evidente che soccombente la parte la cui domanda è respinta.

ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza;

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1- quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in Euro 2.900,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sesta Sezione Civile-3, il 3 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2020

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