Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31464 del 03/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 03/12/2019, (ud. 14/05/2019, dep. 03/12/2019), n.31464

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – rel. Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. SAIJA Salvatore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 6112/2013 R.G. proposto da:

Centro di assistenza doganale s.r.l. in liquidazione, in persona del

liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, via Gian

Giacomo Porro n. 8, presso lo studio dell’avv. Anselmo Carlevaro,

che la rappresenta e difende unitamente all’avv. Filippo Bruno

giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle dogane e dei monopoli, in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n.

12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Liguria n. 01/01/12, depositata il 13/01/2012.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 14 maggio 2019

dal Cons. Dott. Nonno Giacomo Maria.

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. Sorrentino Federico, che ha concluso per il rigetto

del ricorso.

Udito l’avv. Roberto Palasciano per la controricorrente.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 01/01/12 del 13/01/2012, la Commissione tributaria regionale della Liguria (di seguito CTR) respingeva gli appelli riuniti proposti da Centro di Assistenza Doganale s.r.l. (di seguito CAD) avverso le sentenze nn. 142-152, 154-173 e 188-217/04/09 della Commissione tributaria provinciale di La Spezia (di seguito CTP), che avevano rigettato l’impugnazione della società contribuente nei confronti di numerosi avvisi di rettifica concernenti importazioni doganali relative all’anno 2006.

1.1. Come si evince dalla sentenza della CTR: a) gli avvisi di rettifica impugnati riguardavano l’importazione, in più riprese, di scarpe sportive dalla Cina, con dichiarazione di un valore di transazione ritenuto assolutamente non congruo; b) la CTP respingeva, con separate sentenze, i ricorsi proposti da CAD; c) avverso le sentenze della CTP, la società contribuente proponeva separati appelli.

1.2. La CTR, previa riunione degli appelli proposti, confermava le sentenze impugnate, evidenziando: a) il valore dichiarato era un elemento che gli Uffici delle dogane non potevano modificare in autonomia, ma solo all’esito del contraddittorio specificamente previsto dall’art. 181 bis del regolamento (CEE) n. 2454/93 del 2 luglio 1993 (DAC), di attuazione del regolamento CEE n. 2913/92 del 12 ottobre 1992 (Codice doganale comunitario – CDC); b) laddove all’esito del contraddittorio “la Dogana sospetta della legittimità del valore dichiarato e ritiene non veritiera la dichiarazione, può procedere a rideterminare il valore doganale delle merci importate seguendo i criteri dettati dagli articoli successivi al 29 CDC”, che sono alternativi e “subordinati gerarchicamente, per cui non si può ricorrere al successivo se non esperito il precedente”; c) nel caso di specie, i fondati dubbi sulla inattendibilità del valore dichiarato avevano portato l’Ufficio doganale dapprima ad attivare il contraddittorio di cui all’art. 181 bis DAC e poi a procedere alla determinazione del valore della merce sulla base di fatture concernenti marchi analoghi e facendo ricorso al database M.E.R.C.E., da ritenersi fonte attendibile; d) sussisteva la responsabilità solidale di CAD, atteso che la qualificazione professionale degli operatori della società li poneva in grado di rilevare a vista l’evidente incongruenza concernente il valore della merce dichiarato; e) vista la negligenza di CAD, non trovavano applicazione gli artt. 220 e 239 CDC, non ravvisandosi nè la buona fede, nè le ulteriori condizioni previste dalle menzionate disposizioni.

2. Avverso la sentenza della CTR CAD proponeva ricorso per cassazione, affidato ad otto motivi.

3. L’Agenzia delle dogane resisteva con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, CAD deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 29, 30 e 31 CDC, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, evidenziando l’inattendibilità del metodo di rideterminazione del valore doganale attraverso il sistema M.E.R.C.E.: detto sistema di elaborazione statistica sarebbe utilizzabile solo in applicazione del criterio residuale previsto dall’art. 31 CDC, mentre l’Ufficio avrebbe dichiarato di avere proceduto ai sensi dell’art. 30, p. 2, lett. b), CDC e dell’art. 154 DAC.

2. Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 181 bis DAC e dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, evidenziandosi che i giudici di secondo grado avrebbero omesso di vagliare il difetto di motivazione relativo alle ragioni che hanno reso la documentazione fornita dall’importatore inattendibile, seppur valida e coerente, con conseguente vizio di motivazione e di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.

3. Con il terzo motivo di ricorso si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, insufficiente e contraddittoria su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, costituito dal prezzo della merce importata, da ritenersi legittimo alla luce della documentazione prodotta dalla società contribuente (contratti di vendita e documenti di pagamento), non presa in considerazione dall’Ufficio in sede di contraddittorio e ingiustificatamente ritenuta non veritiera.

4. Con il quarto motivo di ricorso si deduce la contraddittorietà della motivazione in violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36 e degli artt. 132 e 161 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, evidenziandosi che dalla sentenza della CTR non si comprenderebbe quale sia stato il metodo adoperato dall’Ufficio per gitingere alla determinazione del valore della merce in dogana.

5. I quattro motivi, vertendo su questioni connesse, possono essere unitariamente esaminati.

5.1. Questa Corte (Cass. n. 23246 del 27/09/2018; Cass. n. 2214 del 25/01/2019), ha già chiarito che l’unico valore rilevante ai fini dell’obbligazione doganale è il valore in dogana; e il valore in dogana di norma coincide col valore di transazione, ossia col prezzo effettivamente pagato o da pagare (CGUE 12 dicembre 2013, in causa C116/12, Christodoulou e a., punto 28).

5.1.1. Una tale disciplina ha una ben precisa ratio: la normativa unionale in tema di valutazione doganale mira a stabilire un sistema equo, uniforme e neutro, che esclude l’impiego di valori in dogana arbitrari o fittizi (tra le molte, CGUE 12 dicembre 2013, cit., punto 44; CGUE 20 dicembre 2017, causa in causa C- 529/16, Hannamatsu Photonics Deutschland GmbH c. Hauptzollamt Munchen; CGUE 15 luglio 2010, in causa C-354/09, Gaston Schul, punto 27; CGUE 28 febbraio 2008, in causa C-263/06, Carboni e derivati s.r.l., punto 60) e tanto risponde altresì alle necessità di certezza della prassi commerciale.

5.1.2. Il che spiega perchè il codice doganale comunitario abbia stabilito, con gli artt. 29, 30 e 31, una rigida sequenza di regole di determinazione del valore doganale e perchè il regolamento attuativo del codice abbia predisposto una apposita disciplina, regolata dall’art. 181 bis, qualora le autorità doganali abbiano “fondati dubbi che il valore dichiarato rappresenti l’importo totale pagato o da pagare ai sensi dell’art. 29 del codice doganale” (Cass. n. 8323 del 04/04/2013; Cass. n. 20931 del 13/09/2013).

5.1.3. In questo caso, per potersi discostare dalla regola del valore di transazione, l’Autorità doganale deve chiedere informazioni complementari e sollecitare il contraddittorio, prima di decidere di non determinare il valore in dogana delle merci importate in base alla regola generale fissata dall’art. 29.

5.1.4. Il valore di transazione deve, comunque, riflettere il valore economico reale della merce importata e tener conto di tutti gli elementi di rilievo economico di essa.

5.1.5. Ne consegue che, nel seguire la rigida scansione delle regole fissate dal codice doganale comunitario, quando il valore in dogana non può essere determinato mediante ricorso al valore di transazione delle merci importate, la valutazione doganale si deve attenere alle disposizioni dell’art. 30 CDC, applicando, in sequenza, i metodi previsti alle lettere da a) a d) del p. 2 di quest’ultimo articolo (CGUE, 12 dicembre 2013, cit., punto 41). E soltanto quando non sia possibile determinare il valore delle merci importate neppure sulla base dell’art. 30 CDC, si opererà la valutazione in dogana conformemente alle disposizioni dell’art. 31 di tale codice (CGUE, 12 dicembre 2013, cit., punto 42).

