Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3146 del 08/02/2018


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Cassazione civile, sez. un., 08/02/2018, (ud. 21/11/2017, dep.08/02/2018),  n. 3146

Fatto

FATTI DI CAUSA

Emerge dalla sentenza impugnata che, in esito ad una procedura ad evidenza pubblica, l’assessore alla formazione professionale della Regione siciliana approvò, giusta la L. 6 marzo 1976, n. 24, art. 24, il Piano Regionale dell’Offerta Formativa per l’anno 2007 (P.R.O.F. 2007) e la graduatoria definitiva dei progetti ammessi al finanziamento, contenente la specificazione delle somme spettanti a ciascun ente di formazione. In esecuzione del Piano furono assunti i relativi impegni di spesa, a valere sui pertinenti capitoli di bilancio.

Successivamente, prosegue la narrazione della sentenza, pervennero al dipartimento della formazione professionale numerose istanze volte ad ottenere, spesso con motivazioni generiche, sostanziose integrazioni dei finanziamenti assegnati, parte delle quali fu proposta quando l’attività di formazione non era ancora iniziata o era ancora in corso, ed altra parte quando i progetti formativi erano già stati espletati ed in corso di rendiconto.

Per gli aspetti che concernono gli odierni ricorrenti, si legge in sentenza che quanto ad un gruppo di richieste, concernenti progetti formativi già realizzati, dapprima il dirigente del servizio rendicontazione del Dipartimento della formazione, poi il dirigente del servizio programmazione ritennero congrue e pertinenti le richieste per la voce “spese per il personale”; sicchè il dirigente del servizio programmazione comunicò all’assessore I.C. l’ammontare del fabbisogno complessivo, rappresentando che le risorse si sarebbero dovute reperire utilizzando le economie realizzate nell’ambito del P.R.O.F.

La nota ricevette il parere favorevole di M.G.P., dirigente generale del dipartimento e il visto per approvazione dell’assessore I..

Ne seguì, ad opera dell’assessore, l’emissione del decreto col quale furono riconosciute le integrazioni finanziarie richieste, cui la dirigente M. diede esecuzione.

Per altro gruppo di richieste fu seguito analogo iter; in esito al parere favorevole della dirigente M. e alla sottoscrizione del presidente della Regione siciliana, che svolgeva ad interim le funzioni di assessore alla formazione professionale, le pratiche, alle quali non si era data attuazione, furono sottoposte al nuovo assessore G.L., il quale emise il decreto di riconoscimento delle integrazioni, cui la dirigente M. diede esecuzione.

La Procura regionale presso la Corte dei conti ritenne che non potessero essere riconosciuti ed erogati finanziamenti aggiuntivi a quelli già disposti; sicchè, ravvisata nella condotta descritta fonte di responsabilità per danno erariale, chiese la condanna, tra gli altri, di I., M. e G. al relativo risarcimento.

La sezione giurisdizionale per la Regione siciliana della Corte dei conti accolse la domanda.

Quella d’appello ha dichiarato inammissibile l’appello proposto da M.G., ha respinto quello avanzato da G.L. ed ha accolto, ma soltanto con riferimento all’ammontare del risarcimento, che ha di poco ridotto, quello proposto da I.C.. In particolare, ha escluso che le somme in questione fossero state realmente recuperate dall’Amministrazione; ha poi fatto leva sul ruolo determinante svolto nell’elaborazione del P.R.O.F. dall’assessorato all’istruzione ed alla formazione professionale ed ha rimarcato che il Piano, una volta approvato, può essere modificato soltanto al cospetto di situazioni particolari, ossia eccezionali, straordinarie o comunque non prevedibili ex ante, al novero delle quali, ha sostenuto, sono estranee quelle che hanno determinato l’erogazione dei finanziamenti aggiuntivi di cui si discute.

Contro questa sentenza propongono distinti ricorsi I.C., M.G. e G.L., che affidano, rispettivamente, a due, a sei (erroneamente numerati come sette) motivi e a una censura, articolata in tre subcensure, cui la Procura generale, rappresentante il Pubblico Ministero presso la Corte dei conti, reagisce con distinti controricorsi. G.L. e I.C. depositano poi rispettivamente una e tre memorie in prossimità della pubblica udienza.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- E’ infondata la questione d’inammissibilità del ricorso proposto da G.L., che la Procura presso la Corte dei conti adombra in controricorso in base alla considerazione che esso è stato notificato tramite posta elettronica certificata (PEC) sebbene le relative regole tecniche e procedurali siano state definite soltanto successivamente, col decreto del Presidente della Corte dei Conti n. 256 del 3 novembre 2015.

