Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31474 del 05/12/2018

Cassazione civile sez. I, 05/12/2018, (ud. 09/11/2018, dep. 05/12/2018), n.31474

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. CAMPESI Eduardo – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 10025/2016 proposto da:

V.R., elettivamente domiciliato in Roma, Piazza dei Re di

Roma n. 3, presso lo studio dell’Avvocato Michele Lo Russo,

rappresentato e difeso dall’Avvocato Ferdinando Paglia giusta

procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Progress Assicurazioni S.p.a., in liquidazione coatta amministrativa,

in persona del commissario liquidatore pro tempore, elettivamente

domiciliata in Roma, Via Montezebio n. 28, presso lo studio

dell’Avvocato Giuseppe Bernardi, che la rappresenta e difende giusta

procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 1587/2016 del TRIBUNALE di PALERMO, depositato

il 14/3/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/11/2018 dal cons. PAZZI ALBERTO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

IMMACOLATA Zeno, che ha concluso per l’accoglimento dell’eccezione

di inammissibilità proposta dal controricorrente o, in subordine,

per l’accoglimento per quanto di ragione del secondo motivo di

ricorso; udito, per il ricorrente, l’Avvocato Ferdinando Paglia che

ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il commissario liquidatore di Progress Assicurazioni s.p.a. in liquidazione coatta amministrativa non ammetteva al passivo della procedura il credito vantato dall’Avv. V.R. per il complessivo importo di Euro 347.311.

2. In sede di opposizione il Tribunale di Palermo, dopo aver respinto l’eccezione di difetto di legittimazione passiva in capo al Commissario liquidatore, constatava che l’opponente non aveva depositato contestualmente al ricorso tutta la documentazione probatoria del proprio credito, incorrendo così in decadenza rispetto agli atti tardivamente prodotti, e in parziale accoglimento del ricorso presentato ammetteva il credito vantato dall’opponente al passivo della procedura nella misura di Euro 600, oltre interessi.

3. Ha proposto ricorso per cassazione avverso questa pronuncia l’Avv. V.R. al fine di far valere quattro motivi di impugnazione.

Ha resistito con controricorso Progress Assicurazioni s.p.a. in l.c.a., la quale ha eccepito in via pregiudiziale l’inammissibilità del ricorso proposto ai sensi dell’art. 255 c.d.a., norma che individua espressamente nell’appello il mezzo di impugnazione nei confronti delle statuizioni che decidono sulle cause di opposizione.

La sesta sezione, originariamente investita della decisione della controversia, con ordinanza interlocutoria del 5 giugno 2018 ha ritenuto insussistenti i presupposti per la trattazione del ricorso in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., essendo necessario approfondire la questione relativa all’ammissibilità del ricorso per cassazione avverso il provvedimento impugnato, ed ha rimesso la causa alla pubblica udienza della prima sezione.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4. Occorre prendere le mosse dall’esame dell’eccezione preliminare sollevata dalla difesa della procedura controricorrente. L’eccezione è infondata.

Questo collegio ritiene di dover ribadire – senza interessare della questione le Sezioni Unite di questa Corte – l’orientamento già espresso da questa sezione (Cass., sez. 1, sentenza 19/1/2017 n. 1331), secondo cui il decreto emesso all’esito del giudizio di opposizione è suscettibile solo di ricorso per cassazione, benchè la fattispecie in esame rimanga regolata dall’art. 254, comma 2, d.lgs. 209/2005 nel testo non più vigente, secondo cui “l’opposizione è disciplinata dalla L. Fall., artt, 98,99 e 100”.

Questa interpretazione rimane preferibile nonostante il disposto del D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 255, (a mente del quale “contro la sentenza del tribunale che decide sulle cause di opposizione può essere proposto appello, anche dai commissari, entro il termine di quindici giorni dalla data di notificazione della stessa, osservandosi per il giudizio di appello le disposizioni previste dalla legge fallimentare e dal codice di procedura civile”) sia rimasto immodificato e pur in presenza di interventi legislativi che hanno invece ritenuto, rispetto alle procedure di liquidazione coatta amministrativa di istituti di credito, di abrogare espressamente le norme che prevedevano l’appello avverso la sentenza pronunziata all’esito dell’opposizione a stato passivo (come è avvenuto con l’abrogazione del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 88, ad opera del D.Lgs. 16 novembre 2015, n. 181, art. 1, comma 30, lett. b)).

