Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31452 del 05/12/2018

Cassazione civile sez. trib., 05/12/2018, (ud. 14/11/2018, dep. 05/12/2018), n.31452

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 2283-2015 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore p.t., elettivamente

domiciliata in ROMA, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che

la rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

DEL TONGO INDUSTRIE S.p.A. IN CONCORDATO PREVENTIVO, in persona del

legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in ROMA,

presso lo studio dell’Avvocato TERESINA TITINA MACRI’, rappresentata

e difesa dall’Avvocato ARNALDO AMATUCCI giusta procura speciale

estesa a margine del ricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2011/2014 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della TOSCANA depositata il 20.10.2014, non notificata;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14.11.2018 dal Consigliere Dott.ssa ANTONELLA DELL’ORFANO.

Fatto

RILEVATO

CHE:

l’Agenzia delle Entrate ricorre per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Commissione Tributaria Regionale della Toscana aveva respinto l’appello dell’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Arezzo n. 155/5/2012, che aveva accolto il ricorso della società Del Tongo Industrie S.p.A. avverso avviso di accertamento IRES IRAP 2006;

l’Ufficio finanziario ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi;

con il primo motivo ha lamentato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 3”;

con il secondo motivo ha lamentato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, “omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti”;

la società contribuente si è costituita deducendo l’inammissibilità ed infondatezza del ricorso;

l’Agenzia delle Entrate ha infine depositato memorie ex art. 380 bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.1.la sentenza di appello fonda la propria decisione sull’inidoneità degli elementi indiziari – raccolti nel corso della verifica fiscale e recepiti nell’avviso di accertamento – a fondare la prova presuntiva della “interposizione fittizia” quale strumento dì elusione fiscale previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37, relativamente alla vendita di elettrodomestici da incasso, formalmente effettuata dalla Arthema S.p.A., quale “semplice interposta” della Del Tongo Industrie S.p.A.;

1.2. in particolare la sentenza argomenta che gli indizi consistenti nella mancanza di struttura aziendale e commerciale della Arthema, “con funzione di passacarte e con lo scopo di frammentare i rapporti intrattenuti dalla Del Tongo spa con i clienti terzi” non legittimerebbero il fenomeno interpositivo in quanto non risultava dedotto, nè dimostrato alcun “rapporto trilatere” tra le società, ed i rapporti commerciali tra le stesse corrisponderebbero a rapporti contrattuali reali fra soggetti esistenti ed operanti mediante operazioni commerciali reali, con la scelta di procedere ad un’interposizione reale finalizzata unicamente ad ottenere vantaggi economici leciti;

1.3. l’Agenzia delle Entrate investe la sentenza di appello censurandola sotto un duplice profilo concernente: a) la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37, comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3); b) l’omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) consistente nel mancato apprezzamento di elementi probatori significativi dianzi illustrati;

1.4. quanto alla prima censura (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) la ricorrente evidenzia l’errore di interpretazione dell’ambito applicativo della norma (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37, comma 3) in cui era incorsa la Commissione di secondo grado, lamentando che la simulazione relativa (nell’ambito della quale va compresa l’interposizione fittizia) non esauriva l’ambito di applicazione della norma in questione, nè doveva ritenersi che tale normativa presupponesse un accordo trilaterale tra soggetto interponente, soggetto interposto e terzo;

1.5. quanto alla seconda censura, la sentenza viene censurata in punto di errato giudizio relativo alla selezione delle fonti probatorie sulle quali il Giudice di appello ha fondato il proprio convincimento, essendo stati illogicamente pretermessi, a causa della errata ricognizione degli elementi costitutivi della fattispecie normativa, indizi determinanti volti a disvelare lo scopo elusivo, dianzi illustrati;

2.1. il ricorso è fondato quanto al primo motivo di ricorso;

2.2. la pretesa tributaria dell’Amministrazione trova fondamento nella disposizione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 37 comma 3, che prescrive l’imputazione diretta al contribuente “dei redditi di cui appaiono titolari altri soggetti, quando sia dimostrato, anche sulla base di presunzioni, gravi, precise e concordanti, che egli ne è l’effettivo possessore per interposta persona”;

2.3. costituisce principio di diritto affermato da questa Corte che la norma, che ha evidenti finalità antielusive – nel senso che mira impedire che, attraverso operazioni commerciali compiute mediante negozi giuridici conformi all’ordinamento giuridico, si realizzi lo scopo di sottrarre alla corretta tassazione, in tutto od in parte, il reddito prodotto ed imputabile al medesimo soggetto giuridico – non presuppone un comportamento fraudolento (diretto ad aggirare il divieto imposto da una norma imperativa: art. 1344 c.c.), essendo sufficiente un uso improprio, ingiustificato o deviante (perchè non sorretto da valutazioni economiche diverse dal profilo fiscale) di un legittimo strumento giuridico, che consenta di eludere l’applicazione del regime fiscale proprio dell’operazione che costituisce il presupposto d’imposta (cfr. Cass. nn. 17128/2018, 25671/2013, 449/2013, 8487/2009);