1.1.- Il decreto in questione si riferisce difatti all’utilizzo della posta elettronica certificata nei giudizi dinanzi alla Corte dei Conti ed è per conseguenza inapplicabile al giudizio di legittimità, per il quale ancora non valgono le regole del processo telematico.

La notificazione è stata perciò ritualmente eseguita ai sensi della L. 21 gennaio 1994, n. 53, il cui art. 3-bis, comma 2, dispone che quando l’atto da notificarsi non consiste in un documento informatico, l’avvocato provvede ad estrarre copia informatica dell’atto formato su supporto analogico, attestandone la conformità con le modalità previste dal D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, art. 16-undecies, convertito, con modificazioni, dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221, e l’atto da notificare va allegato al messaggio di posta elettronica certificata (in termini, Cass., sez. un., 12 settembre 2017, n. 21110).

2.- Il ricorso proposto da G.L. è comunque inammissibile.

Ciò in quanto la questione di giurisdizione sulla quale esso è calibrato risulta posta per la prima volta in questa sede, in violazione del consolidato principio che ravvisa il giudicato implicito formatosi sulla pronunzia di merito per la mancata impugnazione di una pregressa pronunzia resa esplicitamente sulla giurisdizione, oppure sul merito, nel presupposto implicito della sussistenza della giurisdizione (cfr., con riferimento a differenti ipotesi, Cass., sez. un., 26 settembre 2013, n. 22097; sez. un., 10 luglio 2013, n. 17056; sez. un., 9 maggio 2016, n. 9280).

2.1.- Nè si può prospettare che l’interesse a sollevare la questione di giurisdizione sia sorto nel corso del giudizio di appello.

Difatti, in tema di risarcimento del danno nei confronti della pubblica amministrazione, ai sensi dell’art. 386 c.p.c., la giurisdizione va determinata in base al petitum sostanziale della domanda, e pertanto in ragione dell’intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio ed individuata dal giudice con riguardo ai fatti allegati (principio consolidato, in espressione del quale cfr. Cass. n. 9280/16, cit.; sez. un., 25 febbraio 2016, n. 3732; 7 aprile 2015, n. 6916).

3.- Anche il ricorso proposto da I.C. è inammissibile.

Col primo motivo di esso, il ricorrente si duole, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1 e art. 362 c.p.c., del difetto di giurisdizione della Corte dei conti là dove il giudice d’appello non ha ravvisato l’esenzione oggettiva dalla responsabilità amministrativa legata all’esercizio della funzione L. 14 gennaio 1994, n. 20, ex art. 1, comma 1-ter, secondo periodo.

Stabilisce questa norma che “Nel di caso di atti che rientrano nella competenza propria degli uffici tecnici o amministrativi la responsabilità non si estende ai titolari degli organi politici che in buona fede li abbiano approvati ovvero ne abbiano autorizzato o consentito l’esecuzione”.

3.1.- Per ravvisare il carattere politico dell’atto, al fine di affermarne l’insindacabilità, occorre che sia impossibile individuare un parametro giuridico (sia norme di legge, sia principi dell’ordinamento), sulla base del quale svolgere il sindacato giurisdizionale, di modo che il carattere politico dell’atto si presenti come una conseguenza (tra varie, Cass., sez. un., 14 maggio 2014, n. 10416 e 19 maggio 2016, n. 10319).

Più in generale, l’esercizio in concreto del potere discrezionale degli amministratori e funzionari è senz’altro espressione di una sfera di autonomia che il legislatore ha inteso salvaguardare dal sindacato del giudice contabile (come di ogni altro giudice); ma l’esercizio dell’attività amministrativa si deve comunque ispirare ai menzionati criteri di economicità ed efficacia (L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 1), i quali, costituendo specificazione del più generale principio sancito dall’art. 97 Cost., assumono diretta rilevanza sul piano della legittimità dell’azione amministrativa (in termini, tra varie, Cass., sez. un., 15 marzo 2017, n. 6820 e 25 maggio 2016, n. 10814).

3.2.- Nel caso in questione, gli atti assunti come “politici” inerivano, in realtà, a un procedimento, regolato con legge regionale, posto in essere nell’esercizio di funzioni amministrative connesse alla programmazione ed all’erogazione di finanziamenti funzionali allo svolgimento di attività di formazione, secondo gli ordinari canoni di efficienza ed economicità.

Si tratta, quindi, di atti del tutto estranei all’area entro la quale non è possibile individuare un parametro giuridico sulla base del quale svolgere il sindacato giurisdizionale.

