Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31491 del 05/12/2018

Cassazione civile sez. lav., 05/12/2018, (ud. 09/10/2018, dep. 05/12/2018), n.31491

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – rel. Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6375/2014 proposto da:

CO.TR.A.B. – CONSORZIO TRASPORTI AZIENDE BASILICATA, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA ANTONIO GRAMSCI 14, presso lo studio dell’avvocato

FEDERICO HERNANDEZ, che lo rappresenta e difende unitamente

all’avvocato VITO VINCENZO ZACCAGNINO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

B.S., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEL

GESU’ 57, presso lo studio dell’avvocato SALVATORE PAGLIUCA, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato FRANCESCO PERONE,

giusta delega in atti;

– controricorrente –

e contro

TEMPOR S.P.A., COMUNE DI POTENZA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 619/2013 della CORTE D’APPELLO di POTENZA,

depositata il 03/01/2014, r.g.n. 272/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/10/2018 dal Consigliere Dott. MATILDE LORITO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

Dott. SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato FEDERICO HERNANDEZ;

udito l’Avvocato MONICA BATA per delega SALVAOTORE PAGLIUCA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Potenza accoglieva la domanda proposta da B.S. nei confronti della Tempor s.p.a. e del COTRAB – Consorzio Trasporti Aziende Basilicata – che aveva accertato l’irregolarità dei contratti di somministrazione a tempo determinato stipulati nell’ambito del servizio di trasporto pubblico integrato della città di Potenza, e dichiarato costituito un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato tra la stessa ed il COTRAB con effetto dall’inizio della somministrazione, condannando quest’ultimo al risarcimento del danno commisurato alla retribuzione maturata dal dì della messa in mora (11/5/2011) oltre accessori di legge.

Detta pronuncia veniva parzialmente riformata dalla Corte distrettuale che, in applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, condannava il COTRAB al pagamento di un’indennità onnicomprensiva pari a dieci mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, confermando nel resto l’impugnata sentenza.

A fondamento del decisum, per quel che in questa sede rileva, la Corte osservava che la mera astratta legittimità della causale indicata nel contratto di somministrazione non era sufficiente per rendere legittima l’apposizione del termine al rapporto, dovendo anche sussistere, in concreto, una rispondenza tra la causale enunciata e la correlativa assegnazione del lavoratore a mansioni ad essa confacenti, con la precisazione che nel caso all’esame non era stata fornita alcuna prova sull’effettiva esistenza della causale dedotta.

Per la cassazione di tale pronunzia ricorre il Consorzio, affidando l’impugnazione ad un articolato motivo, cui resiste, la parte intimata con controricorso illustrato da memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con unico motivo si denunzia violazione degli artt. 115,116,132,213,421 c.p.c., D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. 20, 21 e 27,nonchè degli artt. 1362 c.c. e segg..

Si deduce che la scelta imprenditoriale che aveva determinato il ricorso alla somministrazione di lavoro con contratti settimanali era dettata da una ragionevole previsione di maggiore afflusso di clientela nel periodo considerato, da ritenersi insindacabile perchè rientrante nell’ambito della libertà d’impresa. Si argomenta che il combinato disposto di cui al D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. 20-27, non richiede che le ragioni che presiedono alla stipula del contratto, siano certe anteriormente alla conclusione dello stesso o che, incerte prima di tale momento, si debbano concretizzare successivamente, ma solo che, secondo una valutazione ex ante, siano ritenute sussistenti le ragioni che hanno determinato l’utilizzatore a ricorrere al contratto di somministrazione.

Sotto il profilo strettamente probatorio, si assume, in ogni caso, che dovevano essere acquisite le prove articolate volte a confermare la sussistenza della causale (tendenza all’aumento dell’utenza), potendo il giudice del merito fare ricorso anche ai poteri istruttori officiosi di cui all’art. 421 c.p.c..

2. La censura è priva di fondamento.

Con riferimento alla denunciata violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., parte ricorrente incorre nell’equivoco di ritenere che la violazione o la falsa applicazione di norme di legge, sostanziale o processuale, dipendano o siano ad ogni modo dimostrate dall’erronea valutazione del materiale istruttorio al contrario, un’autonoma questione di malgoverno degli artt. 115,116 c.p.c., può porsi, rispettivamente, solo allorchè il ricorrente alleghi che il giudice di merito:

1) abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti ovvero disposte d’ufficio al di fuori o al di là dei limiti in cui ciò è consentito dalla legge; 2) abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova che invece siano soggetti a valutazione. E poichè, in realtà, nessuna di queste due situazioni è rappresentata nei motivi anzidetti, le relative doglianze sono mal poste.

