Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31476 del 03/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 03/12/2019, (ud. 25/06/2019, dep. 03/12/2019), n.31476

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO M.G. – Consigliere –

Dott. FANTICINI Giovanni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12141-2012 proposto da:

DINERS CLUB ITALIA SRL, elettivamente domiciliata in ROMA VIALE

REGINA MARGHERITA 262-264, presso lo studio dell’avvocato CATALDO

D’ANDRIA, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE UFFICIO CONTROLLI DI ROMA

1, EQUITALIA NORD SPA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 103/2011 della COMM. TRIB. REG. di ROMA,

depositata il 30/03/2011;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

25/06/2019 dal Consigliere Dott. FANTICINI GIOVANNI.

Fatto

RILEVATO

CHE:

– la Diners Club Italia S.r.l. impugnava la medesima cartella, emessa ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis, e recante pretesa tributaria dell’Agenzia delle Entrate – Ufficio di Roma (OMISSIS), proponendo distinti ricorsi alla C.T.P. di Milano (luogo in cui era stata notificata la cartella da parte dell’agente della riscossione Equitalia Esatri) e alla C.T.P. di Roma (sede dell’ente impositore); a fondamento delle proprie iniziative la società poneva identiche motivazioni;

– con sentenza n. 351 del 20/12/2007 la C.T.P. di Milano accoglieva il ricorso della contribuente e la decisione passava in giudicato il successivo 3/3/2009;

– all’udienza di discussione del 3/12/2008, innanzi alla C.T.P. di Roma, la società depositava la sentenza della Commissione milanese (che allora non era ancora passata in giudicato), ma il giudice di merito romano, senza rilevare la litispendenza, rigettava il ricorso;

– quest’ultima decisione veniva impugnata innanzi alla C.T.R. del Lazio e la società eccepiva l’esistenza di giudicato e la violazione del principio ne bis in idem;

– la C.T.R. del Lazio, con la sentenza n. 103/10/11 del 30/3/2011, respingeva l’appello e condannava l’appellante alle spese del grado; nella parte che ancora qui rileva la C.T.R. affermava: “Per quanto concerne la sentenza n. 351 del 20-12-07 emessa dalla CTP di Milano, passata in giudicato per mancata impugnazione, il Collegio rileva che la società a suo tempo aveva presentato due identici ricorsi avverso la stessa cartella esattoriale n. (OMISSIS), per IRPEF 2002, uno presso la CTP di Milano e l’altro presso la CTP di Roma… Il Collegio rileva che l’Ufficio competente cui presentare il ricorso avverso la cartella è solamente quello proposto presso la Commissione Tributaria Provinciale di Roma e, quindi, avverso l’Agenzia delle Entrate di Roma (OMISSIS)…. Pertanto, a nulla vale la decisione della CTP di Milano”;

– avverso tale decisione la Diners Club Italia propone ricorso per cassazione articolato in due motivi, al quale resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate;

– l’intimata Equitalia Nord S.p.A. (subentrata a Equitalia Esatri) non ha svolto difese in questo grado;

– la ricorrente ha depositato memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c. insistendo per l’accoglimento del ricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Col primo motivo la Diners Club Italia lamenta l’illegittimità della decisione per violazione dell’art. 2909 c.c., perchè, in contrasto con quanto affermato dalla C.T.R. del Lazio, la sentenza n. 351 del 20/12/2007 della C.T.P. di Milano costituiva res iudicata, per mancanza di impugnazione, anche in punto di competenza territoriale del giudice adito, di talchè il giudice d’appello non avrebbe potuto considerare tamquam non esset la predetta decisione e, anzi, avrebbe dovuto prendere atto delle statuizioni definitive contenute nella succitata sentenza.

2. Il motivo è fondato.

Nella sostanza, la C.T.R. del Lazio fa discendere dalla pretesa incompetenza territoriale della C.T.P. di Milano (per giunta, errando anche su tale presupposto: Cass., Sez. 5, Sentenza n. 15829 del 29/07/2016, Rv. 640647-01; Cass., Sez. 5, Sentenza n. 20671 del 01/10/2014, Rv. 632866-01 e Cass., Sez. 5, Sentenza n. 7635 del 24/3/2017) l’assoluta inefficacia delle statuizioni rese, irretrattabili in mancanza di impugnazione, sino al punto di affermare che “a nulla vale la decisione della CTP DI Milano”.

Al contrario, il presunto vizio di incompetenza territoriale del giudice milanese doveva essere fatto valere mediante l’impugnazione della sua decisione, in mancanza della quale la pretesa nullità delle statuizioni rese è comunque coperta dal giudicato (in proposito: Cass., Sez. 1, Sentenza n. 13829 del 27/05/2008, Rv. 603645-01: “L’incompetenza del giudice che ha emesso il provvedimento, anche nelle ipotesi nelle quali abbia carattere inderogabile, costituisce motivo di nullità, e non di inesistenza dell’atto, con la conseguenza che esso è suscettibile di passare in giudicato.”; Cass., Sez. 1, Sentenza n. 683 del 10/03/1971, Rv. 350446-01: “L’incompetenza del giudice, anche nelle ipotesi in cui la competenza ha carattere inderogabile, non determina l’inesistenza giuridica del provvedimento emanato, per cui quest’ultimo, ove sia suscettibile di passare in cosa giudicata, rimane fermo, anche se emesso da giudice incompetente.”).

Pertanto, la decisione della C.T.P. di Milano – di accoglimento del ricorso della contribuente – doveva considerarsi res iudicata e, come tale, insuscettibile di essere considerata giuridicamente inesistente o rimessa in discussione o addirittura sconfessata dal giudice tributario romano.

L’Agenzia delle Entrate, nel controricorso, sostiene che il giudicato formatosi sulla cartella di pagamento impugnata non sia ad essa opponibile in quanto il giudizio innanzi alla C.T.P. di Milano si sarebbe svolto nei confronti del solo agente della riscossione.

Anche a prescindere dalle contestazioni della ricorrente su tale asserzione (infatti, le difese esposte nella memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c. confermano che il contraddittorio processuale era stato incardinato anche nei confronti dell’Agenzia delle Entrate – Ufficio di Roma (OMISSIS)), la tesi dell’Amministrazione è inconsistente, perchè il giudicato formatosi tra il contribuente e l’agente della riscossione spiega in ogni caso effetti anche nei confronti dell’ente impositore.

Durante l’attività di riscossione l’ente impositore conserva la propria qualità di creditore, ma la legge sancisce una scissione fra la titolarità del credito e la legittimazione all’esercizio delle azioni e delle tutele correlate alle situazioni giuridiche soggettive nascenti dal rapporto di imposta, spettando queste ultime all’agente della riscossione: ne deriva, sul piano processuale, la sostituzione dell’agente riscossione all’ente impositore e, conseguentemente, l’operatività nei confronti dell’Agenzia delle Entrate del giudicato formatosi nella lite tributaria fra il contribuente e l’agente Equitalia, indipendentemente dalla denuntiatio litis all’Agenzia, la quale potrà unicamente rilevare nel rapporto interno D.Lgs. n. 112 del 1999 ex art. 39 (sulla scissione tra titolarità ed esercizio del credito tributario e sulle conseguenze processuali di tale configurazione si erano già pronunciate Cass., Sez. 1, Sentenza n. 1748 del 06/05/1975, Rv. 375393-01, da Cass., Sez. 1, Sentenza n. 3328 del 13/06/1979, Rv. 399726-01).

In altri termini, “il concessionario è il soggetto legittimato ad agire, in nome proprio e per conto del titolare del credito stesso, per il compimento delle attività processuali di natura esecutiva, funzionali alla riscossione coattiva delegata, integrando la fattispecie uno dei casi fatti salvi dall’art. 81 c.p.c.” (da ultimo, Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 24789 del 09/10/2018); di conseguenza, le pronunce (anche di segno negativo) rese nei giudizi instaurati contro l’agente della riscossione spiegano effetti anche nei confronti dell’ente impositore indipendentemente dalla sua partecipazione al processo, la quale deve essere sollecitata dall’agente a norma del D.Lgs. n.. 112 del 1999, art. 39 (“nelle liti promosse contro di lui che non riguardano esclusivamente la regolarità o la validità degli atti esecutivi”), ma non costituisce requisito per l’opponibilità delle statuizioni.