3.3.- Anzi: proprio l’ipotesi della modifica del P.R.O.F. successivamente alla sua approvazione è espressamente regolata per legge, specificamente della L.R. n. 24 del 1976, art. 6, comma 3, a norma del quale “Qualora, successivamente all’approvazione del piano citato, dovessero determinarsi condizioni particolari, l’Assessore regionale per il lavoro e la cooperazione è autorizzato, sentito il parere obbligatorio della Commissione regionale di cui all’art. 15, ad apportare modifiche ed integrazioni al piano stesso”.

Questa interpretazione, con particolare riguardo ai risvolti che concernono l’art. 6, incorre, secondo il ricorrente, nella violazione dell’art. 97 Cost., in relazione al principio di separazione delle funzioni; sicchè egli sollecita la proposizione della questione di legittimità costituzionale della norma.

Non v’è spazio, tuttavia, per sollevare la questione, in base ai chiarimenti resi dalla stessa Corte costituzionale (in particolare con la sentenza 5 aprile 2012, n. 81, richiamata anche da Cass. n. 10416/14, cit.), secondo cui “gli spazi della discrezionalità politica trovano i loro confini nei principi di natura giuridica posti dall’ordinamento, tanto a livello costituzionale quanto a livello legislativo; e quando il legislatore predetermina canoni di legalità, ad essi la politica deve attenersi, in ossequio ai fondamentali principi dello Stato di diritto. Nella misura in cui l’ambito di estensione del potere discrezionale, anche quello amplissimo che connota un’azione di governo, è circoscritto da vincoli posti da norme giuridiche che ne segnano i confini o ne indirizzano l’esercizio, il rispetto di tali vincoli costituisce un requisito di legittimità e di validità dell’atto, sindacabile nelle sedi appropriate”.

3.4.- Gli ulteriori profili proposti, relativi all’irrilevanza ed all’inefficacia degli atti compiuti dall’assessore I., anche ai fini della produzione del danno erariale contestato, sono parimenti inammissibili.

Ciò in base al consolidato principio in base al quale, in tema di sindacabilità per difetto di giurisdizione delle sentenze della Corte dei Conti, sono inammissibili i motivi di ricorso che si fondino su vizi in iudicando o in procedendo, come quelli relativi a violazioni del principio costituzionale del giusto processo, alla sussistenza del danno erariale, alla verifica circa la preminente responsabilità di altri soggetti e al carattere non decisivo dell’operato di alcuni degli incolpati (Cass., sez. un., n. 10416/14, cit.).

3.5.- Il secondo motivo del ricorso in questione, col quale, ancora ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1 e art. 362 c.p.c., I.C. si duole del difetto di giurisdizione del giudice contabile là dove la Corte dei conti ha trascurato che il giudizio contabile è stato celebrato senza la partecipazione degli enti di formazione, nonostante le specifiche domande rivolte all’accertamento della responsabilità principale di costoro, è pure inammissibile.

Il ricorrente prospetta difatti un error in procedendo che, qualora sussistente, si collocherebbe nei limiti interni della giurisdizione; sicchè resta impedita ogni verifica circa la preminente responsabilità attuativa di altri soggetti ed il carattere non decisivo dell’operato dell’incolpato (in termini, fra varie, Cass. n. 10416/14, cit., la quale, tra l’altro, ha rimarcato altresì il principio, sancito dalla L. n. 20 del 1994, art. 1, comma 1 quater, come modificato dal D.L. 23 ottobre 1996, n. 543, convertito con L. 20 dicembre 1996, n. 639, in virtù del quale, nell’ipotesi di danno erariale causato da più soggetti, le condotte di questi debbono essere valutate singolarmente, sì che ciascuno risponde per la propria quota di partecipazione alla produzione del danno: donde, di norma, la scindibilità delle cause relative a più convenuti nello stesso processo e l’insussistenza del litisconsorzio necessario fra di essi).

4.- Inammissibili sono altresì i primi cinque motivi del ricorso proposto da M.G., con i quali, rispettivamente, si denuncia:

– l’eccesso di potere giurisdizionale, lamentato col terzo motivo di appello, non esaminato, derivante dall’invasione della giurisdizione del giudice ordinario e di quello amministrativo nonchè della sfera di attribuzioni della Regione (primo motivo);

– l’eccesso di potere giurisdizionale e il difetto assoluto di giurisdizione della Corte dei Conti per violazione del principio d’insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali (secondo motivo);

– il difetto assoluto di giurisdizione e la carenza di potere giurisdizionale in ordine alla questione della liquidità dei crediti vantati dagli enti di formazione nei confronti dell’amministrazione regionale con riferimento all’avviso n. 20/2011, in base al sistema di rendicontazione da esso contemplato (terzo motivo);