5.1.6. In definitiva, i criteri di determinazione del valore in dogana devono essere applicati certamente in base agli artt. 29, 30 e 31 CDC, ma rispettando il nesso di sussidiarietà tra essi esistente: soltanto quando il valore in dogana non possa essere determinato applicando la disposizione precedente, si deve far riferimento a quella immediatamente successiva, secondo l’ordine stabilito dal codice (CGUE, 12 dicembre 2013, cit., punto 43).

5.1.7. Il valore di transazione resta il metodo prioritario di determinazione, in quanto è considerato il più adatto ed il più frequentemente utilizzato. Per disattenderlo, occorre che: a) l’Amministrazione abbia fondati dubbi che esso sia inattendibile; b) i dubbi persistano, anche dopo una richiesta di ulteriori informazioni o complementi di documentazione e dopo aver fornito all’interessato una ragionevole possibilità di far valere il proprio punto di vista riguardo ai motivi sui quali sono fondati tali dubbi; c) l’Amministrazione ricorra in primo luogo ai metodi di valutazione immediatamente sussidiari, ossia a quelli stabiliti dall’art. 30 CDC, in successione.

5.2. Ciò chiarito in punto di diritto, la CTR ha statuito che l’Ufficio doganale: 1) ha ragionevolmente ritenuto la inattendibilità del valore dichiarato in dogana, come emergente dalle risultanze del processo penale, nonchè dal raffronto dei valori indicati con il sistema M.E.R.C.E.; 2) ha regolarmente invitato la società contribuente al contraddittorio al fine di giustificare la correttezza del valore indicato; 3) a seguito del contraddittorio e, nel permanere della menzionata inattendibilità, ha ritenuto l’inapplicabilità dell’art. 30, p. 2, lett. a), CDC in ragione della mancanza di elementi di raffronto concernenti merci identiche; 4) ha, quindi, provveduto all’utilizzazione del successivo criterio previsto dall’art. 30, p. 2, lett. b), CDC, determinando il valore della merce sulla base di fatture per merce similare rinvenute in sede di ispezione presso la società nel giudizio penale, raffrontate con i valori medi ricavabili dal sistema M.E.R.C.E. con riferimento allo stesso tipo di prodotto.

5.3. A fronte dell’accertamento contenuto nella sentenza della CTR, vanno pregiudizialmente esaminate le censure mosse da CAD con riferimento al contraddittorio ex art. 181 bis DAC e, dunque, il secondo e il terzo motivo di ricorso.

5.4. Il secondo motivo è infondato.

5.4.1. Invero, da un lato, non sussiste il dedotto vizio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (peraltro, erroneamente sollevato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e non già ai sensi del successivo n. 4), avendo la CTR espressamente rigettato la censura di CAD relativa alla mancata considerazione della documentazione prodotta in sede di contraddittorio.

5.4.2. Dall’altro, il giudice di appello ha evidenziato che l’emissione dell’avviso di rettifica si giustifica per la palese inattendibilità del prezzo risultante proprio dalla documentazione prodotta dalla ricorrente. Nè, in difetto di trascrizione degli avvisi di rettifica, è possibile fare differenti valutazioni in ordine al contenuto di questi ultimi.

5.5. Il terzo motivo è inammissibile.

5.5.1. CAD fa riferimento a contratti e documentazione attestante i pagamenti non presa in considerazione dall’Ufficio: in primo luogo, la censura non sembra rivolta al provvedimento del giudice ma all’attività dell’Ufficio; secondariamente, i documenti prodotti non sono stati trascritti, nemmeno a titolo esemplificativo, con conseguente palese difetto di specificità.