Il rinvio presente all’interno del D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 254, comma 2, riguarda infatti anche una norma (la L. Fall., art. 100) che è stata abrogata dal D.Lgs. n. 5 del 2006, art. 85, perchè il suo contenuto risultava all’evidenza non più conciliabile con il sistema unitario di impugnazioni previsto dalla riforma.

Il testo della norma applicabile al caso di specie si riferisce dunque a disposizioni che in parte (la L. Fall., artt. 98 e 99)sono poi radicalmente mutate nel loro contenuto, in parte (l’art. 100) sono state abrogate.

In mancanza dell’indicazione di più specifiche regole processuali che accompagni il richiamo normativo così operato e fornisca elementi per ritenere che il legislatore intendesse evocare la particolare disciplina in materia di impugnazione e opposizione vigente al momento dell’introduzione della disposizione normativa in parola sembra più logico pensare che il medesimo richiamo abbia carattere mobile e si riferisca al contenuto delle norme evocate nel testo applicabile ratione temporis (come del resto conferma il fatto che la norma in parola è stata modificata dal d.lgs. 74/2015 con la sola eliminazione del riferimento alla L. Fall., art. 100, non accompagnata da alcuna precisazione sul riferimento alla vecchia legge, evidentemente inutile in presenza di un rinvio mobile).

Ne discende l’implicita abrogazione, per incompatibilità, del D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 255, tenuto conto che il disposto della L. Fall., art. 99, nel testo attualmente in vigore prevede che il decreto con cui l’opposizione è definita sia ricorribile solo per cassazione.

Talchè va disattesa la diversa opinione della sesta sezione (Cass., sez. 6, ordinanza 21/7/2017 n. 18119), la quale si è posta immotivatamente in contrasto con la giurisprudenza della Sezione.

5.1 Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione del combinato disposto della L. Fall., artt. 35 e 206, e D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 250, comma 5, in relazione alla L. Fall., art. 75, e art. 360, comma 1, nn. 3 e 4, in quanto il Tribunale sarebbe incorso nell’errore di non verificare l’eccezione formulata dal ricorrente in merito all’assenza del provvedimento IVASS che attesterebbe la legittimazione e i poteri del Commissario liquidatore, con la conseguente necessità di escludere la sua legittimazione passiva e il potere del medesimo di stare in giudizio.

5.2 Il motivo è infondato.

Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte in tema di rappresentanza processuale delle persone giuridiche la persona fisica che ha conferito il mandato al difensore non ha l’onere di dimostrare questa sua qualità, poichè i terzi hanno la possibilità di verificare il potere rappresentativo consultando gli atti soggetti a pubblicità legale e, quindi, spetta a loro fornire la prova negativa a questo riguardo (Cass., Sez. U., n. 20596/2007).

Non era dunque la procedura opposta a dover produrre il documento di nomina del proprio commissario liquidatore a giustificazione dei suoi poteri, ma il ricorrente doveva accedere al registro delle imprese al fine di fornire la dimostrazione della mancanza dei poteri rappresentativi in capo a chi aveva allegato la propria qualifica di commissario liquidatore.

Parimenti infondata risulta l’eccezione circa la mancanza delle autorizzazioni previste dalla legge a stare in giudizio, in quanto il Tribunale ha opportunamente ricordato che il Commissario liquidatore esercita, ai sensi dell’art. 250, comma 1, c.d.a., liberamente tutte le azioni spettanti all’impresa, necessitando di una specifica autorizzazione solo nei casi espressamente previsti dal comma 5, della medesima norma.

6.1 Con il secondo motivo di ricorso si lamenta la violazione della L. Fall., art. 99, comma 2, n. 4: il Tribunale avrebbe trascurato di considerare che l’opposizione conteneva una specifica indicazione dei mezzi di prova e dei documenti già prodotti in sede di insinuazione allo stato passivo, che erano stati depositati con più invii telematici entro la fine del giorno di scadenza ai sensi dell’art. 51 l. 114/2014.

6.2 I motivo è infondato.

6.2.1 Questa Corte ha già avuto modo di osservare (Cass. n. 20746/2015) che, nella specificità del procedimento disciplinato dalla L. Fall., art. 99, comma 2, n. 4, col deposito del ricorso si attivano sia la formazione del fascicolo d’ufficio che l’iscrizione a ruolo, nonchè la costituzione in giudizio, col deposito del fascicolo di parte, secondo i principi generali dei procedimenti che iniziano con ricorso; i documenti di cui il ricorrente intende avvalersi devono essere prodotti ed inseriti nel fascicolo di parte, da depositarsi alla costituzione, pena l’inammissibilità delle produzioni e non già dell’intera opposizione.

