Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31456 del 05/12/2018

Cassazione civile sez. II, 05/12/2018, (ud. 17/05/2018, dep. 05/12/2018), n.31456

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CORRENTI Vincenzo – Presidente –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30030-2014 proposto da:

SAIPO MILANO SPA, elettivamente domiciliato in ROMA, V.PACUVIO 34,

presso lo studio dell’avvocato GUIDO ROMANELLI, che lo rappresenta e

difende unitamente agli avvocati FIORENZO FESTI, MAURO FELISARI;

– ricorrente –

contro

IMMOBILIARE VENEZIA 32 SRL, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G.

FERRARI 12, presso lo studio dell’avvocato SERGIO SMEDILE, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato DANIELE MAMMANI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4308/2013 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 25/11/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/05/2018 dal Consigliere CHIARA BESSO MARCHEIS;

Lette le conclusioni del P.M., in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. PEPE ALESSANDRO, il quale conclude che la Corte di

Cassazione rigetti il ricorso per cassazione di SAIPO MILANO S.P.A..

Fatto

PREMESSO

CHE:

La Società per Azioni Immobiliare Porta Orientale (SAIPO), proprietaria dell’immobile sito in (OMISSIS), conveniva in giudizio la società Immobiliare Venezia 32 s.p.a., proprietaria del confinante immobile di (OMISSIS), esponendo che:

– la convenuta – con atto del 1981, ribadito con convenzione integrativa del 1990 – aveva costituito in favore dell’immobile di (OMISSIS) e a carico di quello di (OMISSIS) una servitù di passaggio pedonale e veicolare su una striscia di terreno della larghezza di metri quattro;

– negli anni 1980 la convenuta aveva realizzato una strada e un cancello, in posizione differente da quanto previsto nel titolo costitutivo della servitù, strada e cancello che sarebbero immediatamente utilizzabili per l’esercizio della servitù di passaggio;

– nel 2006 l’attrice aveva inutilmente invitato la convenuta a rendere possibile l’esercizio della servitù.

L’attrice chiedeva quindi che, previo accertamento del diritto di servitù, la convenuta fosse condannata a consentirne l’esercizio, previo, se del caso, trasferimento della medesima sulla strada già esistente.

La convenuta si costituiva, precisando che:

– il diritto di servitù, di fatto, non era stato mai esercitato dall’attrice in quanto la striscia di terreno individuata come fondo servente era stata concessa in locazione dall’attrice alla convenuta e che poi, risoltosi il contratto di locazione, l’attrice aveva preteso di esercitare il diritto di servitù;

– le parti avevano allora predisposto un progetto sul quale la Soprintendenza per i beni architettonici e il paesaggio di Milano – competente in relazione al vincolo di tutela monumentale posto nel 1936 sul giardino di (OMISSIS) – aveva espresso parere negativo;

– non era stato possibile individuare soluzioni alternative e che in particolare circa lo spostamento della servitù non ricorrevano le condizioni di cui all’art. 1068 c.c., comma 3;

– il contratto costitutivo della servitù doveva quindi considerarsi nullo.

La convenuta chiedeva pertanto il rigetto delle domande dell’attrice.

Con sentenza n. 3244/2010 il Tribunale di Milano rigettava le domande dell’attrice.

SAIPO impugnava la sentenza di fronte alla Corte d’appello di Milano che, con pronuncia 25 novembre 2013, n. 4308, ha respinto l’appello.

Avverso la sentenza SAIPO ricorre per cassazione.

Immobiliare Venezia 32 resiste con controricorso.

La ricorrente e la controricorrente hanno depositato memoria ex art. 380-bis 1 c.p.c.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Il ricorso principale è articolato in cinque motivi.

a) Il primo e il secondo motivo sono tra loro strettamente connessi. Con essi la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 omesso esame di un fatto decisivo (il primo e il secondo motivo), nonchè, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. (il secondo motivo): la Corte d’appello ha ritenuto sussistente sul fondo il vincolo di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 10, comma 3, lett. a) nonostante che dagli atti prodotti in causa risultasse che il vincolo non riguarda la striscia di terreno individuata come fondo servente.

