Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31472 del 05/12/2018

Cassazione civile sez. I, 05/12/2018, (ud. 09/11/2018, dep. 05/12/2018), n.31472

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 25248/2015 proposto da:

P.D., elettivamente domiciliato in Roma, Via Pierluigi da

Palestrina n. 63, presso lo studio dell’Avvocato Mario Contaldi, che

lo rappresenta e difende unitamente all’Avvocato Carl’Alberto Magri

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Fallimento (OMISSIS) S.r.l., in persona del curatore dott.

L.D., elettivamente domiciliato in Roma, Via della Giuliana n. 72,

presso lo studio dell’Avvocato Aldo Simoncini, rappresentato e

difeso dall’Avvocato Fausto Amadei giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 478/2015 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

pubblicata il 17/04/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/11/2018 dal cons. PAZZI ALBERTO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO IMMACOLATA, che ha concluso per l’accoglimento per quanto di

ragione del secondo motivo; rigetto del primo;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato Carl’Alberto Magri che ha

chiesto l’accoglimento.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il fallimento di (OMISSIS) s.r.l., a seguito dello scioglimento – ai sensi della L. Fall., art. 73 – dal contratto di cessione con riserva di proprietà in favore della fallita dell’intera quota di partecipazione nella società New Biblòs s.r.l., evocava in giudizio il venditore P.D. onde sentirlo condannare al pagamento di Euro 175.000, in restituzione dell’ammontare dei ratei versati dalla società in bonis in adempimento del contratto oramai sciolto, e dell’ulteriore importo di Euro 16.000, pagato sine titulo.

Il Tribunale di Mantova, nell’accogliere la domanda della procedura, riconosceva il diritto del venditore ad ottenere un equo indennizzo per l’uso della partecipazione venduta e, operata la compensazione fra le reciproche ragioni creditorie, condannava il P. al pagamento della residua somma di Euro 175.000, oltre ad accessori e spese.

2. La Corte d’Appello di Brescia rigettava l’appello proposto dal P. osservando che il cedente, a seguito dello scioglimento del rapporto L. Fall., ex art. 73, aveva diritto al solo indennizzo riconducibile all’uso della cosa venduta, con esclusione di qualsiasi profilo di risarcimento del danno, anche per deprezzamento del bene, deprezzamento che comunque doveva ritenersi già consolidato al momento della vendita; quanto alla ripetizione di indebito la corte territoriale rilevava che, pur dando per ammessa la presenza della fallita nel locale dove era svolta l’attività sociale fin dal settembre 2010, la proprietà aveva reclamato i compensi per l’occupazione solo dal successivo mese di dicembre 2010, dovendosi di conseguenza ritenere che la somma non fosse dovuta.

3. Ha proposto ricorso per cassazione avverso questa pronuncia P.D. al fine di far valere due motivi di impugnazione.

Ha resistito con controricorso il fallimento di (OMISSIS) s.r.l..

Parte controricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4.1 Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione degli artt. 2033 e 1523 c.c. e della L. Fall., artt. 72 e 73: il venir meno del negozio con effetto ex tunc comportava un obbligo di ripristino delle posizioni anteriori al perfezionamento del contratto e dunque di restituzione del bene al venditore; nel caso di specie la procedura era tenuta, a differenza di quanto opinato dalla Corte d’Appello, a corrispondere l’equivalente pecuniario della partecipazione venduta, dato che nelle more il suo valore era divenuto negativo, non potendo confondersi il risarcimento del danno, non dovuto ai sensi della L. Fall., art. 72, comma 4, con l’equivalente pecuniario di natura indennitaria spettante in caso di impossibilità di procedere alla restituzione della cosa venduta a causa del suo perimento.

4.2 Il motivo è inammissibile.

La doglianza in esame intende sostenere che ove la restituzione del bene sia divenuta impossibile per il suo perimento il venditore avrebbe diritto ad ottenere un indennizzo per equivalente pecuniario pari al valore del bene non più restituibile, da non confondersi con il diritto al risarcimento del danno in caso di scioglimento, escluso dalla L. Fall., art. 72, comma 4.

L’assunto in diritto riposa tuttavia su una affermazione in fatto (in ordine alla perdita di valore della partecipazione sociale venduta) che non corrisponde agli accertamenti compiuti dalla corte distrettuale, la quale ha espressamente escluso (a pag. 8) l’imputabilità a (OMISSIS) s.r.l. di un deprezzamento che si era già consolidato al momento del perfezionamento della vendita con riserva di proprietà. Ora l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata; queste ultime, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi considerare nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo il motivo che non rispetti questo requisito; in riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4 (Cass. n. 6496/2017, Cass. 17330/2015, Cass. n. 359/2005).

Non è dunque ammissibile un ricorso con cui si lamenti una violazione di legge che si fondi su presupposti in fatto diversi ed opposti a quelli compiuti dal giudice di merito.

5.1 Il secondo mezzo prospetta la violazione degli artt. 2697 e 1591 c.c.: la corte territoriale, reiterando l’errore già commesso dal primo giudice, si sarebbe limitata a constatare che il P. non aveva dimostrato l’esistenza di una causa debendi, benchè gravasse sull’attore in ripetizione l’onere di provare l’inesistenza di una causa solvendi, senza preoccuparsi di verificare se il fallimento avesse fornito la prova del diritto della società poi fallita di occupare gratuitamente l’immobile destinato allo svolgimento della propria attività nei mesi di ottobre e novembre 2010; peraltro a nulla valeva il riferimento alla risoluzione giudiziale del rapporto nell’agosto 2010, in quanto il conduttore era comunque tenuto al pagamento del canone convenuto sino alla riconsegna.

5.2 Il motivo è inammissibile, scontando il medesimo vizio di approccio alla decisione impugnata descritto al punto precedente.

La corte territoriale non ha affatto ritenuto che la prova dell’inesistenza della causa debendi in tema di ripetizione di indebito oggettivo rimanesse a carico del convenuto nè ha sostenuto che nulla fosse dovuto a titolo di canone di locazione a seguito della risoluzione giudiziale del contratto, ma ben diversamente ha rilevato in fatto, sulla base delle allegazioni dello stesso P., che la proprietà, a seguito della declaratoria di risoluzione del contratto di locazione da parte del Tribunale di Brescia, aveva reclamato i compensi per l’occupazione soltanto a decorrere dal dicembre 2010; da questa circostanza il collegio dell’impugnazione ha tratto la convinzione che l’importo pacificamente versato, pur dando per ammesso che (OMISSIS) s.r.l. avesse occupato il locale adibito a discoteca fin dal settembre 2010, non fosse comunque dovuto, tenuto conto peraltro del fatto che i documenti prodotti dal fallimento non dimostravano che la somma in parola fosse stata destinata agli ex locatori a tale titolo.

La censura denuncia quindi una violazione di legge priva di specifica attinenza al decisum della sentenza impugnata e tesa nella sostanza, tramite la reiterazione dei motivi già disattesi dalla corte territoriale e l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, a sovvertire l’esito del sindacato di fatto sulla congerie istruttoria disponibile; una critica di siffatto tenore risulta perciò inammissibile, oltre che per le ragioni già esposte rispetto al precedente motivo, anche perchè risulta estranea all’esatta interpretazione della norma e inerisce invece alla tipica valutazione del giudice di merito, la quale è sottratta al sindacato di legittimità.

6. In forza dei motivi sopra illustrati il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 7.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre accessori come per legge e contributo spese generali nella misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 9 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 5 dicembre 2018

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