Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31492 del 05/12/2018

Cassazione civile sez. lav., 05/12/2018, (ud. 09/10/2018, dep. 05/12/2018), n.31492

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – rel. Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16595-2014 proposto da:

D.G., in proprio e in qualità di Socio Amministratore

pro tempore della cessata società “STUDIO PESARO S.N.C. di

D.G.”, TEAMWORK S.R.L., in persona del legale rappresentante

pro tempore, domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentati e

difesi dall’avvocato ROBERTO PIERELLI, giusta delega in atti;

– ricorrenti –

contro

D.M.E., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CONCA D’ORO

184/190 PAL. D, presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO DISCEPOLO,

che la rappresenta e difende giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 508/2013 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 23/09/2013 r.g.n. 377/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/10/2018 dal Consigliere Dott. MATILDE LORITO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO RITA, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato GILDA MARTIRE per delega Avvocato MAURIZIO

DISCEPOLO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’Appello di Ancona in riforma della pronuncia di primo grado, accoglieva la domanda proposta da D.M.E. nei confronti di D.G., dello Studio Pesaro di D.G. s.n.c. nonchè della Teamwork s.r.l..

Riconosceva la natura subordinata del rapporto di lavoro part-time, avente ad oggetto mansioni di addetta alle pulizie, intercorso dal 1/6/1998 al 31/7/2004 fra la ricorrente, D.G. e lo Studio Pesaro s.n.c., nonchè la natura subordinata del rapporto instaurato fra la medesima ricorrente e la società Teamwork, dal 1/8/2004 al 31/10/2006. Dichiarava, quindi, il diritto della lavoratrice a percepire le differenze retributive maturate, e quantificate alla stregua dei conteggi sindacali dalla medesima prodotti e non contestati dalle controparti. Per la cassazione della sentenza interpongono ricorso D.G. e le ulteriori società soccombenti con plurimi motivi, ai quali resiste con tempestivo controricorso la parte intimata che ha successivamente depositato memoria illustrativa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo”, attinente alla posizione della Teamwork s.r.l. si denuncia violazione e/o falsa interpretazione dell’art. 414 c.p.c., n. 4 anche in relazione all’art. 112 c.p.c. ed omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti. Ci si duole che il giudice del gravame abbia omesso ogni pronuncia in ordine alla eccezione di nullità del ricorso introduttivo del giudizio sollevata in primo grado e reiterata in grado di appello, per genericità ed indeterminatezza della causa petendi.

2. La censura si palesa inammissibile.

Non può tralasciarsi di considerare, innanzitutto, che essa contiene promiscuamente la contemporanea deduzione di violazione di plurime disposizioni di legge, nonchè di vizi di motivazione, senza alcuna specifica indicazione di quale errore, tra quelli dedotti, sia riferibile ai singoli vizi che devono essere riconducibili ad uno di quelli tipicamente indicati dall’art. 360 c.p.c., comma 1 così dando luogo all’impossibile convivenza, in seno al medesimo motivo di ricorso, di censure caratterizzate da irredimibile eterogeneità secondo una tecnica redazionale più volte stigmatizzata da questa Corte (vedi ex aliis, Cass. SS.UU. 24/7/2013 n. 17931 ed in motivazione, Cass. 13/7/2016 n. 14317).

La formulazione del motivo appare altresì carente sotto il profilo della specificità, di cui quello di autosufficienza è corollario, che si atteggia quale diretta emanazione della necessaria completezza, chiarezza e precisione dei motivi di ricorso per cassazione, e che impone la compiuta illustrazione dei fatti e degli atti rilevanti ai fini del decidere, senza possibilità di integrazione aliunde, in particolare mediante il generico richiamo alle ò risultanze o agli atti di causa; e detti oneri, secondo i consolidati dieta di questa Corte, vanno osservati anche in caso di errores in procedendo in relazione ai quali il giudice di legittimità ha sì il potere di esaminare direttamente gli atti e i documenti sui quali il ricorso si fonda, purchè la censura sia stata ritualmente formulata, rispettando, in particolare, il principio di autosufficienza del ricorso, (cfr. Cass. 17/1/2014 n. 896, Cass. S.U. 22/5/2012).