2.4. ne consegue che il fenomeno della simulazione relativa (nell’ambito del quale può ricomprendersi l’interposizione personale fittizia) non esaurisce il campo di applicazione della norma, ben potendo attuarsi lo scopo elusivo mediante operazioni effettive e reali, nelle quali difetta del tutto l’elemento caratteristico dei negozi simulati costituito dalla divergenza tra la dichiarazione esterna e l’effettiva volontà dei contraenti o meglio dalla relazione funzionale, integrante la causa unitaria, che intercorre tra il negozio apparentemente stipulato (simulato) e quello effettivamente concluso dalle parti (dissimulato);

2.5. in tema di accertamento dei redditi, il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37, comma 3, imputa, dunque, al contribuente i redditi formalmente intestati ad un altro soggetto quando, in base a presunzioni gravi, precise e concordanti, egli ne risulti l’effettivo titolare, senza distinguere tra interposizione fittizia e reale, sicchè la sua applicazione non è limitata alle sole operazioni simulate (cfr. Cass. n. 15830/2016);

2.6. poste tali premesse, la Commissione tributaria di secondo grado ha individuato in modo erroneo l’ambito di applicazione della norma in questione, parametrandone gli effetti (imputazione diretta al contribuente dei redditi in titolarità a terzi) ad un’unica fattispecie negoziale che non può ritenersi “assunta in via esclusiva” nel modello legale contemplato dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37, il quale concerne, invece, l’appartenenza ad un soggetto (in termini di effettiva disponibilità) di redditi giuridicamente attribuiti ad un terzo, irrilevante essendo il titolo in base al quale tali redditi figurano nominalmente intestati a tale soggetto;

2.8. la disciplina antielusiva dell’interposizione, prevista dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 37, comma 3, non presuppone, come si è detto, necessariamente un comportamento fraudolento da parte del contribuente, essendo sufficiente un uso improprio, ingiustificato o deviante di un legittimo strumento giuridico, che consenta di eludere l’applicazione del regime fiscale che costituisce il presupposto d’imposta: ne deriva che il fenomeno della simulazione relativa, nell’ambito della quale può ricomprendersi l’interposizione fittizia di persona, non esaurisce il campo di applicazione della norma, ben potendo attuarsi lo scopo elusivo anche mediante operazioni effettive e reali;

2.9. da quanto esposto consegue che quanto affermato dalla CTR circa ii carattere reale, e non simulato, delle operazioni di cessione e l’effettiva percezione del prezzo da parte della Arthema, non è sufficiente ad escludere lo scopo elusivo delle operazioni commerciali poste in essere;

2.10. ne consegue che l’erronea interpretazione restrittiva del precetto normativo da parte del Giudice di appello ha impedito di valutare correttamente anche la rilevanza probatoria delle risultanze processuali alla stregua di altri parametri costituiti dall’impiego di schemi negoziali – diversi dall’accordo simulatorio relativo – idonei a realizzare il risultato elusivo quale, nel caso di specie, secondo la tesi dell’Amministrazione illustrata nell’avviso di accertamento (ritualmente trascritto in ricorso), una stabile organizzazione – realizzata attraverso la direzione e la partecipazione sociale nelle società interessate, da parte delle medesime persone fisiche di un sistema di operazioni commerciali aventi ad oggetto la cessione di beni – dalla società fornitrice a società terze, transitando per una cessione intermedia a favore di società esclusivamente tenuta ad acquistare dalla fornitrice e rivendere detti beni alle cessionarie finali, senza svolgimento di ulteriori attività inerenti il commerciale dei beni, con predeterminazione “a monte” delle quote percentuali dei “margini lordi” (calcolati sulla differenza tra prezzo della prima compravendita e prezzo realizzato sul mercato finale) attribuite a ciascuna società;

3.1. il secondo motivo, con il quale si prospetta, come si è detto, il vizio di omesso esame di fatti decisivi e controversi nel giudizio, è inammissibile;

3.2. nell’ipotesi di “doppia conforme”, prevista dall’art. 348-ter c.p.c., comma 5, (applicabile, ai sensi del D.L, n. 83 del 2012, art. 54, comma 2, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione dì cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012, come nel caso in esame), il ricorrente in cassazione – per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, (nel testo riformulato dal cit. D.L. n. 83, art. 54, comma 3, ed applicabile alle sentenze pubblicate dai giorno 11 settembre 2012) deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (cfr. Cass. N. 26774/2016);

3.3. l’Agenzia ricorrente non ha tuttavia affatto prospettato una diversità di ragioni poste a base delle decisioni di primo e secondo grado;

3.4. nella presente vicenda, invero, l’appello è stato rigettato basandosi sulle stesse ragioni di fatto, poste a base della decisione in primo grado, nè la ricorrente ha saputo dimostrare il contrario, non essendo in alcun modo emersa la diversità fra le ragioni poste a base delle pronunzie di primo e di secondo grado;

4.1. in conclusione il ricorso va accolto quanto al primo motivo, respinto il secondo, e la sentenza impugnata cassata con rinvio alla Commissione Regionale Tributaria della Toscana, in diversa composizione, affinchè si uniformi ai principi di diritto sopra espressi, liquidando all’esito anche le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiarato inammissibile il secondo; cassa la sentenza impugnata limitatamente al motivo accolto e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Toscana in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, il 14 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 5 dicembre 2018

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