5.6. Fondati sono, invece, il primo e il quarto motivo di ricorso.

5.6.1. La CTR ha dato atto che l’Ufficio ha seguito il procedimento corretto previsto dal Codice doganale comunitario, tuttavia ha ritenuto, erroneamente, che la determinazione del valore delle merci sia stata correttamente effettuata con riferimento “a fattura originale per merce simile reperita in occasione delle perquisizioni, riportante valori superiori”, nonchè al database M.E.R.C.E., ritenuto un’attendibile strumento di riferimento per la determinazione del valore delle merci in dogana.

5.6.2. La motivazione della CTR è contraddittoria e implica, quanto meno, la falsa applicazione dell’art. 30, p. 2, lett. b), del CDC laddove è previsto che il valore della merce importata debba essere determinato con riferimento al “valore di transazione di merci similari, vendute per l’esportazione a destinazione della Comunità ed esportate nello stesso momento o pressappoco nello stesso momento delle merci da valutare” e non anche con riferimento a sistemi di rilevazione statistica, che, invece, possono essere presi in considerazione ai sensi del criterio residuale di cui all’art. 31 CDC.

5.6.3. La CTR, infatti, da un lato, afferma (correttamente) che va rigorosamente seguito l’ordine dei criteri di determinazione del valore sancito dal codice doganale comunitario e, dall’altro, sostiene – in palese contraddizione con la premessa in diritto – la correttezza del valore determinato dall’Ufficio doganale non solo con riferimento ad “altre fatture per merce di marchi analoghi pervenute all’importatore”, ma anche con riferimento al database M.E.R.C.E., il cui utilizzo non è previsto dall’art. 30, p. 2, lett. b), CDC.

5.7. in accoglimento del primo e del quarto motivo, la sentenza della CTR va, dunque, cassata in parte qua.

6. Con il quinto motivo di ricorso CAD denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 64 CDC, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, evidenziando che la sentenza impugnata avrebbe erroneamente fondato la responsabilità della ricorrente sulla circostanza che la procedura di domiciliazione implichi obbligatoriamente l’uso della rappresentanza indiretta, deducendo da tale uso l’automatica solidarietà del dichiarante; in realtà, tale forma di rappresentanza sarebbe stata erroneamente imposta a CAD dagli Uffici doganali.

7. Il motivo è inammissibile.

7.1. E’ pacifico che CAD ha agito nella qualità di rappresentante indiretto dell’importatore e ha presentato la dichiarazione in tale veste, come si evince dal contesto stesso del motivo di ricorso.

7.2. Parte ricorrente ritiene, peraltro, che tale qualifica gli sia stata imposta dall’Autorità doganale, facendo riferimento alla nota della Circoscrizione doganale di La Spezia del 04/06/2004, n. 19092, e deduce l’illegittimità di tale comportamento dell’Amministrazione doganale ai sensi dell’art. 64 CDC, che contempla la possibilità che, anche in sede di procedura di domiciliazione, la rappresentanza possa essere diretta.

7.3. Peraltro, la proposizione di un motivo siffatto non emerge dalla sentenza della CTR: in assenza di trascrizione specifica della parte dell’atto di appello in cui il motivo è stato proposto, la censura deve ritenersi nuova; in ogni caso, la stessa difetta di specificità, facendosi riferimento ad una nota dell’Autorità doganale nè allegata al ricorso, nè trascritta nel còntesto dello stesso.

8. Con il sesto motivo di ricorso si deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 202 CDC, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, evidenziandosi che la CTR attribuirebbe a CAD una negligenza nella dichiarazione, senza indagare sulla sussistenza effettiva della negligenza medesima; in ogni caso, CAD non potrebbe rispondere con riferimento ai dazi dovuti in conseguenza della rettifica della dichiarazione.

9. Il motivo è infondato, ma la motivazione della CTR va corretta ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 4.