Nello specifico parte ricorrente non ha in alcun modo ottemperato agli oneri descritti, omettendo di riportare il tenore del ricorso introduttivo del giudizio proposto dalla lavoratrice e le successive difese al riguardo articolate, onde la pronuncia resiste alla censura all’esame.

3. Con il secondo motivo si denuncia violazione e/o falsa interpretazione degli artt. 113, 115 e 116 c.p.c. e art. 2697 c.c.. Si critica la statuizione con la quale i giudici del gravame hanno attribuito valore probatorio all’estratto contributivo Inps e si censura, per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, la sentenza n. 560/2011 intervenuta fra la Teamwork s.r.l. e la D.P.L. che si deduce passata in giudicato, con la quale era stata accertata la insussistenza di un rapporto di lavoro inter partes, qualificato dall’elemento della subordinazione.

4. Anche in relazione a tale doglianza si palesa l’evidenza del difetto di autosufficienza, giacchè, quanto all’estratto contributivo Inps, non se ne riporta il tenore, in coerenza coi canoni redazionali di specificità e completezza che richiamano i dettami dell’art. 366 c.p.c., n. 6; quanto alla sentenza passata in giudicato, del pari il motivo si presenta carente sotto il profilo di specificità, giacchè omette di riportare integralmente il tenore della pronuncia richiamata.

La giurisprudenza di questa Corte, da tempo, ha infatti posto in evidenza il necessario coordinamento tra il principio secondo cui l’interpretazione del giudicato esterno può essere effettuata direttamente dalla Corte di Cassazione con cognizione piena, e il principio della necessaria autosufficienza del ricorso. E’ stato, infatti, affermato che “l’interpretazione di un giudicato esterno può essere effettuata anche direttamente dalla Corte di cassazione con cognizione piena, nei limiti, però, in cui il giudicato sia riprodotto nel ricorso per cassazione, in forza del principio di autosufficienza di questo mezzo di impugnazione, con la conseguenza che, qualora l’interpretazione che abbia dato il giudice di merito sia ritenuta scorretta, il predetto ricorso deve riportare il testo del giudicato che si assume erroneamente interpretato, con richiamo congiunto della motivazione e del dispositivo, atteso che il solo dispositivo non può essere sufficiente alla comprensione del comando giudiziale”, (vedi ex plurimis, Cass. 31/05/2018 n. 13988, Cass. 23/06/2017 n. 15737, Cass. 11/02/2015, n. 2617, Cass. Sez. Un. 27/1/2004 n. 1416).

Tale orientamento ha rimarcato come i motivi di ricorso per cassazione fondati su giudicato esterno, debbano rispondere alle prescrizioni di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6, che del principio di autosufficienza rappresenta il precipitato normativo (cfr. Cass. 18/10/2011 n. 21560, Cass. 30/4/2010 n. 10537, Cass. 13/3/2009 n. 6184); tanto sia sotto il profilo nella riproduzione del testo della sentenza passata in giudicato, non essendo a tal fine sufficiente il riassunto sintetico della stessa (cfr. Cass. 11/2/2015 n. 2617), sia sotto il profilo della specifica indicazione della sede in cui essa sarebbe rinvenibile ed esaminabile in questo giudizio di legittimità (vedi Cass. cit. n. 21560/2011).

Non essendo la tecnica redazionale conforme ai summenzionati principi, il motivo non si sottrae ad un giudizio di inammissibilità.

5. Il terzo motivo prospetta omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti. Si lamenta che la corte di merito abbia omesso di pronunciarsi sull’eccezione di acquiescenza in ordine all’asserito licenziamento ed alla cessazione del rapporto per facta concludentia.

6. La censura va disattesa.

Secondo l’insegnamento di questa Corte, qualora una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata nè indicata nelle conclusioni ivi epigrafate, il ricorrente che riproponga tale questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale scritto difensivo o atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (vedi Cass. 22/4/2016 n. 8206, Cass. 18/10/2013 n. 23675).

