Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3151 del 07/02/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 07/02/2017, (ud. 10/05/2016, dep.07/02/2017),  n. 3151

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24751-2014 proposto da:

P.D., elettivamente domiciliato in Roma, Piazza Cavour

presso la Cassazione, rappresentato e difeso da se stesso;

– ricorrente-

contro

M.F.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1646/2014 della CORTE D’APPELLO di MILANO),

depositata il 07/05/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/05/2016 dal Consigliere Relatore Dott. SCALISI ANTONINO;

udito l’Avvocato P.D., difensore di se stesso (ricorrente)

che ha chiesto raccoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La sentenza n. 4160 del 2013 della Corte di Appello di Milano così espone i fatti di causa: “Il Tribunale di Monza con la sentenza n. 2729/2013 ha respinto la domanda con cui l’avv. P.D. aveva chiesto la condanna di M.F. al pagamento della somma di Euro 2.815,00, oltre oneri accessori a titolo di onorario per l’attività professionale prestata in suo favore in un procedimento di appello definito con sentenza n. 1437 del 2005 della Sezione 1 civile di questa Corte.

La Corte di appello di Milano:

Considerato che il Tribunale ha motivato la sua decisione osservando che vi è prova del fatto che il sig. M. corrispose all’avv. P. la somma di Euro 880,00 per l’attività esauritasi nell’intervento adesivo alle domande dispiegate da numerose altre parti tutte assistite dall’avv. P., a seguito di un provvedimento della Corte di Appello che aveva disposto l’integrazione del contraddittorio nei suoi confronti; il sig. M. che era rimasto contumace in primo grado aveva precocemente manifestato al legale il suo disinteresse per la causa, avendo egli nel frattempo venduto l’appartamento la cui proprietà aveva costituito la ragione giustificatrice della disposta integrazione del contraddittorio, tanto che non erano state precisate le conclusioni nel suo interesse ed egli aveva revocato il mandato al difensore. Per queste ragioni il Tribunale ha ritenuto che la somma di Euro 880,00 fosse adeguata per la remunerazione dell’attività dell’avv. P. in favore del sig. M. e che per altro verso, non vi fosse prova dell’imputazione del pagamento ad altra asserita attività di consulenza in relazione alla vendita di un appartamento, così che il pagamento di Euro 880,00 del sig. M. all’avv. P. non poteva che essere imputato all’attività giudiziale sopra detta.

Considerato che il Tribunale di Monza ha condannato l’avv., P. a rifondere alla controparte le spese di lite.

Considerato che avverso tale sentenza ha proposto appello l’avv. P. deducendo che uno scambio epistolare con il cliente (lettera M. del 14 Luglio 2003, risposta del legale 28 luglio 2003 dimostrerebbe che sarebbero state svolte attività professionali diverse ed ulteriori rispetto a quella inerente il sopra menzionato procedimento di appello e che la prova dello volgimento di attività da parte del legale, anche in relazione alla compravendita di un appartamento si desumerebbe dal fatto che questi disponeva di un originale del relativo contratto preliminare”. (…).

(…) che tutta l’attività professionale svolta dall’avv. P. nell’interesse del sig. M. nel giudizio di appello definito con sentenza sopra ricordata di retrocessione del giudizio di primo grado si è esaurita con la costituzione, realizzata con il deposito di un atto intitolato “comparsa di costituzione del sig. M.F.” il cui contenuto si può qui riprodurre a mezzo dell’avv. P.D. in forza di procura in calce all’atto di appello notificato, presso il quale elegge domicilio in (OMISSIS) e che si riporta integralmente alle conclusioni degli appellati già difesi dall’avv. P.D.”.

(…) ritenuto che sostanzialmente nessuna attività di contenuto intellettuale è stata svolta nella causa sopra indicata dall’attuale appellante in favore del sig. M. così che l’onorario di Euro 880,00 pagatogli addirittura risulta manifestamente eccessivo.

(….) ritenuto che l’infondatezza dell’appello dell’avv. P. ne rende doverosa la condanna alla rifusione delle spese di lite di questo grado (…).

Ciò detto, con sentenza n. 1646 del 2014 rigettava l’appello e confermava la sentenza impugnata.

La cassazione di questa sentenza è stata chiesta dall’avv. P.D. con ricorso affidato a tre motivi illustrati con memoria. M.F. intimato, in questa fase non ha svolto attività giudiziale.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.= L’avv. P. lamenta:

a) con il primo motivo – come da rubrica- violazione di legge ex art. 360 c.p.c., n. 3 e 5, in relazione all’art. 1193 c.c., art. 2697 c.c., artt. 115 e 365, il pagamento di Euro 880,00 e l’imputazione di pagamento e la prova delle altre prestazioni, omessa acquisizione di documento sopravvenuto decisivo per la sentenza.

b) con il secondo motivo, violazione di legge ex art. 360 c.p.c., n. 3 e 5, in relazione al D.M. 8 aprile 2004, n. 127 e all’art. 91 c.p.c., la quantificazione della parcella.

c) con il terzo motivo, violazione di legge ex art. 360 c.p.c., n. 3 e 5, in relazione al D.M. 8 aprile 2004, n. 127, e all’art. 91 c.p.c..

2.= In via preliminare il Collegio rileva che il ricorso in esame non contiene l’esposizione sia pure sommaria dei fatti di causa e, pertanto, è inammissibile. Il ricorso, invero, risulta formulato in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 3, e, d’altronde, non contiene alcuna parte nella quale, sia pur succintamente, sia stato riassunto concisamente il contenuto sostanziale della controversia.

L’impugnazione, dunque, non può trovare ingresso, in applicazione della citata disposizione e del consolidato orientamento giurisprudenziale, dal quale, nel caso, non si ravvisano ragioni per discostarsi, secondo cui “è inammissibile il ricorso per cassazione in cui manchi completamente l’esposizione dei fatti di causa e del contenuto del provvedimento impugnato” (Cass. n. 2097/2007, n. 7270/2006, n. 15808/2008).

Rileva, altresì, il Collegio che tale carenza, come correttamente evidenziato nelle citate e condivise pronunce, non può essere superata attraverso l’esame delle censure in cui si articola il ricorso, non essendone garantita l’esatta comprensione in assenza di riferimenti alla motivazione del provvedimento censurato e che, oltretutto, il “principio di autonomia del ricorso per cassazione” preclude, comunque, la possibilità di supplire alla accertata carenza, mediante l’esame di altri atti processuali.

In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile, non occorre provvedere al regolamento delle spese del presente giudizio di cassazione, posto che il sig. M. intimato in questa fase non ha svolto attività giudiziale.

Il Collegio da atto che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis.

PQM

La Corte dichiara il ricorso inammissibile; da atto che ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del comma 1 – bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione Civile, il 10 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 7 febbraio 2017

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