Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31466 del 05/12/2018

Cassazione civile sez. I, 05/12/2018, (ud. 14/09/2018, dep. 05/12/2018), n.31466

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2273/2014 proposto da:

(OMISSIS) s.r.l., in persona del curatore fallimentare p.t.,

elettivamente domiciliata in Roma, presso l’avv. Sara Di Cunzolo

dalla quale è rappres. e difesa, con procura speciale a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

CONSORZIO SVILUPPO IMPRESE PONTE FELCINO, in persona del legale

rappres. p.t., elett.te domic. in Roma presso l’avv. Giovanni

Beatrice, rappres. e difeso dall’avv. Francesco D. Pugliese, con

procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 487/2012 emessa dalla Corte d’appello di

Perugia depositata il 28/11/2012;

udita la relazione del cons. CAIAZZO ROSARIO alla camera di consiglio

del 14 settembre 2018.

Fatto

RILEVATO

CHE:

Il Consorzio Sviluppo Imprese Ponte Felcino concesse in appalto alla Tinarelli s.p.a. l’esecuzione dei lavori di urbanizzazione di alcuni terreni per l’importo di Euro 1.669.537,68 oltre iva; con contratto del 13.6.07 la Tinarelli s.p.a., passata in concordato preventivo, affittò alla (OMISSIS) s.r.l. il ramo d’azienda, cui era pertinente il detto appalto nonostante la diffida dello stesso consorzio fondata sul divieto di cessione previsto nel contratto d’appalto.

Il Consorzio comunicò la risoluzione dell’appalto per colpa della Tinarelli s.p.a.; la (OMISSIS) s.r.l. avviò dunque una procedura arbitrale, ai sensi dell’art. 16 del contratto d’appalto, e premessa l’istanza di accertamento del proprio subentro in tale contratto in conseguenza dell’affitto del ramo d’azienda, chiese che fosse pronunciata la risoluzione contrattuale per inadempimento del Consorzio e il risarcimento dei danni.

Si costituì il Consorzio eccependo l’incompetenza del collegio arbitrale e l’infondatezza della domanda, tenuto conto dell’avvenuta risoluzione contrattuale per colpa della Tinarelli s.p.a. fatta valere con la lettera del 12.6.07, e del recesso ex art. 2558 c.c.

Con lodo del 4.2.09 il collegio arbitrale, in parziale accoglimento delle domande della (OMISSIS), dichiarava risolto il contratto d’appalto per colpa del Consorzio, condannandolo al pagamento della somma di Euro 125.215,32 oltre interessi a titolo risarcitorio. Avverso tale lodo il Consorzio propose impugnazione per nullità; si costituì la (OMISSIS) s.r.l.

Con sentenza del 28.11.12, la Corte d’appello di Perugia dichiarò la nullità del lodo impugnato, argomentando che: l’art. 16 del contratto d’appalto contemplava una clausola compromissoria; la controversia in esame non rientrava nell’ambito di tale clausola poichè essa presupponeva il subentro della (OMISSIS) s.r.l. (inteso come oggetto di una questione preliminare di merito) nel contratto che, invece, era da escludere alla luce del divieto di cessione del contratto da interpretare in forma estensiva, riferito all’intuitus personae; il mancato subentro escludeva la possibilità d’applicazione della clausola compromissoria, non sussistendo dunque la potestas judicandi degli arbitri, cui erano estranee le questioni della vigenza o meno del contratto d’appalto tra le parti e le altre di risoluzione e di risarcimento proposte dalla (OMISSIS).

Il fallimento della (OMISSIS) s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi. Resiste il Consorzio con controricorso.

Le parti hanno depositato memorie.

Diritto

RITENUTO

CHE:

Con il primo motivo è denunziata la violazione degli artt. 24 e 111 Cost., art. 112 c.p.c., art. 829 c.p.c., n. 1, art. 817 c.p.c., commi 1 e 3, nonchè dell’art. 360 c.p.c., n. 4 (per violazione e falsa applicazione di norme di diritto e di contratti), avendo la Corte d’appello erroneamente ritenuto di escludere il subentro della (OMISSIS) s.r.l. nel contratto d’affitto per il carattere personale del contratto d’appalto, pronunciando oltre i limiti del motivo d’impugnazione del lodo, in mancanza dell’eccezione prevista dall’art. 817 c.p.c. circa il superamento dei limiti del contenuto dell’arbitrato.

