Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31468 del 03/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 03/12/2019, (ud. 08/03/2019, dep. 03/12/2019), n.31468

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – rel. Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO M.G. – Consigliere –

Dott. MUCCI Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 24763/2014 R.G. proposto da:

ITM s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, viale Angelico n. 36/B, presso lo

studio dell’avv. Massimo Scardigli, che la rappresenta e difende

unitamente agli avv.ti Sebastiano Stufano e Gianluca Gigantino

giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle dogane e dei monopoli, in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n.

12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia n. 1124/35/14, depositata il 3 marzo 2014;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio dell’8 marzo 2019

dal Consigliere Nonno Giacomo Maria.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. con sentenza n. 1124/35/14 del 03/03/2014 la Commissione tributaria regionale della Lombardia (di seguito CTR) respingeva l’appello proposto da ITM s.r.l. (di seguito solo ITM) avverso la sentenza n. 194/01/12 della Commissione tributaria provinciale di Pavia (di seguito CTP), che aveva a sua volta respinto il ricorso della società contribuente nei confronti dell’avviso di rettifica notificatole dall’Agenzia delle Dogane per mancato pagamento dei dazi cd. antidumping in relazione ad operazioni di importazione dalla Cina di raccordi per tubi, effettuate nel periodo 2009-2010;

1.1. come si evince anche dalla sentenza della CTR, l’avviso di rettifica era stato emesso in ragione della diversa qualità della merce importata, avendo la società dichiarato che i beni erano in acciaio inox, e dunque soggetti al dazio ordinario, a fronte di ordini e fatture dai quali emergeva che si trattava invece di prodotti in acciaio al carbonio, soggetti al dazio antidumping;

1.2. su questa premessa, la CTR motivava il rigetto dell’appello evidenziando che: a) la procedura di revisione doveva ritenersi corretta e gli avvisi di rettifica erano stati motivati puntualmente, con il recepimento in modo non acritico del verbale della polizia tributaria di Pavia; b) l’avere limitato il controllo a soli tre campioni della bolletta doganale n. (OMISSIS) era dovuto alla mancanza di disponibilità di altri campioni; c) le modalità di verifica documentale avevano condotto ad apprezzare la piena rispondenza tra la quantità e qualità della merce ordinata e le singole fatture, fondamentale ai fini della determinazione del valore di transazione in dogana; d) in questa fase ITM aveva indicato un codice (relativo a raccordi per tubi in acciaio inox) non corrispondente alle qualità chimico-fisiche della merce (raccordi per tubi in acciaio al carbonio) con l’evidente scopo di aggirare il pagamento dei dazi antidumping;

2. ITM ha impugnato la sentenza con ricorso per cassazione affidato a tre motivi;

3. l’Agenzia delle dogane ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. con il primo motivo di ricorso ITM denuncia la violazione e falsa applicazione della L. 7 agosto 1990, n. 241, artt. 3 e 10, della L. 27 luglio 2000, n. 212, artt. 7 e 12 e del D.Lgs. 8 novembre 1990, n. 374, art. 11, comma 5 bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, evidenziando che l’Amministrazione doganale non ha tenuto conto, nella motivazione degli avvisi di rettifica, delle osservazioni da essa formulate a seguito della notificazione del processo verbale di constatazione, con conseguente vizio degli atti medesimi;

2. il motivo è inammissibile per difetto di specificità;

2.1. secondo la giurisprudenza di questa Corte, “il ricorso per cassazione – per il principio di autosufficienza – deve contenere in sè tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicarne specificamente, a pena di inammissibilità, oltre al luogo in cui ne è avvenuta la produzione, gli atti processuali ed i documenti su cui il ricorso è fondato mediante la riproduzione diretta del contenuto che sorregge la censura oppure attraverso la riproduzione indiretta di esso con specificazione della parte del documento cui corrisponde l’indiretta riproduzione” (così Cass. n. 14784 del 15/07/2015; conf. Cass. n. 18679 del 27/07/2017; cfr., altresì, Cass. n. 16147 del 28/06/2017; Cass. n. 11482 del 03/06/2016);

2.2. nel caso di specie la ricorrente: a) omette del tutto di indicare in quale atto difensivo e in quale grado del giudizio sia stato formulato lo specifico rilievo concernente il difetto di motivazione dell’atto impugnato in relazione alle osservazioni depositate a seguito della notificazione del processo verbale di constatazione; b) trascrive (parzialmente) il contenuto delle osservazioni presentate, ma non anche il contenuto dell’avviso di rettifica;

2.3. non è dunque consentito a questa Corte di valutare, a seguito della semplice lettura del ricorso, la fondatezza dell’eccezione proposta;

3. resta assorbito il secondo motivo di ricorso, con il quale la medesima doglianza è formulata sotto il profilo del vizio di motivazione;

4. con il terzo motivo di ricorso si deduce la violazione dell’art. 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, evidenziandosi la inadeguatezza e la incongruità della motivazione della CTR che ha escluso rilevanza a tutte le allegazioni probatorie della società in ragione della loro mancata esibizione in corso di verifica; in particolare, la ricorrente, pur ammettendo di aver dichiarato un errato codice tariffario, sostiene che non tutti i raccordi per tubi in acciaio al carbonio sono soggetti al dazio antidumping, ma solo quelli contraddistinti dalla sigla WPB, e lamenta che il giudice d’appello non abbia tenuto conto delle prodotte certificazioni del fabbricante cinese che dimostravano che ben sette delle otto bollette doganali oggetto di accertamento erano invece riferite a prodotti in acciaio al carbonio WCB, esente;

6. il motivo è inammissibile;

6.1. posto che spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr. Cass. n. 19547 del 04/08/2017), “il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicchè la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012” (Cass. n. 23940 del 12/10/2017);

6.2. la censura proposta, si risolve, pertanto, indipendentemente dalla qualificazione effettuata dalla parte, nella deduzione di un vizio di motivazione, inammissibile in presenza di una cd. doppia conforme (Cass. S.U. nn. 8053 e 8054 del 07/04/2014), atteso che il giudizio di appello è stato introdotto con ricorso depositato in data 19/03/2013 e, quindi, successivamente all’11/09/2012;

7. all’inammissibilità del ricorso consegue la condanna della società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, che si liquidano come in dispositivo, avuto conto di un valore della lite dichiarato di Euro 76.886,05;

7.1. poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio, che si liquidano in Euro 5.600,00, oltre alle spese prenotate a debito;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 8 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 dicembre 2019

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