Nel giudizio di cassazione, infatti, che ha per oggetto solo la revisione della sentenza in rapporto alla regolarità formale del processo ed alle questioni di diritto proposte, non sono prospettabili nuove questioni di diritto o temi di contestazione diversi da quelli dedotti nel giudizio di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili di ufficio o, nell’ambito delle questioni trattate, di nuovi profili di diritto compresi nel dibattito e fondati sugli stessi elementi di fatto dedotti (in termini, Cass. 26/3/2012 n. 4787).

Nello specifico, le condizioni per scrutinare detta censura non sussistono, perchè l’iter motivazionale percorso dalla Corte distrettuale non reca alcun riferimento alla questione della risoluzione per facta concludentia del rapporto inter partes, e la ricorrente non deduce come e quando detta questione sia stata sollevata nel corso del giudizio di merito.

7. Il quarto motivo concerne la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 414 c.p.c. ed omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è statò oggetto di discussione fra le parti.

Si lamenta che il giudice del gravame abbia omesso di esaminare l’eccezione sollevata in relazione alla mancata produzione del c.c.n.l. di settore da parte della lavoratrice ricorrente.

Anche questo motivo presenta le medesime carenze sotto il profilo della specificità, riscontrate in relazione alle censure che precedono, non essendo specificata la sequenza procedimentale nel cui ambito è risultata inserita l’eccezione di risoluzione del rapporto per mutuo consenso.

In ogni caso la doglianza non concerne una questione decisiva, giacchè il petitum risulta modulato sulla scorta di conteggi sindacali non contestati sui quali il giudice del gravame ha fondato la propria decisione.

8. Con il quinto motivo si denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 113,115 e 116 c.p.c. e art. 2697 c.c. ed omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti.

Ci si duole dell’interpretazione dei dati istruttori elaborata dai giudici del gravame, i quali avrebbero fondato la propria decisione su elementi di fatto discordanti, generici e non determinanti in relazione all’accertamento degli orari di lavoro e del vincolo di subordinazione, tralasciando di considerare le evidenze istruttorie dalle quali non era scaturito alcun elemento riconducibile alla condizione di soggezione ed eterodirezione del lavoratore bensì modalità di svolgimento del rapporto ascrivibili alla natura autonoma.

9. Il motivo è inammissibile.

Mediante vizi di violazione di legge, denunciati promiscuamente anche ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 in realtà la ricorrente lamenta principalmente una erronea valutazione dei dati istruttori acquisiti che, se rettàmente apprezzati, avrebbero dovuto escludere la fondatezza degli addebiti a lei ascritti, dunque, un vizio motivazionale.

Preme rilevare a riguardo, che il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione (cfr. ex plurimis, Cass. 11/1/2016 n. 195, Cass. 16/7/2010 n. 16698).

In tale prospettiva, le critiche non appaiono rispettose dei dettami sanciti dall’art. 360, n. 5, come novellato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83 conv. in L. 7 agosto 2012, n.134.

Deve infatti considerarsi che il nuovo testo dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5 applicabile alla fattispecie ratione temporis, introduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). L’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

La parte ricorrente deve dunque indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) e all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui ne risulti l’esistenza, il “come” e il “quando” (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, e la “decisività” del fatto stesso” (Cass. sez. un. 22/9/2014 n. 19881, Cass. sez. un. 7/4/2014 n.8053). Nella riformulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 è dunque scomparso ogni riferimento letterale alla “motivazione” della sentenza impugnata e, accanto al vizio di omissione (seppur cambiato d’ambito e di spessore), non sono più menzionati i vizi di insufficienza e contraddittorietà. Ciò a supporto della generale funzione nomofilattica della Corte di Cassazione, quale giudice dello ius constitutionis e non, se non nei limiti della violazione di legge, dello ius litigatoris.

In questa prospettiva, proseguono le Sezioni Unite, la scelta operata dal legislatore è quella di limitare la rilevanza del vizio di motivazione, quale oggetto del sindacato di legittimità, alle fattispecie nelle quali esso si converte in violazione di legge: e ciò accade solo quando il vizio di motivazione sia così radicale da comportare la nullità della sentenza per “mancanza della motivazione”.

Pertanto, l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità quale violazione di legge costituzionalmente rilevante attiene solo all’esistenza della motivazione in sè, e si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”.