Con il secondo motivo è dedotta l’erroneità della sentenza impugnata e la violazione dell’art. 829 c.p.c., comma 1, n. 1, artt. 817 e 808 quater c.p.c., e degli artt. 1362 c.c. e ss. e art. 2558 c.c., nella parte in cui la Corte d’appello ha affermato che il subentro nel contratto non sarebbe stata una questione di competenza, bensì di merito inerente all’esecuzione del contratto; pertanto, la ricorrente si duole che la Corte non avrebbe applicato la preclusione di cui all’art. 817 c.p.c. data la tardività dell’eccezione che esulava dai limiti del citato art. 829 c.p.c.

Con il terzo motivo è denunziata la violazione e falsa applicazione dell’art. 2558 c.c., art. 1362 c.c. e ss., artt. 1406 c.c. e ss., art. 1671 c.c.- in relazione agli artt. 15 e 16 del contratto – avendo la Corte d’appello erroneamente ritenuto che il divieto di cessione negoziale fosse indice del carattere personale del contratto d’appalto, precludendo anche la successione nel contratto derivante dall’affitto del ramo d’azienda.

Il primo motivo è infondato in quanto la Corte d’appello ha pronunciato sull’eccezione sollevata tempestivamente dal Consorzio nel giudizio arbitrale circa l’inefficacia della clausola compromissoria, sicchè non sussiste alcuna violazione degli artt. 829 e 817 c.p.c.

Il secondo motivo è invece fondato poichè non è plausibile l’interpretazione del giudice d’appello secondo cui la questione del subentro contrattuale non rientrerebbe nell’ambito della clausola compromissoria poichè estranea all’esecuzione contrattuale. Invero, secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, la clausola compromissoria riferita genericamente alle controversie nascenti dal contratto cui essa inerisce va interpretata, in mancanza di espressa volontà contraria, nel senso che rientrano nella competenza arbitrale tutte e solo le controversie aventi titolo nel contratto medesimo, con conseguente esclusione delle liti rispetto alla quali quel contratto si configura esclusivamente come presupposto storico (Cass., ord. n. 20673/16; n. 1674/12).

Inoltre, è stato affermato che la clausola compromissoria relativa alle controversie sull’interpretazione, la conclusione e la risoluzione di un contratto ricomprende nel suo ambito di applicazione la domanda di risarcimento del danno da inadempimento, la quale, analogamente alla domanda di risoluzione, attiene alla fase esecutiva del contratto, implicando l’accertamento dell’inottemperanza delle parti alle obbligazioni assunte (Cass., ord. n. 15068/12).

Nella fattispecie, poichè la controversia attiene e ha titolo nel contratto d’appalto, è dunque infondata l’argomentazione che ha indotto la Corte d’appello a ritenere la nullità del lodo per l’insussistenza della potestas judicandi degli arbitri, in quanto la stessa controversia riguarda le questioni del subentro delle parti nel contratto d’appalto, quale conseguenza della stipula del contratto d’affitto d’azienda, e della risoluzione contrattuale con risarcimento dei danni.

Il terzo motivo è parimenti fondato. Al riguardo, la Corte d’appello ha ritenuto che il divieto di cessione contrattuale, contemplato dal contratto d’appalto, fosse espressione del carattere personale dello stesso negozio, con conseguente preclusione della possibilità di successione di terzi nel rapporto negoziale quale effetto dell’affitto d’azienda.

Tuttavia, nella fattispecie è applicabile l’art. 2558 c.c. con conseguente trasferimento dei contratti inerenti al ramo d’azienda ceduto.

Dispone l’art. 2558 c.c. (“Successione nei contratti”) che “se non è pattuito diversamente, l’acquirente dell’azienda subentra nei contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda stessa che non abbiano carattere personale” comma 1); “il terzo contraente può tuttavia recedere dal contratto entro tre mesi dalla notizia del trasferimento, se sussiste una giusta causa, salvo in questo caso la responsabilità dell’alienante” (comma 2); “le stesse disposizioni si applicano anche nei confronti dell’usufruttuario e dell’affittuario per la durata dell’usufrutto e dell’affitto” (comma 3).