9.1. Ai sensi dell’art. 5, p. 2, CDC (applicabile ratione temporis) e dell’art. 40 TULD, comma 1, la dichiarazione doganale può essere fatta personalmente dall’importatore ovvero a mezzo di un rappresentante diretto o indiretto. La rappresentanza è diretta quando il rappresentante agisce a nome e per conto di terzi, indiretta, quando il rappresentante agisce a nome proprio ma per conto di terzi. Mentre la rappresentanza indiretta è libera, la rappresentanza diretta implica l’iscrizione in un apposito albo professionale istituito con la L. 22 dicembre 1960, n. 1612 ed il puntuale rispetto della disciplina prevista dalla legge medesima e dalla successiva L. n. 213 del 2000.

9.1.1. Dal combinato disposto degli artt. 201, p. 3, e 4, punto 18, CDC, l’obbligazione doganale sorge con la dichiarazione, quale effetto della indicazione di un determinato regime doganale in essa contenuto, e si lega soggettivamente all’autore della dichiarazione, indipendentemente dal rapporto che il dichiarante abbia con la merce (cfr. Cass. n. 5560 del 26/02/2019).

9.1.2. Ne consegue che la responsabilità, oltre a sorgere in capo all’importatore, involge anche il rappresentante indiretto di quest’ultimo, il quale risponde in quanto dichiarante, laddove il rappresentante diretto rimane, normalmente, estraneo alla fattispecie impositiva (posto che il dichiarante in questo caso è il rappresentato), a conferma che l’obbligazione doganale è legata al ruolo di dichiarante, ovvero di autore della dichiarazione doganale (così Cass. n. 5560 del 2019, cit.; cfr. Cass. n. 9773 del 23/04/2010; Cass. n. 7720 del 27/03/2013; Cass. n. 9270 del 17/04/2013; Cass. n. 6129 del 01/03/2019).

9.1.3. La centralità della figura del dichiarante è confermata anche dall’art. 5, comma 4, CDC, secondo cui “la persona che non dichiari di agire a nome o per conto di un terzo o che dichiari di agire a nome o per conto di un terzo senza disporre del potere di rappresentanza è considerata agire a suo nome e per proprio conto”. Conseguentemente, la mancanza di prova dei poteri di rappresentanza, la mancata risposta a una contestazione da parte dell’Ufficio o l’assenza di dichiarazione cOmporta la presunzione che il soggetto abbia agito quale rappresentante indiretto e, come tale, quale dichiarante.

9.2. Diversa è, invece, l’ipotesi in cui l’obbligazione doganale sorga per effetto della inosservanza della normativa doganale, ossia in caso di introduzione irregolare (art. 202 CDC), di sottrazione al controllo doganale (art. 203 CDC) e delle altre ipotesi previste dal Codice doganale (artt. 204 e 205 CDC). In questo caso, l’obbligazione doganale emerge non per effetto della presentazione di una dichiarazione, poi rivelatasi erronea, ma a causa del verificarsi di alcuni fatti (introduzione di merci senza dichiarazione doganale, dichiarazione riguardante merci del tutto diverse da quelle effettivamente importate, sottrazione al controllo doganale, inosservanza di obblighi previsti dalla normativa doganale per i regimi speciali, ecc.), che inducono una presunzione legale di immissione al consumo delle merci medesime.

9.2.1. In dette ipotesi, l’obbligazione doganale è legata al verificarsi di un fatto, configurandosi una importazione di merci che prescinda dalla esistenza di una valida dichiarazione doganale. Invero, l’introduzione della merce non ha rispettato le fasi contemplate dall’art. 38, n. 1 e art. 40 CDC (Cass. n. 5159 del 01/03/2013), ossia conduzione/trasporto all’ufficio doganale e presentazione in dogana (cfr. CGUE 25 gennaio 2017, in causa C-679/15, UltraBrag AG, punto 20; Cass. n. 5560 del 2019, cit.; Cass. n. 15777 del 23/06/2017; Cass. n. 10033 del 20/04/2017; Cass. n. 8240 del 30/03/2017).

9.3. Nel caso di specie, è pacifico che la merce è stata introdotta nel territorio dello Stato a seguito di regolare dichiarazione doganale, poi soggetta a rettifica a posteriori del valore dichiarato. Ne deriva che il richiamo all’art. 202 CDC da parte della CTR non è pertinente, perchè regola un’ipotesi in cui la dichiarazione non c’è stata.

9.4. La responsabilità di CAD per l’obbligazione doganale deriva, peraltro, direttamente dall’applicazione dell’art. 201 CDC, essendo la società contribuente rappresentante indiretto dell’importatore e, quindi, autore materiale della dichiarazione effettuata in nome proprio anche se per conto altrui.

9.4.1. Di tale dichiarazione il rappresentante indiretto dell’importatore si assume la responsabilità e, la stessa è impegnativa con riferimento all’esattezza delle indicazioni figuranti nella dichiarazione, all’autenticità dei documenti presentati e all’osservanza di tutti gli obblighi inerenti al vincolo delle merci importate al regime considerato (cfr. art. 199 del regolamento (CEE) n. 2454 del 1993). Conseguentemente, il rappresentante indiretto risponde della obbligazione doganale, anche se sorta a seguito di verifica a posteriori dei valori della merce importata ed indipendentemente dalla configurabilità a suo carico di una responsabilità penale.

9.4.2. Nè può ritenersi che la responsabilità del rappresentante indiretto integri una forma di responsabilità oggettiva, ben potendo quest’ultimo provare la propria buona fede alle condizioni previste dall’art. 220, p. 2, lett. b), CDC.

9.5. Correttamente, pertanto, la CTR ha ritenuto la responsabilità di CAD per l’obbligazione doganale, sebbene facendo riferimento ad un dato normativo erroneo.

10. Con il settimo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 220 CDC, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, evidenziandosi che avrebbe errato la CTR a non riconoscere la sussistenza della buona fede di CAD in caso di errore omissivo delle Autorità doganali, dovendosi presumere la buona fede della società contribuente e non avendo l’Amministrazione doganale fornito la prova della mala fede della società contribuente.

11. A dispetto di ogni questione concernente l’ammissibilità del motivo per la sovrapposizione inestricabile di motivi di diritto e di fatto, lo stesso è comunque infondato.

11.1. Ai sensi dell’art. 220, p. 2, lett. b), CDC “non si procede alla contabilizzazione a posteriori quando: (…) b) l’importo dei dazi legalmente dovuto non è stato contabilizzato per un errore dell’autorità doganale, che non poteva ragionevolmente essere scoperto dal debitore avendo questi agito in buona fede e rispettato tutte le disposizioni previste dalla normativa in vigore riguardo alla dichiarazione in dogana”.

11.2. Nell’interpretazione della Corte di giustizia della UE, la norma richiede la contemporanea sussistenza di tre condizioni affinchè non si proceda al recupero a posteriori dei dazi non corrisposti o corrisposti in misura inferiore al dovuto: a) l’esistenza di un errore dalle autorità competenti; b) l’errore commesso dalle autorità sia di natura tale da non poter essere ragionevolmente rilevato dal debitore di buona fede; c) il debitore abbia osservato tutte le prescrizioni della normativa in vigore (vedi CGUE 14 maggio 1996, cause C-153/94 e C-204/94, Faroe Seafood e altri; CGUE 3 marzo 2005, causa C-499/03 P, Biegi Nahrungsmittel e Commonfood; CGUE 18 ottobre 2007, causa C-173/06, Agrover; CGUE 15 dicembre 2011, C-409/10, Afasia Knits; CGUE 16 marzo 2017, causa C-47/16, Veloserviss).

11.3. Tale interpretazione dell’esimente è stata fatta propria dalla giurisprudenza della S.C., la cui elaborazione è avvenuta soprattutto con riferimento ai falsi certificati di origine della merce (ex multis, Cass. n. 13483 del 27/07/2012; Cass. n. 4022 del 14/03/2012; Cass. n. 4997 del 02/03/2009).

