Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31469 del 05/12/2018

Cassazione civile sez. I, 05/12/2018, (ud. 24/10/2018, dep. 05/12/2018), n.31469

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 25575/2017 proposto da:

I.R., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’Avvocato Antonino Ciafardini giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, presso la Commissione Territoriale per il

Riconoscimento della Protezione Internazionale di Ancona, Pubblico

Ministero presso il Tribunale di L’Aquila;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1090/2017 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

pubblicata il 15/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/10/2018 dal cons. PAZZI ALBERTO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale dell’Aquila, con ordinanza del 17 giugno 2016, respingeva il ricorso proposto da I.R. avverso il provvedimento di diniego di protezione internazionale emesso dalla Commissione territoriale di Bari.

2. La Corte d’Appello dell’Aquila, con sentenza depositata in data 15 giugno 2017, non ravvisava la sussistenza di una minaccia grave che giustificasse il riconoscimento della protezione sussidiaria, rilevava che la storia personale del ricorrente non evidenziava un quadro di grave vulnerabilità individuale a suffragio della richiesta di protezione umanitaria e rigettava di conseguenza l’impugnazione proposta.

3. Ha proposto ricorso per cassazione avverso questa pronuncia I.R. affidandosi a quattro motivi di impugnazione. L’amministrazione intimata non ha svolto alcuna difesa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4.1 Il primo motivo di ricorso assume la nullità della sentenza di appello ex art. 132 c.p.c., n. 2 per motivazione contraddittoria o apparente, non essendo percepibile il fondamento della decisione, che recherebbe argomentazioni inidonee, contraddittorie e illogiche al fine di giustificare il rigetto del gravame.

4.2 Il motivo è infondato.

La motivazione della decisione prevista quale parte necessaria della sentenza ad opera dell’art. 132 c.p.c. costituisce la rappresentazione dell’iter logico intellettivo seguito al giudice per arrivare alla decisione ed ha natura apparente quando è intrinsecamente inidonea a far percepire le ragioni che stanno alla sua base.

Nel caso di specie la sentenza impugnata, tacciata di essere il frutto di argomentazioni in ciclostile illustrate in maniera ripetitiva dalla corte territoriale in procedimenti analoghi senza alcuna attenzione per le considerazioni sviluppate dal collegio d’appello, in realtà fa seguire, alla illustrazione dei principi che governano la materia, argomentazioni idonee a dare conto del procedimento logico intellettivo a seguito del quale la corte distrettuale ha ritenuto, per un verso, che la situazione in Bangladesh non avesse raggiunto le caratteristiche necessarie per ipotizzare la sussistenza di una minaccia grave alla vita o alla persona dell’appellante, per l’altro che la specifica storia di quest’ultimo non integrasse un quadro di vulnerabilità personale tale da giustificare una protezione umanitaria. La doglianza non può quindi che essere rigettata, dato che nella sentenza impugnata una motivazione esiste ed è ben comprensibile nè è possibile censurare la stessa per il suo insufficiente contenuto, stante all’attuale formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

5.1 Il secondo mezzo denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5 per non avere la corte distrettuale applicato nella specie il principio dell’onere probatorio attenuato e per non aver valutato la credibilità del richiedente alla luce dei parametri stabiliti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5.

5.2 Il motivo è inammissibile.

L’impugnazione, anche sotto questo profilo, prescinde dal contenuto della sentenza impugnata e trascura del tutto il percorso argomentativo svolto dalla corte territoriale.

Lamenta in primo luogo il ricorrente che la corte territoriale abbia omesso di adempiere al proprio dovere di cooperazione nell’accertamento dei fatti rilevanti ai fini del riconoscimento della fondatezza della sua domanda.

In realtà la corte territoriale ha utilizzato i propri poteri istruttori per indagare in maniera più approfondita la situazione del Bangladesh, acquisendo i report di Amnesty International per gli anni 2015/2016 e 2016/2017 al fine di verificare la sussistenza di una situazione di minaccia alla vita o alla persona derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato.

Il ricorrente sostiene poi che sia mancata la verifica della sussistenza delle ragioni personali palesate dal ricorrente.