Orbene, la successione del nuovo imprenditore nei rapporti contrattuali inerenti all’azienda e non aventi carattere personale, quale effetto del trasferimento dell’azienda, risponde all’esigenza di assecondare la circolazione dei valori economici rappresentati dai contratti stipulati dall’imprenditore e di attuare nel maggior grado possibile il trasferimento della potenzialità produttiva e dell’avviamento dell’azienda, rendendo possibile all’imprenditore subentrante (indipendentemente dal consenso dei terzi che hanno concluso i relativi contratti col precedente imprenditore, ai quali l’ordinamento riconosce soltanto la facoltà di recedere dai contratti per giusta causa, nei modi e con gli effetti previsti dall’art. 2558 c.c., comma 2) l’acquisto di elementi fondamentali dell’avviamento, quali sono i rapporti contrattuali costituiti per l’esercizio dell’impresa.

In armonia con tale esigenza, è opinione largamente condivisa che le norme contenute nell’art. 2558 c.c., commi 1 e 3 possano trovare applicazione, in virtù di un’interpretazione estensiva, non soltanto nelle ipotesi, da esse espressamente previste, dell’alienazione, dell’usufrutto e dell’affitto dell’azienda, ma anche negli altri casi nei quali ricorra un trasferimento dell’azienda, cioè la sostituzione, in forza di un fatto giuridico idoneo a produrla, di un imprenditore a un altro nell’esercizio dell’impresa. Conseguentemente, verificandosi, anche in tali ipotesi, un trasferimento d’azienda, deve ammettersi la successione del proprietario o del locatore nei rapporti contrattuali a prestazioni corrispettive ancora pendenti al momento dell’estinzione dell’usufrutto o della scadenza dell’affitto, costituiti dall’usufruttuario o dall’affittuario per l’organizzazione e il funzionamento dell’azienda, sia pure nei limiti di quelli non eccedenti la potenzialità produttiva di questa al momento della costituzione dell’usufrutto o della conclusione dell’affitto o i poteri di gestione attribuiti con quest’ultimo all’affittuario (Cass., n. 16724/03; n. 840/2012).

Inoltre, è da escludere che il contratto d’appalto – come erroneamente argomentato dal giudice d’appello – sia qualificabile come contratto a carattere personale. Al riguardo, in tema di successione nei contratti ai sensi dell’art. 2558 c.c., l’automatico subentro del cessionario in tutti i rapporti contrattuali a prestazioni corrispettive non aventi carattere speciale si applica soltanto ai cosiddetti “contratti di azienda” (aventi ad oggetto il godimento di beni aziendali non appartenenti all’imprenditore e da lui acquisiti per lo svolgimento della attività imprenditoriale) e ai cosiddetti “contratti di impresa”, non aventi ad oggetto diretto beni aziendali, ma attinenti alla organizzazione dell’impresa stessa, come i contratti di somministrazione con i fornitori, i contratti di assicurazione, i contratti di appalto e simili (Cass., ord. n. 15065/2018).

Pertanto, il contratto d’appalto stipulato con la società ricorrente non presenta carattere personale, trattandosi di contratto d’impresa e dunque l’affitto del ramo d’azienda comporta l’automatico subentro del cessionario nel rapporto negoziale.

Nè in senso contrario alla successione nel contratto d’appalto, può rilevare il fatto che, come emerge dalla sentenza impugnata, il contratto d’affitto d’azienda conteneva una clausola alla cui stregua la successione del contratto d’appalto “sarebbe dipesa anche dal placet delle stazioni appaltanti”.

Al riguardo, va anzitutto osservato che dalla stessa sentenza d’appello si desume che le parti avevano modificato il contratto d’affitto, concordando che la necessità del suddetto placet non comportava “una deroga neanche implicita all’art. 2558 c.c., comma 1”. Inoltre, la stessa formulazione della clausola in questione appare alquanto generica da rendere difficile interpretarla come riferita ad una condizione sospensiva della successione nell’appalto in ordine ad un espresso consenso dell’appaltante.

Pertanto, accolto il secondo e terzo motivo ed esclusa la nullità del lodo, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla Corte d’appello, anche per le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo e accoglie il secondo e il terzo.

Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Perugia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio dell’udienza, il 14 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 5 dicembre 2018

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