10. Nello specifico la Corte distrettuale ha argomentato compiutamente in ordine alle questioni oggetto di doglianza. Ha infatti affermato che la qualificazione del rapporto di lavoro part-time in termini di subordinazione si fondava sulla “convergenza di plurimi riferimenti resi da testimoni disinteressati, verso la connotazione periodica bisettimanale del lavoro che…segnala l’obbligo di conformazione della lavoratrice alle prescrizioni impartite dal datore di lavoro”, al fine di consentire il mantenimento costante di un adeguato livello di igiene dei locali.

Ha quindi rimarcato come fosse emerso che nell’arco di otto anni, la ricorrente aveva posto le sue energie lavorative a disposizione del datore di lavoro per due volte alla settimana, era compensata in maniera fissa e non sopportava il rischio di impresa, utilizzando la minima attrezzatura ed i detersivi messi a disposizione del datore di lavoro. Trattandosi di mansioni ripetitive ed estremamente semplici, il potere direttivo si esplicava nella assegnazione delle mansioni che segnalava l’esecuzione di un ordine nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato, una volta escluso che il servizio fosse stato appaltato ad un’impresa di pulizia.

L’iter motivazionale che innerva l’impugnata sentenza, non risponde quindi, ai requisiti dell’assoluta omissione, della mera apparenza ovvero della irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità manifesta, che avrebbero potuto giustificare l’esercizio del sindacato di legittimità.

11. Con riferimento alla posizione di D.G. e dello Studio Pesaro s.n.c. si propongono sei motivi di ricorso.

12. Il primo prospetta le medesime criticità evidenziate dalla prima censura articolata dalla società Teamwork, e come quella va dichiarato inammissibile.

13. Il secondo attiene alla violazione e/o falsa interpretazione dell’art. 414 c.p.c., n. 5 ed omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti.

Ci si duole che la Corte distrettuale abbia omesso di motivare sulla eccezione di tardività delle prove articolate dalla lavoratrice solo a verbale nel corso della prima udienza, dalla quale essa doveva ritenersi decaduta.

14. Il motivo non è ammissibile per la tecnica redazionale promiscua e per l’evidente difetto di specificità, di cui l’autosufficienza è corollario, non essendo riportato il contenuto degli atti processuali a quali la censura si riferisce.

15. Il terzo motivo ricalca le doglianze già formulate con il quarto motivo proposto dalla società Team Work e va dichiarato, del pari, inammissibile.

16. La quarta critica denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 113,115 e 116 c.p.c. e art. 2697 c.c. ed omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti.

Si censura la statuizione con la quale si è stabilita la decorrenza del rapporto dal 1/1/98 anzichè dal 1/8/98 in conformità alla domanda attorea, e si è quantificato il credito in relazione ad importi non corrispondenti a quelli sanciti dal c.c.n.l. di settore.

Il motivo, al di là delle censurabili modalità promiscue di formulazione, incorre nel medesimo stigma già in precedenza rimarcato, relativo alla carenza di specificità (per non esser riprodotto il tenore dell’atto introduttivo del giudizio), oltre che di decisività.

17. La quinta doglianza, attinente al contestato valore probatorio dell’attestato Inps, è inammissibile al pari del secondo motivo formulato dalla Teamwork s.r.l..

18. Il sesto motivo attiene alla valutazione del materiale istruttorio da parte del giudice del gravame in ordine alla natura subordinata del rapporto, ritenuto erroneo, e si presenta, del pari, inammissibile, in quanto tende a dare ingresso ad una surrettizia revisione del giudizio di merito attraverso il controllo in sede di legittimità della motivazione della sentenza gravata, inammissibile nella presente sede, per quanto innanzi detto.

19. In definitiva, alla stregua delle superiori argomentazioni, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Le spese del presente giudizio di legittimità seguono il principio della soccombenza nella misura in dispositivo liquidata.

Si da atto, infine, della sussistenza delle condizioni richieste dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater per il versamento da parte ricorrente, a titolo di contributo unificato, dell’ulteriore importo pari a quello versato per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 4.000,00 per compensi professionali oltre spese generali al 15%, ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 9 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 5 dicembre 2018

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