I motivi non possono essere accolti. Non sussiste il vizio di omesso esame di un fatto decisivo. Anzitutto, come ha sottolineato il pubblico ministero nelle sue conclusioni, il documento cui fa riferimento la ricorrente (la lettera della Soprintendenza per i beni architettonici e il paesaggio di Milano del 16 giugno 2010), è stato dichiarato dalla Corte d’appello inammissibile, in quanto prodotto nel giudizio di secondo grado e non indispensabile, e la pronuncia non è stata sul punto censurata. Ad abundantiam, la Corte ha poi valutato il documento, ritenendo che esso confermi il vincolo, senza limitazioni di sorta, sull’intero mappale (OMISSIS), mappale in cui ricade la striscia di terreno in questione. Neppure vi è stata violazione, o falsa applicazione, dell’art. 2697 c.c.: la Corte non ha distribuito il rischio della mancata prova in modo difforme da quanto dispone l’art. 2697, ma ha ritenuto raggiunto il proprio convincimento circa la prova dell’esistenza del vincolo.

b) Il terzo motivo contesta, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 nullità della sentenza per omessa pronunzia sulla domanda di realizzazione quantomeno della servitù di passo pedonale.

Il vizio non sussiste: nel rigetto, integrale, della domanda volta a consentire l’esercizio della servitù di passaggio vanno ricompresi sia il passaggio carrabile che quello pedonale.

c) Il quarto, articolato, motivo contesta nullità della sentenza per omessa pronuncia, alternativamente violazione e falsa applicazione degli artt. 1068 e 1074 c.c., in modo concorrente omesso esame di un fatto decisivo: la Corte d’appello non si sarebbe pronunciata sulla domanda di trasferimento della servitù dal luogo originariamente convenuto alla porzione di fondo finitima, di proprietà della stessa controparte su un fondo diverso, e avrebbe poi comunque falsamente applicato gli artt. 1068 e 1074 c.c. e la giurisprudenza in materia.

Se il vizio di omessa pronuncia non è ravvisabile, in quanto la Corte d’appello ha rigettato la domanda alternativa di trasferimento della servitù, va invece accolto il motivo laddove denuncia la falsa applicazione di legge.

Il giudice d’appello, nel rigettare – come già il giudice di primo grado – la domanda, si limita a negare che la servitù possa “essere esercitata sulla strada già esistente, visto che, se ben si comprende, tale strada si trova comunque spostata di alcuni metri rispetto all’area formalmente asservita”. Più esteso l’argomentare del Tribunale: richiamando un precedente di questa Corte (Cass. 3948/1991), il giudice osserva, circa l’art. 1068 c.c., comma 3 invocato dalla parte, che la disposizione non può trovare applicazione nel caso in esame, in quanto il trasferimento della servitù in luogo diverso implica che il luogo ove la servitù veniva prima esercitata venga liberato da ogni peso, il che nel caso in esame non può accadere, in quanto, non essendo possibile l’uso della servitù, entra in gioco l’art. 1074 c.c., per il quale l’impossibilità di fatto di usare della servitù non determina l’estinzione della medesima se non è decorso il termine di venti anni, con la conseguenza che consentire il trasferimento significherebbe gravare il fondo servente di due servitù. Il terzo comma dell’art. 1068 potrebbe quindi trovare applicazione solo ove la servitù di passaggio non sia limitata a una striscia di terreno precisamente individuata per l’esercizio del passaggio, ma gravi su tutto il fondo servente.

Il ragionamento dei giudici di merito, nel negare l’applicabilità al caso concreto dell’art. 1068, comma 3 è parziale, in quanto non vaglia l’applicabilità del quarto comma della disposizione (spettando in ogni caso al giudice, indipendentemente dalla richiesta della parte, l’inquadramento giuridico della fattispecie ad egli sottoposta).