Diversamente opinando, per considerare inutiliter data la sentenza resa senza la partecipazione al giudizio dell’ente impositore, occorrerebbe ipotizzare un litisconsorzio necessario tra quest’ultimo e l’agente della riscossione, ma ciò si porrebbe in contrasto con la giurisprudenza di legittimità a cui si intende dare continuità (Cass., Sez. U., Sentenza n. 16412 del 25/07/2007: “L’azione può essere svolta dal contribuente indifferentemente nei confronti dell’ente creditore o del concessionario e senza che tra costoro si realizzi una ipotesi di litisconsorzio necessario, essendo rimessa alla sola volontà del concessionario, evocato in giudizio, la facoltà di chiamare in causa l’ente creditore”).

Inoltre, secondo la giurisprudenza di legittimità, l’agente della riscossione ha soltanto l’obbligo di effettuare all’ente impositore la denuntiatio litis D.Lgs. n. 112 del 1999 ex art. 39 (“con qualunque modalità”, secondo Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 9250 del 03/04/2019), in mancanza della quale risponde in proprio della lite.

Peraltro, sarebbe illogico concludere che l’ente impositore possa fare proprio l’esito favorevole della lite e considerare inter alios – e inopponibile – quello sfavorevole, sia perchè in quest’ultimo caso il contribuente non trarrebbe alcun concreto beneficio dalla decisione resa (dato che l’ente potrebbe sempre reiterare gli atti anche in caso di riconosciuta insussistenza della pretesa tributaria), sia – e soprattutto – perchè si determinerebbe una situazione in cui l’ente impositore non avrebbe mai un effettivo interesse a partecipare alla lite a seguito di denuntiatio (posto che l’esito favorevole all’agente della riscossione gli gioverebbe mentre quello sfavorevole gli sarebbe inopponibile).

In conclusione, si deve affermare che – in conseguenza del formarsi del giudicato sul ricorso proposto dalla Diners Club Italia alla C.T.P. di Milano (avente identici petitum e causa petendi dell’iniziativa intrapresa innanzi alla C.T.P. di Roma) – la C.T.R. del Lazio avrebbe dovuto constatare che il processo non poteva essere proseguito.

Ne consegue la cassazione senza rinvio, ai sensi dell’art. 382 c.p.c., della decisione impugnata.

3. Resta assorbito il secondo motivo, col quale la ricorrente lamentava il difetto di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (art. 112 c.p.c.).

4. Ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 2, occorre provvedere sulle spese di tutti i gradi del giudizio.

L’Agenzia delle Entrate – che ha insistito nella pretesa tributaria nonostante l’intervenuto annullamento della cartella da parte della C.T.P. di Milano – deve essere condannata alla rifusione delle spese sostenute dalla ricorrente per il giudizio di cassazione e per il grado di appello; dette spese sono liquidate nella misura indicata nel dispositivo secondo i vigenti parametri.

Ritiene il Collegio di compensare le spese del primo grado, dato che la controversia è scaturita da una duplice iniziativa della stessa Diners Club Italia innanzi a diversi uffici giudiziari.

PQM

La Corte:

accoglie il ricorso;

cassa la sentenza impugnata senza rinvio;

condanna l’Agenzia delle Entrate a rifondere a Diners Club Italia le spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 2.900,00, oltre a spese forfettarie e accessori di legge;

condanna l’Agenzia delle Entrate a rifondere a Diners Club Italia le spese del giudizio di appello, che liquida in Euro 2.500,00, oltre a spese forfettarie e accessori di legge;

compensa le spese del primo grado.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Quinta Sezione Civile, il 25 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 dicembre 2019

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