Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3147 del 11/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 11/02/2020, (ud. 12/09/2019, dep. 11/02/2020), n.3147

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23415-2018 proposto da:

M.M.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEGLI

SCIPIONI 265, presso lo studio dell’avvocato DOMENICO LIBERATORE,

rappresentata e difesa dall’avvocato FERDINANDO MANSUELLI;

– ricorrente –

contro

F.P.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2075/2017 del TRIBUNALE di BOLOGNA, depositata

l’11/10/2017 e la sentenza n. 1176/2018 della CORTE D’APPELLO DI

BOLOGNA depositata l’1.1/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 12/09/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ENZO

VINCENTI.

Fatto

RITENUTO

che, con ricorso affidato a cinque motivi, M.M.A. ha impugnato sia la sentenza della Corte di appello di Bologna, in data 11 maggio 2018, che ne dichiarava inammissibile l’appello proposto avverso la decisione del Tribunale della medesima Città – che, a sua volta, ne aveva rigettato la domanda risarcitoria proposta ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 152, dopo il mutamento del rito ai sensi del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 10 -, sia quest’ultima sentenza ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c.;

che non ha svolto attività difensiva in questa sede l’intimato F.P.;

che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata comunicata alla ricorrente, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;

che il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione in forma semplificata.

Diritto

CONSIDERATO

che l’impugnazione della sentenza del Tribunale di Bologna (n. 2075/2017), proposta dalla ricorrente ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., è inammissibile, in quanto l’appello è stato deciso con sentenza e non già con ordinanza di inammissibilità ai sensi dell’art. 348 bis c.p.c.;

che, in riferimento all’impugnazione della sentenza di appello, è logicamente prioritario l’esame del quinto motivo di ricorso, con cui si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 146, dell’art. 99 c.p.c., dell’art. 2907 c.c., e del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 10, per aver la Corte territoriale dichiarato inammissibile il gravame nonostante non dovesse il primo giudice procedere al mutamento del rito, ai sensi del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 10, giacchè la controversia non riguardava fattispecie di violazione relativa unicamente alla legge sulla privacy;

che il motivo è inammissibile, anche ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1, con conseguente assorbimento dello scrutinio dei restanti quattro motivi (ciò, peraltro, esimendo il Collegio di dare contezza dei rispettivi contenuti) che attengono al merito della controversia: merito che non è stato trattato in sede di gravame;

che la ricorrente, infatti, non impugna specificamente la ratio decidendi della sentenza di appello, che fa leva sulla circostanza del formale mutamento del rito da parte del primo giudice a fronte di domanda originariamente proposta ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 152, e, dunque, di inappellabilità della decisione di primo grado ai sensi del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 10. Sentenza, quella di gravame, che in ogni caso è stata correttamente assunta alla luce del generale principio (enunciato anche in fattispecie attinenti alla materia in esame) per cui l’impugnazione di un provvedimento giurisdizionale deve essere proposta nelle forme previste dalla legge per la domanda così come è stata qualificata dal giudice, a prescindere dalla correttezza o meno di tale qualificazione, e non come le parti ritengano che debba essere qualificata, costituendo l’interpretazione della domanda giudiziale operazione riservata al giudice del merito (Cass., S.U., 4617/2011, Cass. n. 186/2011);

che il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile, non occorrendo provvedere alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità in assenza di attività difensiva da parte dell’intimato.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della VI-3 Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 12 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2020

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