Al contrario la corte territoriale non ha affatto contestato la veridicità del racconto dell’appellante, limitandosi a constatare come il quadro fattuale rappresentato – e dunque dato come corrispondente al vero – non fosse idoneo a integrare una situazione di grave vulneralità personale necessaria per il riconoscimento della protezione umanitaria.

6.1 Il terzo mezzo lamenta la violazione D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), in quanto la Corte d’Appello non avrebbe riconosciuto la sussistenza di una minaccia grave alla vita di un cittadino straniero pur in presenza di una violenza generalizzata non altrimenti controllabile dalle autorità locali.

6.2 Il motivo è inammissibile.

Questa Corte ha di recente precisato, con riguardo protezione sussidiaria dello straniero prevista dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c che l’ipotesi della minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale implica o una contestualizzazione della minaccia suddetta, in rapporto alla situazione soggettiva del richiedente, laddove il medesimo sia in grado di dimostrare di poter essere colpito in modo specifico, in ragione della sua situazione personale, ovvero la dimostrazione dell’esistenza di un conflitto armato interno nel Paese o nella regione, caratterizzato dal ricorso ad una violenza indiscriminata, che raggiunga un livello talmente elevato da far sussistere fondati motivi per ritenere che un civile, rientrato nel paese in questione o, se del caso, nella regione in questione, correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio di questi ultimi, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Cass. 31/5/2018 n. 14006).

In realtà nel ricorso non si spiegano le ragioni per le quali, nello specifico, sussisterebbero i presupposti per il riconoscimento della tutela in favore del ricorrente, limitandosi il racconto a riferire di scontri nel paese tra due partiti, senza alcun riferimento alla situazione personale del richiedente.

Il motivo in esame trascura perciò di considerare che il riconoscimento della protezione sussidiaria presuppone che il richiedente rappresenti una condizione che, pur derivando dalla situazione generale del paese, sia comunque a lui riferibile e sia caratterizzata da una personale e diretta esposizione al rischio di un grave danno, come individuato dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 e, laddove si appunta sulla valutazione della situazione accertata, finisce per addurre, in maniera del tutto inammissibile, un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa e sollecitare, in modo altrettanto inammissibile, una rinnovata valutazione della congerie istruttoria non esperibile in questa sede.

7.1 Con il quarto motivo la sentenza impugnata è censurata per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per non avere la corte territoriale riconosciuto la sussistenza dei motivi umanitari per la concessione della relativa tutela, a cui il ricorrente aveva diritto in quanto nel suo paese d’origine sarebbero stati compromessi il suo diritto alla salute e all’alimentazione.

7.2 La censura è inammissibile.

La doglianza fa riferimento a condizioni socio-economiche e sanitarie del paese di origine tali da compromettere diritti fondamentali del ricorrente quali il diritto alla salute e il diritto all’alimentazione malgrado la sentenza impugnata trascuri del tutto simili circostanze di fatto e si limiti a ritenere che la storia personale del ricorrente, per come rappresentata, non evidenziasse un quadro di particolare vulnerabilità.

La questione in merito al fatto che le condizioni socio-economiche e sanitarie del paese d’origine non consentano un livello sufficientemente adeguato e accettabile di vita non è stata in alcun modo affrontata dal Tribunale all’interno della decisione impugnata e il ricorrente, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non ha indicato nè se la stessa era stata allegata in sede di merito, nè, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, in quale specifico atto del giudizio precedente ciò fosse avvenuto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass. 18/10/2013 n. 23675).

8. E’ opportuno precisare, infine, che miglior sorte nemmeno toccherebbe, eventualmente, alle censure in esame alla stregua del testo del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, come recentemente modificato dal D.L. n. 113 del 2018, tuttora in fase di conversione in legge, non recando la prospettazione degli odierni motivi di ricorso alcun riferimento alle specifiche previsioni di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, commi 1 e 1.1, come modificato dal citato D.L. n. 113 del 2018.

9. In forza dei motivi sopra illustrati il ricorso deve essere pertanto respinto.

La mancata costituzione dell’amministrazione intimata esime dal provvedere in merito alla regolazione delle spese di lite.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 24 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 5 dicembre 2018

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