Quanto al rilievo fondato sul mancato ricorso all’uso dei poteri istruttori d’ufficio, se è da ritenere ormai principio acquisito che nel rito del lavoro, ai sensi di quanto disposto dagli artt. 421 e 437 c.p.c., essi non hanno più carattere discrezionale, ma si presentano come un potere-dovere, del cui esercizio o mancato esercizio il giudice deve dar conto (Cass. S.U. 17/6/2004, n. 11353), è però anche vero che alfine di poter censurare con il ricorso per Cassazione l’inesistenza di alcuna motivazione circa la mancata attivazione di tali poteri occorre dimostrare di averne sollecitato l’esercizio, poichè diversamente si introdurrebbe per la prima volta in sede di legittimità un tema totalmente nuovo rispetto a quelli dibattuti nelle fasi di merito. Del resto, proprio la menzionata sentenza della Sezioni Unite ha avuto cura di precisare, fra l’altro, che “il giudice – in ossequio a quanto prescritto dall’art. 134 c.p.c., ed al disposto di cui all’art. 111 Cost., comma 1, sul “giusto processo regolato dalla legge” – deve esplicitare le ragioni per le quali reputa di far ricorso all’uso dei poteri istruttori o, nonostante la specifica richiesta di una della parti, ritiene, invèce, di non farvi ricorso” e che “il relativo provvedimento può così, essere sottoposto al sindacato di legittimità per vizio di motivazione al sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 qualora non sia sorretto da una congrua e logica spiegazione ne disattendere la richiesta di mezzi istruttori relativi ad un punto della controversia che, se esaurientemente istruito, avrebbe potuto condurre ad una diversa decisione della controversia” (Cass. 26/6/2006 n. 14731, Cass. 10/12/2008 n. 29006; Cass. 12/3/2009 n. 6023). Non è censurabile quindi con ricorso per cassazione l’omesso esercizio dei poteri istruttori ufficiosi da parte del giudice di merito ove la parte non abbia investito lo stesso giudice di una specifica richiesta in tal senso, indicando anche i relativi mezzi istruttori. Il che non risulta essersi verificato nello specifico, laddove il ricorrente si limita solo in questo grado a prospettare la necessità dell’integrazione istruttoria ad opera del giudice.

3. Per i restanti profili il motivo deve essere ugualmente ritenuto infondato, posto che, anche, ove l’indicazione contrattuale dia conto della ragione in concreto da fronteggiare in modo sufficientemente intellegibile (“ragioni di carattere organizzativo, intensificazione dell’attività lavorativa legata a maggior afflusso di utenza”), va ribadito come l’utilizzatore sia comunque da ritenersi onerato dal fornire la prova dell’effettiva esistenza delle ragioni giustificative, in caso di contestazione, cosi come avvenuto nella specie.

In tal senso appare corretto l’approccio della Corte territoriale la quale, nel sottolineare la necessità che l’utilizzatore dia la dimostrazione della effettività dell’esigenza sottesa alla singola assunzione del lavoratore, l’abbia ritenuta, in concreto, non soddisfatta. Con argomentazione congrua ed immune da vizi di carattere logico-giuridico, il giudice del gravame ha infatti evidenziato come il Consorzio non avesse fornito alcuna prova concreta sull’effettiva esistenza di detta causale e la disamina è stata compiuta in conformità ai principi ripetutamente affermati da questa Corte (cfr., tra le altre, Cass. 9/9/2013 n. 20598, Cass. 1/8/2014 n, 17540, Cass. 27/10/2015 n. 21916 e, su questione sovrapponile a quella scrutinata, Cass. 10/1/2017 n. 349).

Correttamente è stata pertanto evidenziata la mancanza di collegamento rispetto alla causate dedotta della specifica utilizzazione dei lavoratori.

4. Alla stregua di tali considerazioni, il ricorso va rigettato.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza, liquidate come in dispositivo.

Essendo stato il presente ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, il comma 1 quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 4.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 9 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 5 dicembre 2018

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