Il trasferimento della servitù in luogo diverso trova la sua disciplina nell’art. 1068 c.c., che nei suoi quattro commi detta una regolamentazione complessa, articolata e di non facile interpretazione. Alla regola generale, dettata dal primo comma, della impossibilità del trasferimento dell’esercizio della servitù in luogo diverso da quello nel quale era originariamente stabilito, i successivi tre commi contrappongono delle eccezioni. Facendo perno sulla lettera della disposizione, si distinguono le ipotesi di cui ai commi 2 e 3, ove è delineato il trasferimento del luogo di esercizio della servitù, da quella disegnata dall’u.c. ove il legislatore parla di trasferimento della servitù: “lo spostamento del luogo di esercizio della servitù, nell’interesse e a richiesta sia del soggetto attivo che del soggetto passivo della servitù, (..) comporta la semplice modifica della servitù in una delle sue modalità”, diversamente il “trasferimento della servitù su altro fondo del proprietario del fondo servente o di un terzo che vi acconsenta (..) fa venir meno uno degli elementi costitutivi della servitù e comporta quindi la estinzione della servitù preesistente e la costituzione di una nuova servitù, anche se di eguale contenuto, a carico di un fondo diverso” (così Cass. 3139/1971 e, più recentemente, Cass. 7414/2012).

Al comma 4 viene ricondotta non solo l’ipotesi, espressamente prevista, del trasferimento della servitù “su altro fondo”, ma anche l’ipotesi in cui la “servitù, per il suo contenuto, incida necessariamente solo su una parte del fondo cosiddetto servente” e si tratta di trasferire la servitù su altra parte dello stesso fondo servente che non sia compresa nella parte del fondo che fu a suo tempo gravata dalla servitù, in quanto anche in questo caso la sostituzione della parte del fondo servente comporta l’estinzione della servitù preesistente e la costituzione di una nuova servitù (cfr. ancora Cass. 3139/1971).

E’ questa l’ipotesi in esame: sulla base dell’accertamento compiuto dai giudici di merito, “non è seriamente discutibile che gravata della servitù sia solo ed esclusivamente la striscia di terreno precisamente individuata nella planimetria allegata all’atto del 1981” (p. 7 della sentenza di primo grado). Nel caso di specie, pertanto, si tratterebbe di un trasferimento della servitù che comporta l’estinzione della servitù originaria e la costituzione di una nuova servitù, con il superamento delle ragioni avanzate dai giudici di merito per rigettare la domanda.

Vi è però un profilo da chiarire. Secondo la pronuncia di questa Corte n. 3139/1971 le ipotesi di trasferimento della servitù si distinguono da quelle contemplate dai precedenti commi dell’art. 1068 non soltanto per il profilo strutturale sopra ricordato, ma anche perchè il trasferimento può essere richiesto solo nell’interesse e dal soggetto passivo della servitù. Tale limitazione non è, ad avviso del Collegio, condivisibile. L’art. 1068, comma 4 a differenza del secondo che configura l’offerta da parte del proprietario servente di un diverso luogo per l’esercizio della servitù e del terzo comma che fa riferimento all’istanza del proprietario del fondo dominante, non fa riferimento a istanze, ma unicamente riconosce un’ampia discrezionalità al giudice, ponendo quale espresso presupposto che l’esercizio della servitù riesca ugualmente agevole al proprietario del fondo dominante.

Nel caso in esame, pertanto, la Corte d’appello non avrebbe dovuto fermarsi alla considerazione che il luogo in cui veniva richiesto il trasferimento è spostato “di alcuni metri rispetto all’area formalmente asservita”, ma avrebbe dovuto valutare, nell’ambito del generale principio di contemperamento degli opposti interessi, se il trasferimento della servitù su altra parte del fondo sia di notevole vantaggio per il proprietario del fondo dominante e non rechi danno al fondo servente, così come prescrive l’art. 1068 c.c., comma 3.

d) Il quinto motivo, con cui si contesta il mancato esame della domanda di risarcimento del danno fatta valere dalla ricorrente, è da ritenersi assorbito a seguito dell’accoglimento del quarto.

2. L’accoglimento del quarto motivo, nei limiti di cui in motivazione, comporta la cassazione della sentenza impugnata e il rinvio della causa al giudice di merito che, alla luce del principio sopra precisato, valuterà se disporre il trasferimento della servitù di passaggio, eventualmente solo pedonale; il giudice di rinvio provvederà anche in relazione alle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il quarto motivo, dichiara assorbito il quinto, rigetta i primi tre motivi del ricorso, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per spese del giudizio di legittimità, ad altra sezione della Corte d’appello di Milano.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale della sezione seconda civile, il 17 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 5 dicembre 2018

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