Dunque il deposito del ricorso e del fascicolo di parte contenente i documenti prodotti deve essere contestuale.

Il che significa che ove la costituzione avvenga mediante l’invio di un messaggio di posta elettronica certificata eccedente la dimensione massima stabilita nelle relative specifiche tecniche il deposito degli atti o dei documenti può sì avvenire mediante gli invii di più messaggi di posta elettronica certificata – ai sensi del D.L. 18 ottobre 2012, n. 17, art. 16 bis, comma 7, convertito con modificazioni dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221, come modificato dal D.L. 24 giugno 2014, n. 90, art. 51, comma 2, convertito con modificazioni dalla L. 11 agosto 2014, n. 114 -, a patto che gli stessi siano coevi al deposito del ricorso ed eseguiti entro la fine del giorno di scadenza.

E per invii coevi si devono intendere gli invii strettamente consecutivi, di modo che non si presta a censure di sorta la statuizione impugnata laddove ha tenuto conto soltanto della documentazione depositata lo stesso giorno della costituzione in giudizio, escludendo invece quella trasmessa, non certo in maniera immediatamente successiva, a distanza di uno o due giorni (come riconosce lo stesso ricorrente a pag. 15 del ricorso).

7.1 Con il terzo motivo si lamenta la violazione del disposto del D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 252, comma 9, in merito alla notifica della comunicazione del rigetto dell’istanza di ammissione allo stato passivo: questa notifica sarebbe nulla, in quanto eseguita presso un indirizzo che il ricorrente non aveva eletto a proprio domicilio, nè varrebbe il riferimento all’art. 156 c.p.c., a sanare un palese errore della procedura liquidatoria.

7.2 Il motivo è infondato.

Il Tribunale ha ritenuto infondata l’eccezione di invalidità della comunicazione sollevata dal ricorrente ex art. 252 c.d.a.sia perchè tale comunicazione era stata inviata all’indirizzo del legale indicato dallo stesso ricorrente al fine di ricevere le comunicazioni relative allo stato passivo della procedura, sia perchè, ai sensi dell’art. 156 c.p.c., l’atto aveva comunque raggiunto il suo scopo, consentendo al creditore di depositare tempestivo ricorso in opposizione.

Quest’ultima osservazione fa corretto riferimento al principio di sanatoria dei vizi degli atti processuali in conseguenza del raggiungimento dello scopo ex art. 156 c.p.c., comma 3, principio che, stante il suo carattere generale, è applicabile, nell’ambito del procedimento di formazione dello stato passivo all’interno delle procedure di liquidazione coatta amministrativa relative alle imprese di assicurazione, alla comunicazione prevista dall’art. 252, comma 9, c.d.a. e funzionale al decorso del termine di opposizione stabilito dal successivo art. 254, comma 1.

8.1 Con il quarto motivo si lamenta l’omessa pronuncia da parte del Tribunale sulle richieste istruttorie formulate nel ricorso introduttivo, sulla domanda di rimessione in termini, sulla richiesta di sospensione necessaria del procedimento al fine di permettere alla procedura di effettuare la comunicazione ex art. 252 c.d.a., sulla richiesta di C.T.U. informatica e sulla richiesta di prova testimoniale circa il fatto che il commissario liquidatore fosse a conoscenza che la comunicazione di cui all’art. 252 c.d.a. dovesse essere inviata direttamente alla residenza dell’Avv. V..

8.2 Il motivo è inammissibile per alcuni aspetti, infondato per altri.

In proposito bisogna innanzitutto ricordare che il ricorrente che in sede di legittimità intenda denunciare il difetto di motivazione su un’istanza di ammissione di un mezzo istruttorio o sulla valutazione di esso ha l’onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova, provvedendo alla loro trascrizione, al fine di consentire il controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi, delle prove stesse, che, per il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, il giudice di legittimità deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative (Cass. n. 19985/2017).

Nel caso di specie la doglianza presentata è all’evidenza generica, in mancanza della trascrizione delle istanze di natura istruttoria asserita mente trascurate.

Deve poi intendersi come implicitamente disattesa la richiesta di sospensione necessaria in conseguenza del suo assorbimento nella constatazione che la comunicazione ex art. 252 c.d.a. aveva raggiunto lo scopo a cui era diretta.

9. In forza dei motivi sopra illustrati il ricorso deve essere pertanto respinto.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 4.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre accessori come per legge e contributo spese generali nella misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 9 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 5 dicembre 2018

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