11.3. Nel caso di specie l’Ufficio doganale di La Spezia ha correttamente proceduto alla rettifica a posteriori del valore della merce importata chiedendo la corresponsione di maggiori dazi in ragione dell’inattendibilità del valore della merce dichiarato, con ciò assolvendo all’onere probatorio sullo stesso gravante. Resta a carico dell’importatore e, in ragione della sua diretta responsabilità derivante dalla dichiarazione resa in dogana, di CAD, la prova della ricorrenza delle condizioni per l’applicazione della esenzione prevista dall’art. 220, p. 2, lett. b), CDC (cfr. Cass. n. 5560 del 26/02/2019; Cass. n. 12719 del 23/05/2018; Cass. n. 7702 del 27/03/2013; Cass. n. 7674 del 16/05/2012, in motivazione; Cass. n. 13680 del 12/06/2009).

11.4. E’, dunque, privo di fondamento il rilievo della ricorrente per il quale spetta all’Amministrazione doganale la prova della ricorrenza delle condizioni previste dalla disposizione in oggetto per esentare la società contribuente dalla responsabilità concernente il recupero a posteriori dei dazi doganali.

11.5. Applicando i superiori principi al caso di specie, non si comprende quale sarebbe l’errore dell’Autorità doganale, conseguente a comportamento commissivo o omissivo, che avrebbe giustificato l’applicazione della esimente, essendosi la ricorrente limitata a citare giurisprudenza in materia di rilevanza di tale errore ai fini dell’applicazione dell’esimente e a dedurre genericamente che in ipotesi ci sarebbero state una serie di verifiche doganali che avallavano la congruità dei prezzi dichiarati (con affermazione palesemente priva di specificità).

11.5.1. Sotto quest’ultimo profilo, infatti, va ricordato che l’errore di cui all’art. 220, p. 2, lett. b), CDC “non è integrato dalla mera ricezione di dichiarazioni inesatte, in quanto l’Amministrazione non è tenuta a verificarne o valutarne la veridicità, ma richiede un comportamento attivo delle autorità competenti” (da ultimo, Cass. n. 4059 del 12/02/2019).

11.6. Ciò è sufficiente per escludere l’applicabilità dell’esimente.

12. Con l’ottavo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 239 CDC, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, evidenziandosi l’erroneità della sentenza della CTR nella parte in cui ha ritenuto la mancanza di diligenza di CAD, con conseguente inapplicabilità della previsione di sgravio di cui alla citata disposizione.

13. Il motivo va disatteso.

13.1. In primo luogo, non v’è alcuno spazio per l’applicazione dell’art. 239 CDC, che presuppone l’esistenza di una specifica richiesta di rimborso o sgravio e l’adozione della specifica procedura, conseguente alla formale richiesta presentata dal contribuente all’Ufficio doganale, richiesta che non risulta essere stata presentata.

13.2. Secondariamente e in ogni caso, dovendosi applicare gli stessi criteri previsti dall’art. 220 CDC sopra menzionato per stessa ammissione di CAD, deve escludersi la sussistenza dei presupposti applicativi della disposizione ed, inoltre, il motivo difetta di specificità nella parte in cui fa riferimento al reiterarsi di non meglio specificate verifiche doganali, avallanti la congruità dei prezzi indicati in sede di importazione, verifiche che – come precisato più sopra al p. 11.5.1. non hanno alcuna rilevanza ai fini della configurabilità dell’errore attivo dell’Autorità doganale.

14. In conclusione, vanno accolti il primo e il quarto motivo di ricorso e rigettati gli altri; la sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti e rinviata alla CTR della Liguria, in diversa composizione, per nuovo esame e per le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo e il quarto motivo di ricorso e rigetta gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Liguria, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 14 maggio 2019.

Depositato in cancelleria il 3 dicembre 2019

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