Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31470 del 05/12/2018

Cassazione civile sez. I, 05/12/2018, (ud. 24/10/2018, dep. 05/12/2018), n.31470

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 25478/2017 proposto da:

E.B., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’Avvocato Giuseppe Tana giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, – Commissione Territoriale per il

Riconoscimento della Protezione Internazionale di Bari;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1515/2017 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

pubblicata il 09/08/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/10/2018 dal cons. PAZZI ALBERTO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale dell’Aquila, con ordinanza del 28 giugno 2016, respingeva il ricorso proposto da E.B. avverso il provvedimento di diniego del riconoscimento in suo favore dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria o della protezione umanitaria emesso dalla Commissione territoriale di Bari.

2. La Corte d’Appello dell’Aquila, con sentenza depositata in data 9 agosto 2017, constatava tra l’altro che il ricorrente non era stato in grado di fornire alcun riscontro in ordine alla situazione di pericolo addotta onde ottenere il riconoscimento della protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b), non individuava elementi che consentissero di ravvisare, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), la sussistenza di una minaccia individuale e grave alla vita o alla persona derivante da una violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale e rigettava di conseguenza l’impugnazione proposta.

3. Ha proposto ricorso per cassazione avverso questa pronuncia E.B. affidandosi a due motivi di impugnazione. L’amministrazione intimata non ha svolto alcuna difesa.

Il ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’ art. 380 bis.1 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4.1 Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5 in quanto la corte territoriale, benchè in materia sussista un onere probatorio attenuato, si sarebbe limitata a negare la veridicità dei fatti narrati sottolineando la mancanza di riscontri senza darsi carico di valutare la credibilità delle dichiarazioni rese dall’ E. in ordine alle vicende vissute in Nigeria alla luce del contesto socio culturale ivi presente.

4.2 Il motivo non è fondato.

La corte territoriale ha negato la possibilità di riconoscere la protezione sussidiaria di cui D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14,lett. b), dopo aver constatato la totale mancanza di riscontri del racconto dell’appellante (il quale, pur nutrendo timori per la mancata adesione a una setta per tradizione familiare, non era stato in grado di indicare quale attività svolgesse questa organizzazione, che peraltro, nei due anni in cui aveva vissuto in Ogun State, non aveva neppure tentato di prendere contatti con lui), ha ritenuto di nessuna rilevanza qualsiasi indagine sul contesto sociale, culturale e politico della sua vicenda, non essendovi la possibilità di collegare le vicende personali del richiedente alla situazione esistente nel paese d’origine.

Se ne ricava che secondo la corte di merito le dichiarazioni del richiedente non sarebbero veritiere, alla luce dei criteri di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, in quanto questi non avrebbe compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda, non avrebbe giustificato le lacune probatorie e avrebbe fornito dichiarazioni non plausibili e quindi inattendibili.

L’assunto non si presta a censure di sorta e fa corretta applicazione del principio già espresso dalla giurisprudenza di questa Corte secondo cui, in materia di protezione internazionale, l’accertamento del giudice di merito deve muovere innanzitutto dalla verifica della credibilità soggettiva della versione del richiedente circa l’esistenza di un danno grave (costituito, nel caso di specie, dall’asserita persecuzione del richiedente da parte di gruppi privati); ove le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 non occorre procedere a un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel paese di origine, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (Cass. 27/06/2018 n. 16925).

5.1 Il secondo motivo di ricorso lamenta la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e D.Lgs. n. 252 del 2007, art. 14, lett. c), nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in relazione alla mancata valutazione della situazione in Nigeria sulla base dei report allegati e in ragione dell’omessa attività istruttoria: la corte territoriale non avrebbe proceduto a un’adeguata verifica della sussistenza di una condizione di violenza indiscriminata omettendo di individuare la zona di provenienza del ricorrente e di esaminare in maniera rigorosa la portata dell’intervento delle autorità statuali sulle situazioni di violenza diffusa.

5.2 Il motivo è inammissibile sotto entrambi i profili dedotti.

Rispetto alla violazione di legge denunciata la censura non si confronta con il contenuto della decisione impugnata, la quale, contrariamente a quanto lamentato, individua la zona di provenienza del ricorrente (Agbor e Ogun State, pag. 4) collocandola nella zona sud del paese (pag. 5), esamina la domanda alla luce dei più recenti rapporti informativi sulla situazione degli Stati della Nigeria, così assolvendo l’obbligo previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, individua sulla base degli stessi un progressivo miglioramento delle condizioni di sicurezza del paese, all’evidenza ricollegate all’opera di contrasto delle autorità statuali, e raffronta la condizione delle zone meridionali del paese, ove sarebbero insussistenti condizioni di conflitto armato e violenza indiscriminata, con la diversa situazione degli Stati del nord-est.

La doglianza, più che sollevare critiche immediatamente riferibili alla decisione impugnata, finisce per allegare un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, situazione estranea all’esatta interpretazione della norma che inerisce invece alla tipica valutazione del giudice di merito, e tenta nella sostanza di introdurre un sindacato di fatto sull’esito della prova documentale, quando invece al giudice di legittimità spetta non già il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà del controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito (cfr., ex plurimis, Cass. 19/10/2016 n. 21098, Cass. 16/12/2011 n. 27197).

Rispetto al dedotto omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio è sufficiente rilevare che la decisione impugnata in realtà ha esaminato il fatto indicato come omesso, vale a dire la condizione di sicurezza esistente in Nigeria, escludendo la sussistenza di condizioni di conflitto armato e violenza indiscriminata.

Nessun rilievo assume poi il mancato esame di alcune fonti di informazione, in quanto il vizio di motivazione denunciabile con ricorso per cassazione si sostanzia solamente nell’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, dovendo riguardare un fatto inteso nella sua accezione storico-fenomenica, e non anche l’omesso esame di determinati elementi probatori, sicchè è sufficiente che il fatto sia stato esaminato, senza che sia necessario dare conto di tutte le risultanze probatorie emerse all’esito dell’istruttoria come astrattamente rilevanti (si vedano in questo senso Cass., Sez. Un., 7/4/2014 n. 8053, Cass., 29/9/2016, n. 19312 e Cass. 19/1/2017 n. 1274).

6. E’ opportuno precisare, infine, che miglior sorte nemmeno toccherebbe, eventualmente, ai motivi in esame alla stregua del testo del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, come recentemente modificato dal D.L. n. 113 del 2018, tuttora in fase di conversione in legge, non recando la prospettazione degli odierni motivi di ricorso alcun riferimento alle specifiche previsioni di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, commi 1 e 1.1, come modificato dal citato D.L. n. 113 del 2018.

7. In forza dei motivi sopra illustrati il ricorso deve essere pertanto respinto.

La mancata costituzione dell’amministrazione intimata esime dal provvedere in merito alla regolazione delle spese di lite.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 24 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 5 dicembre 2018

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