– l’eccesso di potere giurisdizionale scaturente dall’invasione nell’area riservata al legislatore, in quanto la Corte dei Conti, là dove ha affermato la responsabilità per danno erariale degli amministratori e dei dirigenti coinvolti nella concessione dei finanziamenti dei quali si discute avrebbe creato una norma nuova (quarto motivo);

– l’eccesso di potere giurisdizionale, derivante dall’affermata inosservanza del principio di legalità, in quanto gli amministratori ed i funzionari in questione non erano in grado di prevedere alcuna conseguenza dannosa a loro carico (quinto motivo).

4.1.- Vero è che la Corte dei conti nel corpo della motivazione ha svolto considerazioni di merito anche con riguardo a M.G. (si vedano in particolare le pagine 62-63 e 100 della sentenza), dopo aver rilevato l’inammissibilità dell’appello da lei proposto per inosservanza della L. n. 19 del 1994, art. 1, comma 5-bis.

Sin dalla sentenza n. 3840 del 20 febbraio 2007, tuttavia, queste sezioni unite hanno chiarito che il giudice il quale emetta una pronuncia d’inammissibilità della domanda si spoglia della propria potestas iudicandi al riguardo, e che se, ciò nondimeno, quel medesimo giudice si soffermi anche a motivare sul merito, tale motivazione è da considerarsi svolta ad abundantiam, con la conseguenza inammissibilità della relativa impugnazione (da ultimo, Cass., sez. un., 30 ottobre 2013, n. 24469).

4.2.- Inammissibile è anche il sesto motivo del ricorso (erroneamente numerato come settimo), col quale la ricorrente lamenta l’eccesso di potere giurisdizionale o comunque il difetto assoluto di giurisdizione, là dove la Corte dei conti, invadendo una sfera riservata al legislatore ed alla Corte costituzionale, ha fatto rivivere una norma, la L. n. 890 del 1982, art. 4, comma 3, espunta dall’ordinamento: ciò perchè ha dichiarato inammissibile l’appello da lei proposto nonostante la tempestiva costituzione in giudizio della Procura contabile e benchè le cartoline di ricevimento fossero state depositate in giudizio con ampio anticipo rispetto al termine di trenta giorni dal giorno in cui le erano pervenute.

4.3.- Il ricorso per cassazione contro la decisione della Corte dei conti è difatti consentito soltanto per motivi inerenti alla giurisdizione, sicchè il controllo della Corte di Cassazione non si estende ad asserite violazioni di legge sostanziale o processuale concernenti il modo d’esercizio della giurisdizione speciale.

Ne consegue che, anche a seguito dell’inserimento della garanzia del giusto processo nella nuova formulazione dell’art. 111 Cost., l’accertamento in ordine ad errores in procedendo o ad errores in iudicando rientra nell’ambito del sindacato afferente ai limiti interni della giurisdizione, trattandosi di violazioni endoprocessuali rilevabili in ogni tipo di giudizio e non inerenti all’essenza della giurisdizione o allo sconfinamento dai limiti esterni di essa, ma solo al modo in cui è stata esercitata (tra varie, Cass., sez. un., 18 maggio 2017, n. 12497, che ha ritenuto inammissibile il ricorso incidentale per cassazione prospettante una questione concernente l’interesse ad intervenire nel giudizio a quo).

4.4.- Nè varrebbe obiettare che una questione inerente alla girisdizione sarebbe comunque prospettabile quando il giudice speciale si sia rifiutato di esercitare il proprio potere giurisdizionale denegando giustizia per un manifesto e radicale stravolgimento delle norme di riferimento (Cass., sez. un., 29 dicembre 2017, n. 31226).

Non è certo questa la situazione che si riscontra nel caso in esame.

Ve n’è conferma, sia pure indiretta, nella circostanza che la tesi accolta dalla sentenza impugnata s’inscrive in un più vasto indirizzo della giurisprudenza contabile, che ha dato luogo ad un contrasto che soltanto la sentenza n. 34/2017/QM resa dalle sezioni riunite della Corte dei Conti in data 8 novembre 2017, citata dalla stessa ricorrente, è intervenuta a dirimere.

5.- Nulla per le spese, stante la natura di parte in senso soltanto formale della Procura (Cass., sez. un., 2 aprile 2003, n. 5105; 27 dicembre 2017, n. 30990).

Sussistono i presupposti di applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

dichiara inammissibili tutti e tre i ricorsi.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 21 novembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 8 febbraio 2018

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA